
sabato 19 gennaio 2008
"La Sapienza" amorevole
Democrazia minima
(18 gennaio 2008)
venerdì 18 gennaio 2008
I professori satanici della Sapienza - Radio Maria
Tanto per non dimenticare chi getta benzina sul fuoco
Teka P - Caragna No -Teatro Leonardo, Milano 19/12/2005
CARAGNA NO (Maghini)
caragna no, càr el me fioeu /so ben che 'sto mond làder
l'è no el dipint d'on quader
perciò, ti, caragna no
caragna no, càr el me fioeu / t'el disi anmò: caragna no
so ben che in 'sto mond nègher
gh'è poc de sta su allégher / perciò, ti, caragna no
gh'è no lavorà, ma se g'hoo de faa?
foo domà quel che pòdi, / son't minga el Berlusconi
perciò, ti, caragna no
riconossi che in quel moment chi /
gh'è propi nient de riid
ma quand te penset che gh'è in gir / chi sta semper pèg de ti...
l'è giamò un pò ch'el disi, / fass no vegnì ona crisi
perciò, ti, caragna no...
càr el me fioeu / t'el disi anmò
caragna no!
so ben che 'sto mond lader /
l'è no el dipint d'on quader
perciò, ti ca, cara, / caragna........ no
NON PIANGERE
caro figlio mio, non piangere / so bene che questo mondo ladro
non è il dipinto di un quadro / per questo, tu, non piangere
caro figlio mio, non piangere / te lo dico ancora: non piangere
so bene che in questo mondo nero
c'è poco da essere allegri / per questo, tu, non piangere
non c'è lavoro, ma cosa devo fare? / faccio solo quello che posso,
non sono mica Berlusconi / per questo, tu, non piangere
Riconosco che in questo momento / non c'è propio niente da ridere
ma quando pensi che in giro / c'e sempre chi sta peggio di te...
è già da un po' che lo dico, / non farti venire una crisi
per questo, tu, non piangere...
caro figlio mio / te lo dico ancora:
non piangere!
so bene che questo mondo ladro / non è il dipinto di un quadro
per questo, tu............. non piangere.
Senza parole

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Sic et non ("Sì e no") è un opera minore di Pietro Abelardo (1079-1142), in cui il filosofo rilevava coraggiosamente che la Sacra Scrittura e l'insegnamento dei Padri della Chiesa contenevano in più punti affermazioni contraddittorie, che venivano messe a confronto.
Il libello, scritto dopo il concilio di Soissons (aprile 1121), è diviso in tre parti: nella prima ("Prologo") vengono enunciati i criteri che permettono di conciliare tra loro le apparenti contraddizioni rilevate (perlopiù ciò viene imputato ai molteplici significati di una stessa parola); nella seconda (il cuore dell'opera, più volte rimaneggiato e citato da Abelardo stesso) sono raccolte le citazioni dalle Sacre Scritture e dai detti dei padri della Chiesa; nella terza invece vi sono citazioni dalle Retractationes di Sant'Agostino.
giovedì 17 gennaio 2008
Il servizio dei superiori

mercoledì 16 gennaio 2008
Ascolto mite

martedì 15 gennaio 2008
Piegare la schiena per zappare

Cortigiano non vuol dire collaboratore.
Adulare non è sinonimo di amare.
Dire «sì» non equivale a «fare».
Chi «si fa avanti» precipitosamente, quasi sempre scantona poi, non appena si trova fuori portata dalla vista del superiore.
Chi ha il «sì facile» sovente ha «l'impegno difficile».
Il sorriso cerimonioso si accompagna inevitabilmente al mugugno.
Gli specialisti dell'inchino - colonna vertebrale ad angolo retto - trovano una insormontabile difficoltà a piegare la schiena quando si tratta di afferrare la zappa e lavorare sul serio.
Quelli che si trovano immancabilmente in prima fila nelle parate ufficiali, finiscono volentieri nelle retrovie (pantofole e poltrona) quando il calendario segna i grigi giorni feriali.
Certi «ribelli» sono i figli più appassionati della Casa. Il loro, sovente, è un amore deluso. Se sono «ribelli», può darsi che qualcuno li abbia feriti. «Se sono ribelli è, forse, perché sono fedeli a valori dimenticati» (Sulivan).
Certe «teste calde» hanno il solo torto di non saper adoperare la parola come turibolo. In realtà, un superiore intelligente sa di poter contare su di loro. A occhi chiusi.
Possono avere qualche «parola sbagliata». Ma le azioni sono quelle giuste.
A.Pronzato, Vangeli scomodi, 353-354
"La Sapienza"?

