lunedì 25 maggio 2009

Migrazioni

Carissimi assidui lettori di questo blog,
con il presente post vi annunciamo che
abbiamo completamente migrato a
www.seitreseiuno.net
Contiamo sulla vostra fedeltà:
passate a trovarci tutti i giorni!!

Altri e altro

«Altri costruiscano chiese, innalzino imponenti colonne, ornino le porte d'avorio e d'argento, e impreziosiscano di gemme gli altari. Io non condanno nessuno. Ognuno segua la sua opinione. D'altra parte è meglio spendere così piuttosto che custodire avaramente la propria ricchezza...
Ma altro è il tuo compito : vestire Cristo nei poveri, visitarlo negli ammalati, nutrirlo negli affamati, accoglierlo in quelli che non hanno un tetto».
s. Girolamo

domenica 24 maggio 2009

«Va tutto bene»...o no??!!

Conoscenza

«Come penetrare allora in questa conoscenza dell’uomo che non è disgiunta dalla rivelazione di Dio? Certo non attraverso la scienza, nel senso delle nostre «scienze umane», che riconosceremo e approveremo, ma attraverso la conoscenza cristiana che consiste in una conoscenza nella fede, una conoscenza in cui l’organo non è una facoltà separata ma l’uomo nella sua intierezza, una conoscenza che inizia e progredisce con la contrizione. Sarebbe più esatto dire, con il Vangelo ed i Padri greci, metanoia, nel significato di capovolgimento della nostra consapevolezza di esistere, di passaggio copernicano dal geocentrismo dell’io (individuale o collettivo) all’eliocentrismo che rivela, nella profondità degli esseri e delle cose, il sole divino».
Olivier Clément, Riflessioni sull’uomo, 10

venerdì 22 maggio 2009

Anniversario


Un anno fa, il 21 maggio, moriva mons. Luca Milesi.
Lo vogliamo ricordare
con una rassegna di foto
e con uno dei testi con cui i fedeli eritrei hanno inteso far memoria
dei suoi ultimi giorni e delle celebrazioni in suo onore.

Sua Eccellenza il Vescovo Luca Milesi di anni 84, che era un prete cappuccino, fondatore degli Istituti Secolari e primo Vescovo della Diocesi di Barentu, è morto mercoledì 21 maggio 2008 alle I0.00 della sera. Il suo funerale ebbe luogo il martedì 27 maggio 2008 nella cattedrale di Santa Croce nella città di Barentu.
Sua Eccellenza il Vescovo Luca Milesi continuando le consuete attività giornaliere, circa alle 9.30 del mattino del 20 maggio, aveva lasciato Asmara per Dekemhare e aveva pranzato con le sorelle della comunità dell’Eucarestia. Dopo il pranzo mentre stava chiacchierando e ridendo con le sue amatissime giovani postulanti della comunità, sentì un acuto dolore che non aveva mai sperimentato prima. Subito andò in bagno e vi rimase qualche tempo; le ragazze erano molto preoccupate per il suo attardarsi e quando bussarono alla porta non ci fu risposta, questo è il momento nel quale lo trovarono molto affranto per un grande dolore.
Subito dopo lui fu portato all’Asmara.
All’incirca verso le 7.00 della sera fu accolto nell’ospedale Sembele. Poi con l’aiuto dei dottori, e noi crediamo con l’aiuto della preghiere, si è ripreso rapidamente.
I suoi ragazzi, membri degli Istituti Secolari, furono molto felici quando ricominciò a scherzare e chiacchierare con loro ancora una volta.
Effettivamente, essi e lui stesso pensarono che questa era la fine del suo male.
Sfortunatamente, il giorno dopo intorno alle sei del pomeriggio il dolore ricominciò di nuovo.
E’ stata questa la volta che Sua Eccellenza disse: “ora la morte è venuta”.
I dottori e le infermiere fecero del loro meglio per salvargli la vita.
Egli ricevette gli ultimi sacramenti da Sua Eccellenza il Vescovo Mengistaab Tesfamariam della Diocesi di Asmara e dopo di lui il Vescovo Emerito Zekarias Yohans.
In breve entrò in coma. Alle dieci della sera se ne andò in pace, mentre era circondato da tutti quelli che lo amano, pregando e piangendo. Possa la sua anima riposare nella pace eterna!
A mezzanotte il suo corpo venerato fu portato all’ospedale Oarota National Referral per essere custodito fino a che fossero completati i preparativi per il funerale.
Aspettando il giorno del funerale... (prosegui la lettura tra i Testi)

Svezzamento

C'è mamma al telefono
di Massimo Gramellini
Non stupisce che una mamma sia stata condannata a 360 euro di multa per «stalking», dopo che per due anni e mezzo aveva perseguitato il figlio con una media di 49 telefonate al giorno. Non stupisce che l’amore di una mamma travolga qualsiasi bolletta e trovi nuove opportunità espressive nel progresso tecnologico: il telefonino, per esempio, che le consente di tenere sotto controllo il pupo a intervalli regolari (ogni quarto d’ora, calcolando che lo chiamasse anche durante il sonno). Non stupisce nemmeno che la mamma in questione abbia 73 anni e suo figlio intorno ai 40. Le mamme non vanno mai in pensione.
E a 40 anni i figli hanno appena superato il periodo dello svezzamento per accingersi a muovere i primi e incerti passi verso l’adolescenza: periodo affascinante ma irto di pericoli, che solo una mamma con la testa sul collo e la cornetta all’orecchio è in grado di sventare. Ecco, semmai stupisce che sia stato lui, il figlio, a denunciarla. Ma sicuramente dietro quella decisione ingenerosa si nasconderà la mano di una nuora intirizzita dalla gelosia. In realtà l’unico particolare che stupisce, in questa storia, è la nazionalità della mamma. Austriaca. Ma forse c’è una spiegazione anche qui: le mamme italiane, avendo i figli di 40 anni ancora in casa, non hanno alcun bisogno di perseguitarli sul telefonino.

