mercoledì 26 settembre 2007

Riconoscere le proprie colpe



dai « Discorsi spirituali » di san Doroteo, abate

(Doctr. 13, De accusatione sui ipsius, 2-3: PG 88, 1699)

La falsa pace dello spirito

Chi incolpa se stesso, accoglie tutto serenamente quando incorre in qualunque contrarietà, danno, mal¬dicenza, oltraggio o altra afflizione: di tutto egli si ritiene meritevole, né può in alcun modo essere turba¬to. Che cosa vi è di più tranquillo di quest’uomo? Forse qualcuno mi obietterà: «Se un fratello mi afflig¬ge ed esaminandomi non trovassi di avergli data alcu¬na occasione, perché dovrei accusare me stesso?».
Intanto è certo che se qualcuno con timore di Dio si esaminasse diligentemente, non si troverebbe mai del tutto innocente e scoprirebbe che o con l'azione o con la parola o con l’atteggiamento ha dato qualche occa¬sione. Che se poi in nessuno di questi casi si scopris¬se colpevole, certamente in un altro momento avrà trattato duramente quel fratello o in qualche questio¬ne vecchia o nuova, oppure ha forse recato danno a qualche altro fratello. Perciò per questo meritatamen¬te soffre, oppure soffre per altri innumerevoli peccati che ha commesso in altro tempo.
Un altro chiede perché dovrebbe incolparsi quando, standosene in tutta tranquillità e pace, viene insultato dal fratello che sopraggiunge con qualche parola offensiva e infamante e, non potendola sopportare, si ritiene in diritto di adirarsi e di protestare. Poiché se quello non fosse giunto e non avesse parlato e non avesse dato fastidio, egli non avrebbe peccato. La scusa è certamente ridicola e non poggia su un ragionevole fondamento. Non è stato certamente per il fatto che gli sia stata detta qualche parola che è ribollita in lui la passione dell'ira, ma piuttosto quelle parole hanno svelato la passione che già si portava dentro. Perciò, se ha buona volontà, avrà ottime ragioni per fare penitenza. Egli è simile alla segala chiara splendente che rivela le sue scorie solo quando viene macinata.
Così colui che siede tranquillo e pacifico, come egli pensa, possiede all’interno una passio¬ne che non vede. Sopraggiunge il fratello, dice qual¬che parola pungente, e subito tutto il fondo deteriore, che si nascondeva dentro, è vomitato fuori.
Perciò se vuole ottenere misericordia, faccia penitenza, si puri¬fichi, cerchi di migliorare, e vedrà che a quel fratello invece di un oltraggio doveva piuttosto rivolgere un ringraziamento essendo stato messo da lui in un’occa¬sione di progresso spirituale. Se così avesse fatto, in seguito non avrebbe più sperimentato la stessa suscet¬tibilità. È certo comunque che quanto più progredirà tanto più facilmente affronterà simili prove. In verità quanto più l’anima avanza nella virtù tanto più diven¬ta forte ed energica nel sopportare qualunque cosa gravosa possa accaderle.

Diverse persone, diverse reazioni


Dai « Discorsi spirituali » di san Doroteo, abate

(Doctr. 7, De accusatione sui ipsius, 1-2: PG 88, 1695-1699)

La ragione di ogni turbamento è che nessuno accusa se stesso

Cerchiamo, fratelli, di vedere da che cosa soprattutto derivi il fatto che quando qualcuno ha sentito una parola molesta, spesso se ne va senza alcuna reazione, come se non l'avesse udita, mentre talvolta appena l’ha sentita si turba e si affligge. Qual è, mi domando, la causa di questa differenza? Questo fatto ha una sola o più spiegazioni? Io mi rendo conto che vi sono molte spiegazioni e motivi, ma ve n’è una che sta avanti alle altre e che genera tutte le altre, secondo quanto disse un tale: Questo deriva dalla particolare condizione in cui talora qualcuno viene a trovarsi. Chi infatti si trova in preghiera o in contemplazione, facilmente sopporta il fratello che lo insulta, e rimane imperturbato. Talvolta questo avviene per il troppo affetto da cui qualcuno è animato verso qualche fratel¬lo. Per questo affetto egli sopporta da lui ogni cosa con molta pazienza.
Questo può inoltre derivare dal disprezzo. Quando uno disprezza o schernisce chi abbia voluto irritarlo, disdegna di guardarlo o di rivolgergli la parola o di accennare, parlando con qualcuno, ai suoi insulti e alle sue maldicenze, considerandolo come il più vile di tutti.
Da tutto questo può derivare il fatto, come ho detto, che qualcuno non si turbi, né si affligga se disprezzato o non prenda in considerazione le cose che gli vengo¬no dette. Accade invece che qualcuno si turbi e si affligga per le parole di un fratello allorquando si trova in una condizione molto critica o quando odia quel fratello.
Vi sono tuttavia anche molte altre cause di questo stesso fenomeno che vengono diversamente presentate. Ma la ragione prima di ogni turbamento, se facciamo una diligente indagine, la si trova nel fatto che nessuno incolpa se stesso. Da qui scaturisce ogni cruccio e travaglio, qui sta la ragione per cui non abbiamo mai un po’ di pace; né ci dobbiamo meravigliare, poiché abbiamo appreso da santi uomini che non esiste per noi altra strada all'infuori di questa per giungere alla tranquillità. Che le cose stiano proprio così lo costatiamo in moltissimi casi. E noi, inoperosi e amanti della tranquillità, ci illudiamo e crediamo di aver intrapresa la via giusta allorché in tulle le cose siamo insofferenti, non accettando mai di incolpare noi stessi.
Così stanno le cose. Per quante virtù possegga l'uomo, fossero pure innumerevoli e infinite, se si allontana da questa strada, non avrà mai pace, ma sarà sempre afflitto o affliggerà gli altri, e si affaticherà invano.

A proposito del poeta


"Quando si ama il proprio uditorio, si può diventare poeta"
card. Daneels