sabato 7 marzo 2009

7 marzo

Un sondaggio sul rapporto tra le lavoratrici, i figli, la famiglia
La maggioranza cerca soddisfazioni nell'attività fuori casa. Con l'aiuto del compagno
"Desperate housewiwes? No grazie". In Italia le donne scelgono il lavoro
di Caterina Pasolini
Mamme e lavoratrici. Una lotta quotidiana a caccia dell'equilibrio perduto, riconquistato. In bilico perenne per bilanciare affetti e carriera, realizzazione personale e sensi di colpa atavici, figli, capo e compagni di vita. A raccontare un equilibrio possibile, raggiunto quotidianamente con fatica e fantasia dal 61% delle intervistate, è un sondaggio del mensile Psycologies. Un'indagine che racconta il nuovo rapporto delle donne con lavoro. Vissuto come libera scelta, in nome di una realizzazione personale a tutto campo che vede, ed è la prima volta, il supporto, la condivisione, la complicità del 75 % dei mariti d'accordo sull'attività della moglie. Anche se per le donne lavoratrici i sensi di colpa restano quotidiani anche perché i figli sembrano riottosi a lasciarle andare fuori: solo il 35 % appoggia la loro voglia di lavorare. (...)
Sono state intervistate 1908 donne. Il 46% è impiegata, il 20% libera professionista. Il 44% con un contratto full time a tempo indeterminato, il 19% indeterminato part time, il 14% tempo indeterminato, il 24% atipico (collaborazione, partita Iva).
Oggi le donne lavorano sempre di più per scelta (59%), non per necessità. L'occupazione rappresenta un piacere in più della metà dei casi (54%), è un'occasione di gratificazione personale (46%). Significa soddisfazione per il 56 % delle intervistate mentre è vissuto come necessità dal 44%.
Il lavoro è visto come un vero e proprio segno di identità tanto che viene scelto dalla donna spinta dal desiderio di autonomia e indipendenza (78%), per dimostrare qualcosa a se stessa (10%) ed è vissuto come un'occasione di gratificazione personale, come un piacere dal 54% delle intervistate. Il tratto distintivo del lavoro è nel 48% dei casi il fatto di avere un'attività interessante e o utile, vedere riconosciuti i propri meriti nel 35% dei casi. Solo il 40 % delle donne che hanno risposto al sondaggio smetterebbe di lavorare se potesse. E lo farebbe più per sé che per la famiglia. Nel 53% dei casi infatti, rinuncerebbe alla propria occupazione per dedicare più tempo a marito e figli, ma nel 56% per dedicare più tempo a se stessa.
Tra i motivi che portano le donne a non voler lasciare il lavoro l'idea che così perderebbero un'occasione di realizzazione personale 52%, la mancanza di stimoli culturali 24%, la mancanza di contatti col mondo esterno 37%. Insomma, poca voglia di diventare "desperate housewiwes".
La scelta di lavoro è condivisa dal 74% dei partner mentre il consenso crolla quando si parla di figli. I ragazzi contenti di avere una mamma che lavora sono solo il 36%, convinti nel 29% dei casi che lei vada in ufficio soprattutto per necessità e non per soddisfazione 28%. Più realisti e consapevoli di cosa pensa la donna, sono i partners. Il 42% è persuaso che il lavoro per la moglie sia soddisfazione, necessità per il 40.

Informazioni








Scarica qui il depliant che spiega i Gruppi sanguigni a cura di Avis Milano.