giovedì 21 maggio 2009

Il modo di presentare gli ideali

Il confronto con lo sport non è forse più calzante per l'oggi,
ma la passione, l'istanza e la profezia ci sono tutte!

«Senta, signor parroco. Constatiamo prima di tutto un fatto. La nostra gioventù non ha perduto l’interesse né la passione verso le cose belle, benché tali inclinazioni si dispongano al momento verso obiettivi che noi non consideriamo meritevoli di passione.
Perché ciò che noi si stima degno non scalfisce punto la fresca anima giovanile?
Segno qui tre spiegazioni a titolo di ipotesi. O i giovani di oggi sono così diversi da noi e così guasti che non avvertono più il sapore dello spirituale; o gli ideali che noi presentiamo sono finiti; o noi presentiamo questi ideali in modo che non interessano.
Escludo la prima ipotesi senza discuterla. I nostri figliuoli sono come noi. Sentono vivamente i richiami del corpo, ma non sono insensibili alla vita dello spirito. Ogni generazione ha una propria fisionomia, la quale però si staglia da uno sfondo di umanità, che rimane perenne e immutabile. Ogni generazione ha pure un proprio fascino o sogno o innamoramento, giudicato sempre follia dall’età precedente. Senza volerla confessare, esiste una gelosa rivalità fra la generazione che sale e quella che tramonta. Essa si sfoga in reciproche incomprensioni, in reciproci rimproveri, ai quali non bisogna dare molto peso.
La seconda ipotesi l’ho messa fuori per scrupolo di sincerità, per rispondere a un momento di tentazione, che può sorprendere anche il più solido dei credenti, senza scuoterlo. L’irriflessione è un fenomeno di superficialità. Gli spiriti profondi riescono a vivere con passione anche i momenti difficili e a cavarne beneficio.
Il problema riguarda il modo di presentare l’ideale, e lo sport è la protesta quasi inconsapevole dei giovani contro chi, possedendo tesori, non li sa far amare.
Perché la gioventù si appassiona unicamente dello sport?
«È un divertimento - lei mi risponde - e i divertimenti attraggono facilmente».
Glielo concedo; ma sotto il divertimento i nostri giovani, inconsapevolmente forse, amano qualcos’altro. Lo sport è un’evasione dalla durezza della vita attuale, per avvicinarsi in qualche modo a soddisfare quel bisogno istintivo di libertà, che non esclude la disciplina.
Ogni imposizione suscita ribellione. In certi tempi essa è sfrontatezza, devastazione, persecuzione; in altri, come ora, indifferenza o passività. Il giovane evade oggi dai nostri metodi più che dalle nostre realtà, le quali non lo interessano nel modo con cui soltanto egli vorrebbe e potrebbe essere interessato.
Se don Bosco tornasse, attraverso lo sport c’insegnerebbe la strada per arrivare ai giovani. Il che non vuol dire fare dello sport, ma cogliere i bisogni eterni dello spirito attraverso le espressioni mutevoli di esso.
Non si è ancora accorto, signor parroco, che lo sport è l’unica evasione dal grigiore e dall’uniformità schiacciante dell’epoca?
L’arte è sotto un’irruzione barbarica, che avrà forse in un tempo lontano la sua libera e piena espressione; il lavoro, quando c’è, è tecnica e incontra dappertutto la macchina, cioè una barriera, sia pure una barriera d’intelligenza concentrata; la politica è di pochi; la religione è senza fervore.
Soltanto nel mondo dello sport la fantasia e la potenza creatrice del giovane si sbizzarriscono a piacimento, creando e distruggendo i propri idoli con volubilità prepotente. Egli è attore anche quando è spettatore: folla, giudice, arbitro, ribelle... Lo stadio è il nuovo parlamento; e lo sport la nuova liturgia di una religione che sembra rinnegare ogni religione, perché nessuna viene offerta come respiro dell’anima.
Chi ha cura d’anime e preoccupazioni educative dovrebbe riconoscere che tra le varie attività quella sportiva è l’unica forse che lascia all’individuo, anche al più modesto e insignificante, l’illusione di una maggiore libertà personale.
Essa non è soltanto il passatempo o il diversivo dei disoccupati dello spirito o delle superiori attività della vita; è la sostituzione di una sciocchezza, ma di una sciocchezza - se lei così vuole chiamarla - propria, personale; è la caserma, l’uniformità, il grigiore che cedono davanti a una fiammata, in cui io, chiunque, anche il più stupido, ha un sentimento, un’opinione, un’approvazione.
Lei capisce bene, signor parroco; scrivendole così, non voglio dire che approvo ciò che constato e non posso non constatare. Questa non è la verità che i cattolici devono predicare. Ma la verità, nell’ordine morale, non dipende unicamente dai princìpi, ma anche dalle situazioni particolari, alle quali essi si debbono applicare. Anche i fatti sono verità, dolorose verità, delle quali bisogna tenere conto se si vuole agire sugli uomini.
La storia è piena di idee false che, presentate con forza, hanno prodotto formidabili realtà in eguale misura, se non di più delle idee vere.
L’errore, dal momento che si impone, diviene un fatto, come la verità, e anche più di una verità che non riesce a farsi ascoltare.
Io credo che nessuno sia dispensato dal guardare in faccia simili realtà che non si distruggono, né con deplorazioni né con condanne».
don Primo Mazzolari, Lettere al mio Parroco, 85-88.
Gli originali sono degli anni ‘30.