Dal cap. 9 (versetti 51-56) del Vangelo secondo Luca:
lunedì 14 gennaio 2008
Spiritualità dell'obbedienza

Racconta ancora Gonçalves che, una volta attribuita la missione, Ignazio poteva anche firmare in bianco fogli che sarebbero serviti a compiere bene un mandato, fidandosi totalmente della libertà e della creatività del religioso in missione. (...)
II modo di governare di Ignazio, "gentile e autorevole" insieme, ha un segreto: prima di tutto, Ignazio dedicava tempo e attenzione alla cosa in questione prima di decidere; secondo, pregava molto a questo proposito e riceveva luce da Dio; terzo, non decideva nulla di preciso prima di aver ascoltato il parere di chi se ne intendeva, interrogando ognuno su molte cose, tranne su quelle di cui lui stesso aveva piena conoscenza.
Il superiore deve dare una reale attenzione ai suoi religiosi nel discernimento e avere fiducia in coloro che avranno libertà di iniziativa nella missione. Lo Spirito Santo parla attraverso le persone, gli eventi, i pensieri, i sentimenti, per cui rispettare l'originalità di uno, le idee di un altro, le tendenze di un altro non è accondiscendere, ma riconoscere l'azione dello Spirito Santo in loro e favorire il di più di un servizio, non il minus. Spirituale è quindi il governo dove il superiore è un "esperto" dello Spirito Santo di cui egli è come il "portavoce", o il contemplatore.
Non sorprende quindi che il principio del governo per sant'Ignazio sia la docilità allo Spirito Santo. Essa spiega insieme la sua esigenza e la sua capacità di rispettare i sudditi. Senza la prassi del discernimento degli spiriti, una tale esigenza e una tale larghezza rischierebbero di degenerare in autoritarismo o in lassismo. Il discernimento degli spiriti d'altronde non è possibile senza un'intensa vita di preghiera, di conoscenza della Parola di Dio. Il discernimento non è autentico senza la purificazione dell'ascesi che permette alla carità di risplendere. (...)
Il modo di comprendere il governo - e quindi l'obbedienza - è costitutivo del carisma e del cammino di formazione che una comunità propone ai suoi membri. Per questo è pericoloso prendere un aspetto di una tradizione spirituale e, sic et sempliciter, applicarlo ad un'altra.
Se i concetti di "governo", di superiore, di obbedienza vengono estrapolati dal contesto di una spiritualità complessa, si favoriscono le aberrazioni e gli abusi. Come l'abuso di chi ha l'autorità e richiama i suoi sudditi all'obbedienza cieca di sant'Ignazio senza averne il genio mistico e la carità, senza cioè assicurare una formazione adeguata che verifichi il grado di adesione a Cristo della persona, senza che sia garantita, insieme alla prassi dell'obbedienza, la preghiera personale, l'autentica pratica del discernimento, lo stesso zelo per la carità fraterna e l'aspirazione all'umiltà perfetta. Vi è una sottomissione che fa del religioso un mercenario o un fariseo, un ateo sterile.
L'obbedienza, invece, deve portare alla contemplazione di Dio.
Michelina Tenace, Custodi della sapienza. Il servizio dei superiori, 51-55.
domenica 13 gennaio 2008
La Casa del Padre