venerdì 6 marzo 2009

giovedì 5 marzo 2009

Ficcante ironia

Su le mani
di Massimo Gramellini
Dopo un lungo e democratico dibattito fra sondaggisti, il Pdl ha infine deciso le modalità con cui, a fine mese, sceglierà il suo leader fra Silvio e Berlusconi. Niente acclamazione con petardi e putipù, come avrebbe preteso l’ala critica del partito. Scartata anche la genuflessione, causa problemi tecnici (i tailleur delle delegate). Si procederà per alzata di mano: vietato usarne più di tre a testa, e questo per scoraggiare il mercato delle protesi. Lascia perplessi il basso profilo della scelta adottata. La «ola» avrebbe garantito una resa assai migliore nei telegiornali della sera. Per non parlare del «trenino» e della macarena, perfettamente in linea con la cultura egemonica: il villaggio-vacanze.
L’idea di fingere un’elezione vera, raccogliendo i voti anche per un rivale fantomatico a cui attribuire un 10 per cento di bandiera, è stata scartata perché noiosa e infatti già utilizzata da Franceschini nella recente pantomima del Pd. Ammainata a malincuore anche l’ipotesi dell’incoronazione nella cappella di Arcore dopo il rifiuto dei vescovi lefebvriani di partecipare alla cerimonia (che noiosi, non fanno che negare e negarsi su qualsiasi argomento), restava l’ipotesi di un karaoke sulle note del tormentone festivaliero di Arisa: «Silvio Pascià - è un elemento imprescindibile - per una coalizione stabile - che punti all’eternità». Ma pare sia stata bocciata dall’unica forma di democrazia ancora concessa alle masse: il televoto.

In vista di domani

Quando il digiuno imbarazza i cristiani
di mons. Mario Delpini
Avvenire - Milano 7 - 10.02.08
Il digiuno non fa più parte del linguaggio dei cristiani. È una parola che usano i medici che annunciano un intervento chirurgico, gli infermieri che ricevono prenotazioni per prelievi ed esami. Ma i cristiani, dopo secoli e santi di molti digiuni, usano la parola con imbarazzo. Ci sono buone ragioni per non fare del digiuno una priorità pastorale. In casa vivono bambini e anziani; ci sono ritmi di lavoro, stili di vita, relazioni abituali che impediscono di gestire la propria vita come si vorrebbe. Poi esistono modi di sfumare il digiuno per cui uno quasi non si accorge: un pasto ridotto, un piatto solo, meno o niente fuori dai pasti. Perciò quando tra gli avvisi si dice: «... e poi ricordo che il primo venerdì di Quaresima è giorno di digiuno oltre che di astinenza dalla carne», nessuno se ne preoccupa. Tuttavia se il papà, venerdì sera, tornando dal lavoro dicesse: «Stasera non mangio perché è il primo venerdì di Quaresima: vado in chiesa per pregare un po’ e portare un’offerta per la carità», non credo che la cosa passerebbe inosservata. Il venerdì sera può dunque raccontare la commozione di guardare il Crocifisso e un residuo di serietà a proposito del digiuno.