Erri De Luca sui migranti

Per cominciare la giornata in bellezza

mercoledì 20 maggio 2009

Sempre a proposito

Parlare di tutto
per non parlare di nulla.
Cfr "Il Gattopardo"

A proposito: sulla governance

L'inglese dei furbi
di Massimo Gramellini
Ieri telefona un tipo e con la voce gorgogliante di uno che si è appena inghiottito la boccetta del dopobarba dice: «Salve, mi occupo di fund raising per alcuni importanti social events». «Complimenti», rispondo. E intanto prendo tempo, cercando di sondarlo con domande laterali. Alla fine capisco che si tratta di un disperato che chiede denaro per finanziare iniziative di beneficenza in tempi di crisi. Però, vuoi mettere: fund raiser. Ha un suono da Guerre Stellari, benché significhi «procacciatore di grano». Solo dei maestri di ipocrisia potevano riuscire a trasformare la lingua più diretta del mondo in un ennesimo travestimento. E noi, modestamente, siamo quei maestri. Un’altra espressione anglo-furba è peace-keeping. Letteralmente vuol dire «tenere la pace», ma in realtà la si adopera per fare la guerra. Anche gli americani la usano, sia pure con più prudenza e imbarazzo. I nostri invece ne parlano in tono giulivo, come se peace-keeppare fosse un’attività ginnica da consigliare a chiunque sia un po’ sovrappeso.
Ma là dove il nostro stravolgimento dell’inglese raggiunge vette di puro e surreale sadismo è nella parola «governance». Appena vedete qualcuno assumere un tono grave e affermare: «In questa azienda esiste un problema di governance», toccatevi la sedia sotto il sedere perché è iniziata l’opera di falegnameria. Segare la poltrona di un altro prima che lui la seghi a te: questa è governance. Ma se nei proverbi degli avi comandare era meglio che fare sesso, esercitare la governance mi sembra un formidabile antidoto al viagra.

Assemblea sinodale del clero: cvd

Assemblea sinodale del clero

«Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.
Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi».
1 Lettera di Giovanni, 1,5-10

martedì 19 maggio 2009

A proposito di "stranieri"

Pietro allora prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga».
Atti degli apostoli 10,34-35

Anniversario


Dieci anni fa, alla PUG di Roma, discutevo la tesi di dottorato.

Ecco le parole di ringraziamento con cui concludevo la presentazione.

Rispettoso della dinamica simbolica che ho creduto di rintracciare negli Autori che mi hanno guidato in questa ricerca, mosso dallo Spirito vorrei concludere con un’operazione squisitamente simbolica, del simbolismo realista di cui Solov’ëv mi è stato maestro.
Vedo mia mamma, mio papà, mio fratello e mia sorella, insieme agli altri miei parenti e benedico il Padre che ha voluto il sacramento del matrimonio e che ci ha donato di essere famiglia cristiana, a cui sono aperti futuri di bene.
Vedo p. Rupnik e benedico il Padre per avermi fatto accostare un modo profondo ed entusiasmante di contemplare la realtà creata, in un intreccio per me ormai indispensabile di teologia, antropologia, relazioni e carità.
Vedo p. Rosato e p. Brodeur e benedico il Padre che mi ha fatto incontrare col mondo stimolante della PUG, e per l’impressione enorme che suscita in me l’incontro con tanti professori e con gli immensi scaffali della Biblioteca.
Vedo don Diego e don Sandro e benedico il Padre che mi ha fatto trovare un tetto e un letto (nonché un tavolo e un campo da calcetto!) dove vivere i cinque anni romani.
Vedo don Gianfranco e don Franco Giulio e benedico il Padre che ha donato lo spirito di discernimento sulla mia storia e di saggezza alla riflessione teologica del mio Seminario.
Vedo don Francesco, don Carlo, don Roberto, don Andrea e un sacco di altri don e benedico il Padre per il dono della mia vocazione e dell’amicizia con loro, fonte perenne della crescita del mio essere persona in relazione.
Vedo i fratelli e le sorelle del mio paese d’origine, S. Vittore Olona, e benedico il Padre per la cura con cui ha accompagnato la ferialità della mia crescita.
Vedo gli amici della Parrocchia di Milano S.Luca e benedico il Padre per il ministero e per l’affetto di cui sono circondato.
Vedo gli amici del Gruppo Scout Roma 122 (e non solo!) e benedico il Padre che mi ha introdotto in questo mondo affascinante e mi ha educato, attraverso di loro, ad essere giovane prete.
Vedo che non vedo con gli occhi fisici tutti, ma li raggiungo con i sensi spirituali e benedico il Padre che mi ha concesso, anche in questa maniera, di stare vicino alle altre creature del sesto giorno.
Benedico il Padre per tutte le persone che con me hanno vissuto in modo intenso, sereno e casto il loro eros, e mi hanno così sussurrato la necessità, la possibilità e la plausibilità di un tale lavoro teologico.
Attraverso voi vedo realmente il volto della Trinità e per questo benedico il Padre che ha creato agli uomini e le donne, figli suoi.
Amen.