Come immaginiamo, come presentiamo la Casa del Padre?
Il modello, sovente, è dato da certe case antiche, aristocratiche. Dentro, tutta roba di classe. Mobilio artistico. Tappeti persiani. Vasellame cinese. Quadri d'autore. Ritratti (tanti, troppi), cimeli, medaglie di antenati. Museo. Archivio. Vi si conservano, gelosamente, le glorie del passato.
In certe stanze è vietato rigorosamente l'ingresso. Da un'altra parte non si può andare perché è stata data la cera sul pavimento. Finestre chiuse. Imposte chiuse. Perché il sole potrebbe rovinare i delicati tendaggi. Aria che sa di muffa, di chiuso, di antichità. Non si respira. Pare di soffocare. Cartelli da tutte le parti: non toccare, non entrare, proibito far questo, vietato far quell'altro, attenti alle scarpe sporche... Guai ad alzare la voce, a cantare. C'è la vecchia zia, acida, bisbetica, che soffre di nervi... E detesta la musica moderna. Adora Bach. I discorsi, noiosissimi. Sempre le stesse cose. La stessa solfa. Ripetizione delle glorie del passato e recriminazioni sul presente: «Dove andiamo a finire? Ai miei tempi...». Soprattutto: atteggiamento di superiorità e di disprezzo per quelli che sono fuori, che non godono dei nostri privilegi, che non hanno il nostro sangue nelle vene, che non possono vantare il nostro blasone, una razza inferiore... Guai se i figli del vicino mettono i piedi in questa casa. Potrebbero sporcare, potrebbero turbarne l'ordine rigorosamente stabilito.
Non abbiamo un po' la tentazione a ridurla così la Casa del Padre? Una Casa di privilegiati, una specie di Museo, di archivio. Tutto in ordine. Tutto già predisposto. Soprattutto, nessuna novità. Si è sempre fatto così. Milioni di proibizioni. Un cerimoniale esatto da osservare. Tutto rigidamente stabilito. Manca l'atmosfera che dia la gioia di viverci.
Invece dovrebbe essere una Casa dalle finestre e dalle porte spalancate. Senza visi arcigni a custodirla. Una Casa in cui tutti dovrebbero trovarsi a loro agio. Nessuno sentirsi impacciato. Poter ridere, scherzare e... fare capriole. In cui non dico sia lecito disegnare i baffi al ritratto dell'antenato che ha partecipato alla battaglia di Lepanto, ma perlomeno è possibile appendere quadri nuovi, con personaggi di attualità. In cui si ha il coraggio di mettere in soffitta le suppellettili che non servono più. In cui la storia la scriviamo anche noi. In cui la vecchia zia, acida, bisbetica, che soffre di nervi, con le sue manie, le sue crisi, le sue fissazioni, non condiziona la vita di tutti, non blocca la vita degli altri. Le vogliamo tutti bene a questa vecchia zia. La curiamo, se ha bisogno. Ma ci lasci vivere. Ci lasci lavorare. Ci lasci respirare. Non ci tolga la gioia di vivere. E se strilla, lasciamola strillare. Non le metteremo certo le puntine da disegno sulla poltrona preferita e nemmeno la fotografia della cantante alla moda nel suo libro di devozioni, ma non asseconderemo più le sue paturnie. E se grida: «Dove andiamo a finire?», grideremo più forte: «Avanti!».
La Casa non dobbiamo immaginarla come il capolavoro di un architetto raffinato. Dev'essere il capolavoro dei figli. Dev'essere una casa di famiglia dove «c'è sempre un po' di disordine, le sedie talvolta mancano di un piede, i tavoli sono macchiati d'inchiostro e le scatole di marmellata si vuotano da sole nella dispensa» (Bernanos).
In questa Casa il centro è il cuore del Padre. E i mattoni, le pietre vive siamo noi. Noi siamo responsabili dell'atmosfera, dell'aria che vi si respira. Possiamo farne un capolavoro. O un inferno.
Di fronte al Cristo della Trasfigurazione, Pietro ha esclamato: «È bene stare qui». Ogni fratello, nella Casa, deve poter ripetere lo, stesso grido: «È bene, è bello stare qui». Nella Casa, sulla terra, ci si acclimata al Paradiso. Non al Purgatorio. Né, tantomeno, all'Inferno. La Casa deve essere «la prova generale» del Paradiso.
Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi, 302-305