mercoledì 4 marzo 2009

A proposito dell'Assemblea sinodale / 2

DISCERNIMENTO COMUNITARIO

Un altro oggetto di discernimento in questa seconda fase nelle comunità cristiane è spesso il lavoro pastorale, la missione, le priorità apostoliche (chiudere o aprire una comunità in un determinato posto, assumere un compito pastorale, lasciarne un altro ecc.). Per questo motivo si è tornati a parlare di discernimento comunitario, in quanto si vuole che tutta la comunità partecipi alle scelte che si prendono. Il discernimento comunitario, nel senso proprio del termine, non significa arrivare alla scelta sommando i discernimenti individuali, ma che la comunità si riconosce come un organismo vivo, che le persone che la compongono creano una comunione dei cuori tale che lo Spirito si può rivelare e che esse lo colgono in quanto comunione di persone, unità di intesa.
Il discernimento comunitario fa leva sull'amore nel quale vive la comunità. La carità fraterna è la porta alla conoscenza. L'amore è il principio conoscitivo. Dunque, se realmente si vive nell'amore e non solo si pensa, si è nello stato privilegiato per la conoscenza delle realtà spirituali e per la creatività. Le intuizioni, la capacità creativa, inventiva, crescono proficuamente solo dall'amore. Allora la comunità può essere molto più sicura di essere sulla scia della volontà di Dio, che la intuisce, la conosce e che risponde, se discerne come comunità, proprio a causa dell'amore fraterno. Il discernimento comunitario non è dunque un semplice dibattito su un argomento, una riflessione guidata, partecipata; il discernimento comunitario non si muove sulle coordinate della valutazione democratica, con i processi di votazione usuali nei parlamenti.
Le premesse del discernimento comunitario
Sono necessarie alcune premesse perché il discernimento nel senso vero si possa realizzare:
- Le persone della comunità dovrebbero essere tutte ad uno stadio di vita spirituale caratterizzato da una radicale sequela Christi, con una esperienza riflettuta di Cristo pasquale. I membri della comunità devono essere dunque ben dentro alla logica pasquale e spinti da un autentico amore per Cristo che deve essere il primo nei loro cuori. (...)
- Le persone della comunità dovrebbero avere anche una maturità ecclesiale, una coscienza teologica della Chiesa liberata dai determinismi sociologici e psicologici, per una libera comprensione dell'autorità e dunque un libero atteggiamento di fronte ad essa. (...) Le persone devono essere, almeno in linea di principio, pronte ad entrare in una preghiera per liberarsi dalle proprie vedute, dai propri argomenti e dai propri desideri.
- Ci vuole la maturità umana di saper parlare in modo distaccato, pacato e conciso. Ci vuole la maturità di saper ascoltare fino in fondo, di non cominciare a reagire mentre l'altro ancora parla. Non solo esteriormente, ma anche interiormente, ascoltare fino alla fine. (...) Più ci si inciampa tra le persone, meno si è protesi verso la direzione giusta.
- Inoltre, ci vuole un superiore, una guida della comunità capace di portare a termine il processo di discernimento. Una persona cioè che abbia un'autorità spirituale, non semplicemente ex officio, e che conosca le dinamiche del discernimento, in modo da poterne guidare il processo.

M. I. Rupnik, Il discernimento, 123 ss.

Fai il download dell'intero paragrafo dalla nostra sezione Testi.

CSI e RIS

















Meno male che ci sono CSI e i RIS!

Se vedi solo nero...

Bergamo, il saluto fascista del prete lefebvriano
Lui è don Giulio Tam, padre lefebvriano che si definisce “gesuita itinerante”. Sabato scorso il sacerdote ha sfilato, accanto a Roberto Fiore, in testa al corteo di Forza Nuova a Bergamo: più che altro una parata militare, con i militanti forzanovisti che hanno marciato per le vie del centro muniti di caschi e bastoni. Tra saluti romani, “boia chi molla” e qualche “Sieg Heil”, la manifestazione ha accompagnato l’inaugurazione della nuova sede del movimento di estrema destra.

martedì 3 marzo 2009

Rinunce quaresimali

Una Newsletter “quaresimale”: siamo entrati in questo Tempo liturgico particolare e vogliamo dedicare una Newsletter al tema della “rinuncia”. Cercatela nella sezione Newsletter!

Oggi sui quotidiani fa scalpore la proposta di rinunciare agli sms… da quanto tempo lo dicevamo e lo avevamo proposto anche noi?!
Tant’è… visto che le sfumature delle interpretazioni sono molteplici, ne riportiamo un paio dal punto di vista giornalistico (con goffe imprecisioni teologiche e linguistiche) e una dal punto di vista spirituale-teologico (Enzo Bianchi). Speriamo di poter suggerire qualche buona idea a singoli e a comunità cristiane!