lunedì 18 maggio 2009

Tragedie

«Possiamo perdonare un bambino che ha paura del buio. La vera tragedia della vita e' quando gli uomini hanno paura della luce».
Platone

Sguardo straniero

Immigrati urla e silenzi
di Barbara Spinelli
Nel dichiarare guerra agli immigrati clandestini e alla tratta di esseri umani, il governo è sicuro di una cosa: dalla sua parte ha un gran numero di italiani, almeno due su tre. Ne è sicura la Lega, assai presente nel territorio. Ne è sicuro Berlusconi, che scruta in quotidiani sondaggi l’umore degli elettori. Non ci sono solo i sondaggi, d’altronde: indagini e libri (per esempio quello di Marzio Barbagli, Immigrazione e sicurezza in Italia, Mulino 2008) confermano che la paura - in particolare la paura della crescente criminalità tra gli immigrati - è oggi un sentimento diffuso, che il politico non può ignorare. A questo sentimento possente tuttavia i governanti non solo si adeguano: lo dilatano, l’infiammano con informazioni monche, infine lo usano. È quello che Ilvo Diamanti chiama la metamorfosi della realtà in iperrealtà.
Negli ultimi vent'anni l’iperrealismo ha caratterizzato tre guerre, fondate tutte sulla paura: la guerra al terrorismo mondiale, alla droga e alla tratta di esseri umani. Le ultime due son condotte contro mafie internazionali e italiane (la tratta di migranti procura ormai più guadagni del commercio d’armi) i cui rapporti col terrorismo non sono da escludere. Sono lotte necessarie, ma non sempre il modo è adeguato: contro il terrorismo e i cartelli della droga, la guerra non ha avuto i risultati promessi.
George Lakoff, professore di linguistica, disse nel 2004 che la parola guerra - contro il terrore - era «usata non per ridurre la paura ma per crearla». La guerra alla tratta di uomini rischia insuccessi simili. Le tre guerre in corso sono spesso usate dal potere politico, che nutrendosene le rinfocola.
Roberto Saviano lo spiega da anni, con inchieste circostanziate: ci sono forme di lotta alla clandestinità votate alla sconfitta, perché trascurano la malavita italiana che di tale traffico vive. Ed è il silenzio di politici e dei giornali sulle nostre mafie a trasformare l’immigrato in falso bersaglio, oltre che in capro espiatorio. Lo scrittore lo ha ripetuto in occasione dei respingimenti in mare di fuggitivi. Le paure hanno motivo d’esistere, ma per combatterle occorrerebbe andare alle radici del male, denunciare i rapporti tra mafie straniere e italiane: le prime non esisterebbero senza le seconde, e comunque la malavita viaggia poco sui barconi. Saviano dice un’altra verità: se ci mettessimo a osservare le condotte dei migranti, la paura si complicherebbe, verrebbe controbilanciata da analisi e sentimenti diversi. Una paura che si complica è già meno infiammabile, strumentalizzabile.
Saviano elenca precise azioni di immigrati nel Sud Italia. Negli ultimi anni, alcune insurrezioni contro camorra e ’ndrangheta sono venute non dagli italiani, ormai rassegnati, ma da loro. È successo a Castelvolturno il 19 settembre 2008, dopo la strage di sei immigrati africani da parte della camorra. È successo a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, dopo l’uccisione di lavoratori ivoriani uccisi perché ribelli alla ’ndrangheta, il 12 dicembre 2008. Ma esistono altri casi, memorabili. Il 28 agosto 2006, all’Argentario, una ragazza dell’Honduras, Iris Palacios Cruz, annega nel salvare una bambina italiana che custodiva. L’11 agosto 2007 un muratore bosniaco, Dragan Cigan, annega nel mare di Cortellazzo dopo aver salvato due bambini (i genitori dei bambini lasciano la spiaggia senza aspettare che il suo corpo sia ritrovato). Il 10 marzo 2008 una clandestina moldava, Victoria Gojan, salva la vita a un’anziana cui badava. Lunedì scorso, due anziani coniugi sono massacrati a martellate alla stazione di Palermo, nessun passante reagisce tranne due nigeriani, Kennedy Anetor e John Paul, che acciuffano il colpevole: erano giunti poche settimane fa con un barcone a Lampedusa. Può accadere che l’immigrato inoculi nella nostra cultura un’umanità e un senso di rivolta che negli italiani sono al momento attutiti (Saviano, la Repubblica 13 maggio 2009).
Questo significa che in ogni immigrato ci sono più anime: la peggiore e la migliore. Proprio come negli italiani: siamo ospitali e xenofobi, aperti al diverso e al tempo stesso ancestralmente chiusi. Sono anni che gli italiani ammirano simultaneamente persone diverse come Berlusconi e Ciampi. Oggi ammirano Napolitano; anche quando critica il «diffondersi di una retorica pubblica che non esita, anche in Italia, ad incorporare accenti di intolleranza o xenofobia». Son rari i popoli che hanno di se stessi un’opinione così beffarda come gli italiani, ma son rari anche i popoli che raccontano, su di sé, favole così imbellite e ignare della propria storia. L’uso che viene fatto della loro paura consolida queste favole. Nel nostro Dna c’è la cultura dell’inclusione, dicono i giornali; non c’è xenofobia né razzismo. Gli italiani non si credono capaci dei vizi che possiedono: il nemico è sempre fuori. Non vivono propriamente nella menzogna ma in una specie di bolla: in un’illusione che consola, tranquillizza, e non per forza nasce da mala fede. Nasce per celare insicurezze, debolezze. Nasce soprattutto perché il cittadino è molto male informato, e la mala informazione è una delle principali sciagure italiane. È vero, la criminalità tra gli immigrati cresce, ma cresce in un clima di legalità debole, di mafie dominanti, di degrado urbano. Un clima che esisteva prima che l’immigrazione s’estendesse, spiega Barbagli. Se la malavita italiana svanisse, quella dei clandestini diminuirebbe.
La menzogna viene piuttosto dai governanti, e in genere dalla classe dirigente: che non è fatta solo di politici ma di chiunque influenzi la popolazione, giornalisti in prima linea. Tutti hanno contribuito alla bolla d’illusioni, al sentire della gente di cui parla Bossi. Tutti son responsabili di una realtà davanti alla quale ora ci si inchina: che vien considerata irrefutabile, immutabile, come se essa non fosse fatta delle idee soggettive che vi abbiamo messo dentro, oltre che di oggettività. I fatti sono reali, ma se vengono sistematicamente manipolati (omessi, nascosti, distorti) la realtà ne risente, ed è così che se ne crea una parallela. La realtà dei fatti è che ogni mafia, le nostre e le straniere, si ciba di morte, di illegalità, di clandestinità. La realtà è un’Italia multietnica da anni. Il pericolo non è solo l’iperrealtà: è la manipolazione e la mala informazione.
Per questo è un po’ incongruo accusare di snobismo o elitismo chi denuncia le attuali politiche anti-immigrazione. Quando si vive in una realtà manipolata, chi si oppone non dice semplicemente no: si esercita ed esercita a vedere i fatti da più lati, non solo da uno. Rifiuta di considerare, hegelianamente, che «ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale». Che ciò che è popolare è giusto, e ciò che è impopolare ingiusto o cervellotico. Bucare la bolla vuol dire fare emergere il reale, cercare le verità cui gli italiani aspirano anche quando s’impaurano rintanandosi. Accettare le loro illusioni aiuta poco: esalta la loro parte rinunciataria, lusinga le loro risposte provvisorie, non li spinge a interrogarsi e interrogare.
Lo sguardo straniero sull’Italia è prezioso, in tempi di bolle: ogni articolo che viene da fuori erode la mala informazione. Non che gli altri europei siano migliori: nelle periferie francesi e inglesi l’esclusione è semmai più feroce. Ma ci sono parole che lo straniero dice con meno rassegnazione, meno cinismo. Ci sono domande e moniti che tengono svegli. Per esempio quando Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, ci chiede come mai accettiamo tante cose, dette da Berlusconi, manifestamente false. O quando Perry Anderson chiede come mai l’auto-ironia italiana non abbia prodotto una discussione sul passato vasta come in Germania (London Review of Books, 12-3-09). O quando l’Onu ci rammenta le leggi internazionali che stiamo violando.

domenica 17 maggio 2009

Esorcismi

Ci sentiamo presto
di Massimo Gramellini
Passeggiando fra gli stand della Fiera del Libro, così come in qualunque altra festa, convegno o luogo di convivenza forzosa fra simili, ogni dieci passi ci si imbatte in una persona che non vedi e non senti da molto tempo. Ci si saluta con estrema cordialità, ma anche con una certa fretta, perché dieci passi più indietro già si profila un’altra persona da salutare.
L’incontro si riduce a una stretta di mani logorate dall’uso o a uno scambio di baci al vento (se per sbaglio qualcuno centra la guancia dell’altro viene guardato con sospetto, come se fosse portatore di qualche peste miracolosamente sfuggita al terrorismo dei media). La conclusione dello struscio, invece, è sempre la stessa: ci sentiamo presto, dice uno. E l’altro, di rimando: hai il mio nuovo cellulare? Segue la ricerca di una biro e di un posto dove scrivere il numero, di solito il bordo del programma, almeno fino a esaurimento dei bordi. Salvo scoprire che il numero è sempre lo stesso, come la scarsa volontà-necessità di sentirsi.
Eppure quel «ci sentiamo presto» rimbomba di continuo sotto le volte del Lingotto, così come in ogni altra festa, convegno e luogo di convivenza forzosa fra simili. Non è solo una piccola menzogna dettata dall’ipocrisia. Piuttosto è un modo di esorcizzare la morte. I distacchi sembrano sempre addii, ne sa qualcosa chi trascina all’infinito una storia d’amore pur di non dover sopportare il trauma dello strappo. Perfino durante le cerimonie apparentemente innocue dei saluti, le persone cercano rassicurazioni sull’immortalità. A proposito: ci sentiamo presto.