A proposito dell'Assemblea sinodale

Tutti gli esercizi di discernimento hanno infatti lo scopo di acquisire un atteggiamento costante di discernimento. C’è una grande differenza tra il discernimento come esercizio spirituale all’interno della preghiera e l’atteggiamento del discernimento acquisito ormai come habitus, come atteggiamento costante, come una disposizione orante alla quale portano tutti gli esercizi della preghiera.
L’atteggiamento del discernimento è uno stato di attenzione costante a Dio, allo Spirito, è una certezza esperienziale che Dio parla, si comunica, e che già la mia attenzione a Lui è la mia conversione radicale. E’ uno stile di vita che pervade tutto ciò che io sono e faccio.
L’atteggiamento di discernimento è vivere costantemente una relazione aperta, è una certezza che ciò che conta è fissare lo sguardo sul Signore e che io non posso chiudere il processo del mio ragionamento senza l’oggettiva possibilità che il Signore si possa far sentire - proprio perché è libero - e dunque mi faccia cambiare; l’atteggiamento di discernimento è quello che impedisce di intestardirsi: non ci si può rinchiudere nel proprio aver ragione, perché non sono io il mio epi¬centro, ma il Signore, che riconosco come la fonte dalla quale tutto proviene e verso la quale tutto confluisce.
L’atteggiamento del discernimento è dunque un’espres¬sione orante della fede, in quanto la persona permane in quell’atteggiamento di fondo di riconoscimento radicale dell’oggettività di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, Persone libere, e questo riconoscimento costituisce la fede.
Il discernimento non è allora un calcolo, una logica deduttiva, una tecnica ingegneristica in cui scaltramente bilancio mezzi e fini, né una discussione, una ricerca della maggioranza, ma una preghiera, l’ascesi costante della rinuncia al proprio volere, al proprio pensiero, elaborandolo come se dipendesse totalmente da me, ma lasciandolo totalmente libero.

M. I. Rupnik, Sul discernimento

Trovi il resto nella sezione Testi

lunedì 2 marzo 2009

Bello! Bene! Bravi! Bis!