Fidiamoci!


«Se non c’è più bellezza, gli uomini non possono far altro che odiarsi».
Olivier Clément, Occhio di fuoco, 26

venerdì 15 maggio 2009

Per continuare ad ascoltare

Non conosco gli estensori di questo appello,
né conosco tutte le sfumature che possono essere lette dietro le loro espressioni.
Posso però stare ad ascoltare che esiste anche questo
e posso confermare che questo sentore l'ho sentito anche in me e attorno a me.
don Chisciotte

Promotori dell'appello sono alcuni sacerdoti e laici, non solo palermitani
Chiesa anti-mafia. L'appello
Da tempo, a Palermo, un gruppo di laici e preti si incontrano per discutere dei problemi della chiesa e della città nel solco dell'esperienza compiuta negli anni ottanta e novanta in Sicilia sul problema mafioso. Oggi avvertono un nuovo disagio e preoccupazione per le posizioni che vengono assunte da una parte della gerarchia ecclesiastica. Esprimono amarezza per il rigorismo etico che devasta la speranza umana. Si sentono non solo estranei a questo spirito chiuso e settario che si intromette nelle cose del mondo e della politica, ma ne prendono anche le distanze. Pregano Dio che si riesca a voltare pagina nella chiesa italiana e si torni allo spirito evangelico e del concilio e alla povertà. E auspicano che il rigore etico venga mostrato apertamente e senza peli sulla lingua contro i potenti e i profittatori del nome cristiano.
Promotori dell'appello sono alcuni sacerdoti e laici, non solo palermitani. In ordine alfabetico sono: Giuseppe Barbera (laico), Nino Fasullo (prete), Rosellina Garbo (laica), Rosario Giuè (prete), Tommaso Impellitteri (laico), Teresa Passatello (laica), Teresa Restivo (laica), Franco Romano (prete), Zina Romeo (laica), Rosanna Rumore (laica), Cosimo Scordato (prete), Francesco Michele Stabile (prete). L'appello finora ha raccolto più di 300 adesioni. Tra cui i seguenti preti: Aurelio Antista (prete), Gregorio Battaglia (prete), Alberto Neglia (prete), Egidio Palombo (prete); Giovanni Calcara (frate), Gianni Novelli (prete). (...)
TESTO DELL'APPELLO
Appello per una chiesa più solidale e compassionevole
Molti fatti con i quali veniamo a contatto ci dicono che oggi la Chiesa tende progressivamente a isolarsi dal mondo contemporaneo. Molti uomini e donne, specie giovani, avvertono, da parte loro, una radicale estraneità dalla Chiesa. Tra Chiesa e società sembra essersi determinata una drammatica frattura su questioni importanti come la libertà di coscienza, i diritti umani (fuori e dentro la Chiesa), il pluralismo religioso, la laicità della politica e dello Stato. La Chiesa appare ripiegata su se stessa, chiusa e incapace di dialogare con gli uomini e le donne del nostro tempo.
Siamo molto preoccupati per le conseguenze negative che tale perdurante situazione produce per l'annuncio del Vangelo. Per questo, ci sembra saggio riprendere e rilanciare la feconda intuizione di Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II: quella di "un balzo in avanti" della chiesa per una testimonianza in grado di rispondere "alle esigenze del nostro tempo".
Il tentativo in atto di contenere lo Spirito del Concilio è, a nostro avviso, un grave errore che, se perseguito fino in fondo, non può che aumentare in modo irreparabile lo steccato tra Chiesa e società, Vangelo e vita, annuncio e testimonianza.
A noi sembra che l'insistere su visioni e norme anti-storiche o non biblicamente fondate o, talvolta, anti-cristiane, non aiuti la credibilità ecclesiale nell'annuncio del regno di Dio.
Vanno ripensati, ad esempio, le questioni riguardanti l'esercizio della collegialità episcopale e del primato papale, i criteri nella nomina dei vescovi che salvaguardino il pluralismo, la condizione dei divorziati, dei separati e delle persone omosessuali, l'accesso delle donne ai ministeri ecclesiali, la dignità del morire non terrorizzati. Vogliamo una Chiesa che non imponga mai a nessuno le proprie convinzioni sui problemi dell'etica e della politica e si fidi solo della forza libera e mite della fede e della grazia di Dio. Vogliamo una Chiesa che pratichi la compassione e trovi nella pietà la sua gloria. E faccia sue le parole che il santo padre Giovanni XXIII incise sul frontone del Concilio: "Oggi la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi non rinnovando condanne ma mostrando la validità della sua dottrina... La Chiesa vuol mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà, anche verso i figli da lei separati".
Vogliamo una Chiesa che sappia dialogare con gli uomini e le donne e le loro culture, senza chiusure e condizionamenti ideologici, e impari ad ascoltare e a ricevere con gioia le cose vere e buone di cui gli interlocutori sono portatori. La verità e la bontà sono di Dio, il quale le dà a tutti gli uomini e non solo ai cristiani.
Vogliamo che al centro della Chiesa venga messo il Vangelo e la sua radicalità. Solo così la Chiesa potrà essere vista e sperimentata come "esperta in umanità".
È tempo che, senza paura, nella Chiesa e nella città prendiamo la parola da cristiani adulti e responsabili, pronti a rendere conto della speranza cristiana.
Palermo 25 febbraio 2009

giovedì 14 maggio 2009

Buona notizia

di Massimo Gramellini
Chiedo scusa, ma avrei una buona notizia. Santiago Gori, residente a La Plata (Argentina) ha trovato sul sedile posteriore del suo taxi una valigia che conteneva l'equivalente di 15 mila euro. Veramente la buona notizia non è questa. Per quanto 15 mila euro, di questi tempi. Santiago ha rintracciato chi aveva perso la valigia e l'ha restituita, piena. Ma la buona notizia non è ancora questa. Per quanto una persona che obbedisce alla sua coscienza senza esserne costretta sia più rara di un panda che balla il rock'n'roll su un tapis roulant. Due pubblicitari hanno aperto un sito in onore del tassista, invitando i lettori a ricompensarlo. Ma la buona notizia non è neppure questa. Per quanto possa apparire straordinario, ai confini del paranormale, che ad avere l'idea siano stati dei pubblicitari, cioè la categoria di comunicatori che contende ai giornalisti l’oscar del cinismo. Da tutto il Sud America hanno risposto all'appello. Ciascuno sta donando a Santiago quel che ha: soldi, pizze, navigatori satellitari, biglietti per il teatro, persino un servizio completo di depilazione. Chi non ha nulla, spedisce abbracci, baci, benedizioni. E tutti hanno scritto: grazie per averci spiegato cos’è l’onestà. Le persone hanno fame di gesti più che di parole. Diffidano dei discorsi e si lasciano sedurre dagli esempi. Finora la regola funzionava solo con quelli cattivi. Ora incomincia ad allargarsi all'altro reparto. La buona notizia è questa. Per quanto ancora così rara. Ma d'altronde, se non fosse rara, non sarebbe una notizia.

mercoledì 13 maggio 2009

Diritto alla vita: non negoziabile

Il mondo cattolico: interculturalità per creare integrazione
Miano (Ac): «La sfida è garantire sicurezza e rispetto» Olivero (Acli): «Siamo già multietnici». Crimi (Comboniani): «Non ci si chiede perché tanti profughi?»di Paolo Lambruschi
Per costruire una società interculturale nel nostro Paese serve «rigoroso rispetto della legalità». Lo ha detto domenica il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, il vescovo Mariano Crociata, il quale ha ribadito i pilastri – rispetto della legge e dialogo tra culture diverse – sui quali secondo la Cei deve fondarsi l’integrazione degli immigrati. Dopo aver rilevato che l’Italia «vive già e non da oggi una realtà di intercultura», Crociata ha precisato che «corollario di questa convinzione è che tutto deve essere inserito in un rigoroso rispetto della legalità, necessaria garanzia per l’integrazione». Anche ieri numerose associazioni e congregazioni religiose cattoliche sono intervenute sulla vicenda del respingimento in Libia dei barconi di migranti e sulle polemiche riguardo alla società multietnica nate da una frase del premier Berlusconi. Il presidente di Azione Cattolica Franco Miano ha espresso disappunto per la strumentalizzazione politica dell’immigrazione. Per il presidente nazionale di Ac, «il nostro impegno è costruire una cultura dell’accoglienza, che è un valore cristiano e dunque né di destra, né di sinistra, e la società multietnica che alcuni rifiutano è già un dato di fatto per il nostro Paese». In definitiva, «la sfida per la politica è come far crescere legalità e sicurezza senza intaccare il rispetto della persona migrante e senza chiudere pregiudizialmente la porta». Anche Andrea Olivero, presidente delle Acli, ha osservato che l’Italia «è già multietnica. Mettersi contro questa realtà significa che ci stiamo arroccando e chiudendo al nostro stesso sviluppo». Olivero ha chiesto poi di fermare i respingimenti. «L’idea che si possa respingere un barcone in mare senza dare garanzie rispetto alla vita delle persone coinvolte, ci allarma come cittadini e come cristiani. Una persona è tale a prescindere dai documenti che ha o no in tasca. Il suo diritto alla vita è un valore non negoziabile». L’agenzia per la cooperazione allo sviluppo dei missionari scalabriniani, attraverso il presidente, padre Beniamino Rossi, ha chiesto una «verifica politica sugli aiuti e la collaborazione dell’Italia e dell’Europa con il governo di Tripoli» nel contrasto all’immigrazione irregolare, poiché «di fatto l’Italia finanzia campi di detenzione e sostiene la prassi discriminatoria e vessatoria delle forze dell’ordine libiche». Il sacerdote ha invitato, tra l’altro, a «non confondere il fenomeno vasto e complesso dell’emigrazione clandestina» con i richiedenti asilo, «veri e propri casi umanitari». Dura anche la presa di posizione della Tavola della pace, riunita ad Assisi. «La decisione del governo italiano di respingere i disperati che fuggono dalla guerra, dalle torture, dalla fame e dalla miseria ci fa male, ci offende e ci ferisce. Non parliamo di immigrati ma di persone, donne, uomini e bambini. Hanno paura, freddo e fame. Ci chiedono asilo e protezione, li respingiamo senza pietà». Per i Comboniani si è espresso padre Claudio Crimi sul sito della rivista della congregazione «Nigrizia ». «Ma i politici si sono mai chiesti perché ci sono tanti profughi e rifugiati? Si sono mai chiesti da dove vengono e perché? Possibile che siamo così ciechi che, invece di andare alla radice del problema, pensiamo di affrontarlo chiudendo i portoni di casa?» «Solo la vera ricerca di giustizia ed equità – conclude il missionario – e un lavoro di coordinazione con i paesi poveri, un lavoro di formazione di classi dirigenti oneste in Africa e nel mondo potrà dare a lungo termine una soluzione po­sitiva ». Infine, la federazione delle chiese evangeliche ha espresso «profonda indignazione e dolore per le ultime scelte del Governo di respingere in Libia uomini, donne e bambini in fuga da povertà, guerre e persecuzioni, senza che sia data la pos­sibilità di chiedere asilo come previsto dalla Costituzione, dalle convenzioni europee e internazionali ».
Avvenire, 12 maggio 2009, p. 8