Insopportabili leccapiedi

Adulo, dunque sono
Dalla politica al lavoro ai sentimenti: elogio della pratica più antica del mondo
di Mirella Serri
Lo fanno gli scimpanzé che offrendo cibo e sesso a volontà sono soliti incensare e arruffianarsi il capo per ottenere favori e benemerenze. E lo fa - da par suo, s'intende - anche Luciana Littizzetto, complice Fabio Fazio in «Che tempo che fa». Quando declama: «Sire Nostro che sei in the sky, Maestà, Nostro Figo Imperiale, Bello tra i Belli, Gran Pacco, Gran Pezzo di Body Art, Sovrano dei Paesi Bassi, Zar di tutte le Russie, Eccelso, Esimio, Ettore di tutte le Troie (intesa come città), Ape Regina...». Con chi ce l'ha la Littizzetto con l’esempio di sperticato elogio di Berlusconi? Con l'adulazione? Con la più utile di tutte le arti, come la definiva lo storico Edward Gibbon? O col peggiore dei vizi, come diceva Niccolò Machiavelli? O con un modello di prostituzione, di grande circo mediatico, di attiva e sottile forma di seduzione? Oggi il mestiere più antico (tra i praticanti c’erano Platone, Tacito e Cicerone) viene rivalutato nell'«Elogio dell'adulazione. Tra l'erudito e il faceto» del sociologo Willis Goth Regier (De Agostini). Spiega Regier che la pratica servile è parte integrante della moderna vita professionale ma se ne giovano pure l'equilibrio e la dinamica socioculturale collettiva. Già, proprio così: chi si genuflette e china la schiena può vivere meglio di tanti altri, facendo però attenzione a non incorrere in errori madornali. Come l'esagerazione. L'eccesso non giova.
Capitò al pittore Hans Holbein: dipinse la non appetibile principessa Anne di Clèves in modo indulgente e di fronte a quel ritratto Enrico VIII decise di convolare a nozze, ma dopo aver incontrato la blasonata in originale prese a pedate l'artista. Di licenziamenti per surplus di piaggeria non se ne ricordano comunque molti, nemmeno quando un solerte senatore propose di incoronare col Nobel per la pace Silvio Berlusconi. Era un enfatico omaggio-boomerang per il presidente del Consiglio, insediato da un anno e tre mesi. Il troppo stroppia e anche Racine fu costretto a riconoscerlo. Al poeta di Bérénice Luigi XIV si rivolse in questi termini: «Ti avrei apprezzato di più se mi avessi elogiato di meno».
La blandizie anche se viscida di amici e nemici svelenisce comunque il clima e rende i rapporti più armoniosi e sereni: è questa la tesi che permette allo studioso americano di considerare la piaggeria un efficace calmiere di spiriti conflittuali e ardenti. Ed è questo l'uso che oggi ne fa Sandro Bondi, il ministro dei Beni culturali nonché facitore di ossequiosi versi che dedica non solo a consanguinei politici ma anche a oppositori veementi: da Michela Vittoria Brambilla, "Ignara bellezza / Rubata sensualità / Fiore reclinato / Peccato d'amore", ad Anna Finocchiaro, "Nero sublime / Lento abbandono / Violento rosso... / Intrepido mistero", a Jovanotti, "Concerto / Vibrazioni dell'anima... / Onde dell'amore". Da don Abbondi - come Dagospia l’ha ribattezzato - ai cerimoniali delle corti dell'Europa imperiale, il passo è breve se si tratta di untuose lusinghe. Napoleone considerava le teste chine «uomini benedetti dal cielo».
Avido di lodi com'era, consumava la vena dei corifei che si libravano sempre nelle stesse formule ripetute fino allo stremo: «Dio della vittoria, Salvatore della patria, Pacificatore del mondo, Arbitro dell'Europa». A raccontare come una moderna corte napoleonica gli ambienti di Saxa Rubra e dintorni è stato Pierluigi Celli, l’ex direttore generale della Rai. Gli elogiatori sono duttili e veloci, non conoscono limiti o confini, nemmeno quelli che li separano dai nemici. Il poeta e filosofo Ralph Waldo Emerson rilevava che l'adulazione favorisce la competizione, e questo è vero anche oggi («Scrive sempre articoli di grande interesse che esprimono la cifra della grande politica», osserva Tremonti, insospettabile estimatore di Prodi). Gli adulatori si modellano abilmente sull'interlocutore: «Dicono all'uomo ricco che è un oratore e un poeta e che, se solo lo volesse, potrebbe essere un pittore e un musicista», osservava Plutarco. Per questo trasformismo molti li hanno disprezzati come striscianti mestatori: Tiberio li odiava, Galba li derideva, Marco Aurelio li ridicolizzava e così faceva a distanza di secoli il Kaiser Guglielmo I. Ma li hanno anche individuati come fonte di consolazione in caso di sconfitta (da Giulio Cesare a Caterina la Grande al ministro Brunetta che si complimenta con Veltroni che «ha trasformato le più cocenti sconfitte in trampolini di lancio»).
L'adulatore che sa far bene il suo mestiere è un valore aggiunto. Lo sanno i potenti con ambizioni artistiche. Per il primo romanzo di Veltroni si sono spesi giudizi come questo: «Racconto di amore e di fede nella forza e nello strazio dei sentimenti». Lo sperimentano in questi giorni politici-scrittori balzati sotto i riflettori, dal neosegretario del Pd Dario Franceschini al neoconsigliere d'amministrazione Rai, Giorgio Van Straten, circondati da nugoli di ammiratori che ne aumentano la statura e li rendono imponenti. Tanti adulatori tanto onore: «È piacevole avere dei parassiti, vuol dire che la qualità del tuo sangue è buona», affermava Aldous Huxley. Nietzsche concordava: «L'uomo è la specie più evoluta che ospita il maggior numero di parassiti». Un corpo senza il suo ruffiano di riferimento non vale niente, sosteneva Talleyrand. Shakespeare era d’accordo: disprezzava gli adulatori e con ciò si lasciava adulare. Oggi ne sono convinti anche nella casa del Grande Fratello. La prosperosa Cristina Del Basso nel confessionale si autoincensa: «Sono una di pelle, una che non ci pensa, percettiva, che va a sensazioni». E suscita il commento della telespettatrice Lilla: «Senza l'adulazione la donna vanitosa non può stare. Un esempio lampante è la tettona alle cui poppe si sono abituati tutti e che nessuno più elogia».
'autoadulazione - di cui erano maestri Cicerone e Franklin - è il grande spartiacque del nostro tempo, avverte Regier. Utilizziamola a più non posso come una crema tonificante per la pelle. Anche se magari va a finire che chi di adulazione colpisce, di adulazione perisce. È capitato a Emilio Fede che anni fa aveva osato dire del suo leader di riferimento «Lo amo». Oggi è stato stritolato dalle lodi di Iva Zanicchi: «Ti voglio bene, a te e alla tua tv così bella, pulita e vera».

domenica 1 marzo 2009

Cattive notizie

Che sia una cattiva notizia siamo d'accordo;
mi domando se sia autentica la convinzione che non ne abbiamo bisogno
:

ecc. ecc. ecc.

Quaresima

Quaresima e nuovi stili di vita
di Maria Chiara Rioli


Un digiuno di un giorno, per una Quaresima di relazioni e corresponsabilità. Uno strumento per ricordarci che le nostre azioni, i nostri stili di vita hanno ricadute in contesti geograficamente lontani. È questo il significato delle proposte per una Quaresima differente che diocesi di tutta Italia propongono da alcuni anni. Dal 2007 la diocesi di Trento propone un digiuno dall’uso dell’automobile, iniziativa che quest'anno viene integrata con altre: il digiuno dall spreco, dal denaro, dall'egocentrismo, dal virtuale, dall'alcol.
La diocesi di Venezia opta anche quest'anno per la rinuncia all’acqua in bottiglia , aderendo alla campagna “Imbrocchiamola, lanciata dal mensile Altreconomia.
A Modena invece il venerdì di Quaresima diventa il “No SMS Day”. Come spiega l’Ufficio di animazione e formazione missionaria di Modena “le nostre dita corrono veloci sulla tastiera del telefonino. Cambiamo i nostri cellulari a ripetizione, alla ricerca di un modello con nuove - spesso inutili - funzioni. Le nostre dita corrono su un minerale, il coltan, fondamentale per la tecnologia di telefoni, computer, videogiochi, satelliti e missili. Le nostre dita non pensano al viaggio che questo minerale compie: nel mondo l’80% del coltan proviene dalla regione orientale del Congo, il Kivu, dove una guerra civile ha causato oltre 4 milioni di morti negli ultimi dieci anni. L’estrazione e il commercio di questo minerale da parte di potenti multinazionali occidentali finanzia e alimenta la guerriglia”. La diocesi di Modena propone allora per quest’anno un digiuno particolare: nei venerdì di Quaresima tutti sono invitati a rinunciare all’uso degli SMS. Un piccolo modo per sottolineare che le nostre dita sul telefonino contribuiscono a scrivere la storia di milioni di vite in Congo e per ricordare l’importanza di relazioni concrete e non virtuali con gli altri. Per riscoprire, dunque, la bellezza dell’incontro.


L’impegno per una nuova pastorale centrata sui temi della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e di diverse pratiche quotidiane (singole, parrocchiali e diocesane) ha dato vita nel 2007 alla Rete interdiocesana sui nuovi stili di vita che incrocia oggi 19 realtà ecclesiali di tutta Italia, nel tentativo di individuare riflessioni e proposte concrete per un cattolicesimo italiano che integri realmente Vangelo e vita quotidiana. Il prossimo incontro della Rete è per sabato 21 febbraio a Verona. La proposta di un digiuno che sottolineasse l’urgenza di nuovi modelli di sviluppo e di relazioni è nato dall’intrecciarsi fecondo di queste esperienze. E, come ricorda il Papa nel suo messaggio per la Quaresima di quest’anno, “ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po’ della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una ‘terapia’ per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio”. Il Papa invita a una maggiore sobrietà e nel suo messaggio cita un antico inno liturgico quaresimale: “usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti”. In tempi di crisi economica, nuove piste ecclesiali su cui riflettere e ripartire.