Festa della Madonna dei fiori

martedì 12 maggio 2009

Anniversario

Un anno fa, l'11 maggio 2008,
la Graduation di Stefania alla
Kelly Business School di Indianapolis!
COMPLIMENTI!


Cristiani??

«Anche nella Chiesa paure e chiusura agli stranieri»
L’amara riflessione di don Giancarlo Quadri, responsabile della Pastorale diocesana dei migranti, sul vento gelido che colpisce spesso le comunità cristiane.
di Pino Nardi
«Sono molto preoccupato da questo clima anche nella Chiesa. Quando vedono sul cartello che parlerò io, vengono solo quei pochi che sono d’accordo con la tesi dell’accoglienza. Non c’è più il coraggio del confronto serio e profondo, magari anche un po’ forte, però costruttivo. Questa la chiamo emergenza culturale». Don Giancarlo Quadri, responsabile dell’Ufficio per la pastorale dei migranti, lancia l’allarme: il gelo della paura e della chiusura soffia anche nella Chiesa ambrosiana, perdendo così per strada i valori evangelici.
Il cardinale Tettamanzi a Pasqua ha chiesto alle comunità cristiane di essere esemplari nell’accoglienza, nello sguardo libero dai pregiudizi. È solo un auspicio?
Senz’altro non è solo un auspicio. Credo sia una presa di coscienza anche da parte dell’Arcivescovo che purtroppo anche nelle nostre parrocchie si incontrano ormai sempre più profonde divisioni, discrepanze, ostacoli, esitazioni, per non dire anche contrarietà abbastanza diffuse per quanto riguarda il tema della migrazione.
Anche se non manca un impegno grande verso i bisogni degli immigrati...
Certo, sottolineiamo prima di tutto le cose bellissime fatte in questi 30 anni di immigrazione. Non bisogna mai dimenticarle. Come l’organizzazione della Caritas, i centri di ascolto, le case di accoglienza. Insomma, un panorama di attività, di intraprendenze, di originalità che davvero meraviglia. Però cerchiamo di rilevare anche quali sono le stanchezze, in modo da risolverle.
E quali sono queste stanchezze?
Sono di immediata evidenza. Quando vado in giro per le parrocchie, come mi capita ogni sera, vedo sempre più il primo grande ostacolo nel non saper distinguere un’accoglienza fatta di emergenze e del sovvenire a cose materiali, dal senso vero e profondo dell’accoglienza. Cioè un’apertura d’animo che dica che sono persone, prima di tutto miei fratelli, che arrivano per un piano preciso di Dio, della sua Provvidenza. Il primo passo è porsi davanti alla Parola, prima che all’analisi sociologica e chiederci il perché di questa migrazione. Credo che la comunità cristiana si dovrebbe distinguere per questo. E servirebbe anche a creare nella società, che purtroppo non è più permeata da valori cristiani, un nuovo clima culturale, un modo di vita di relazioni tra persone e gruppi sociali diverse da quelle improntate al guadagno, allo sfruttamento, alla non comunicazione. Viviamo in un’autentica emergenza culturale in cui il diverso, lo straniero, non ha più cittadinanza.
La mentalità corrente di paure, chiusure ed egoismi è penetrata anche tra i cristiani?
Sì. Le faccio un esempio: una serata in un decanato, davanti a un gruppo di persone. Parli, dici queste belle cose e vedi che la gente ti approva. Al termine del dibattito, fuori dal canale ufficiale, magari ti viene la donna di 50 anni, che ha responsabilità in parrocchia, e ti dice: “Ha parlato molto bene, don Giancarlo. Però mandem a ca’ sua, dopo stiamo meglio”. Ecco, contro ogni logica, ogni dimostrazione data prima, la conclusione è mandiamoli a casa loro. Ma non è possibile una cosa del genere! Certo, il clima socio-politico è molto critico. Ma qui non mi sto riferendo a quello, piuttosto alle relazioni normali tra le persone.
Incide sulla qualità del cristianesimo...
Direi di sì. Il titolo della Festa delle genti al Sacro Monte di Varese il 31 maggio è proprio “Quale Chiesa vogliamo essere?”. Di fronte a questo panorama svegliamo la nostra coscienza, un clima così interpella prima di tutto un’identità di Chiesa e abbiamo dato anche la risposta: vogliamo essere una Chiesa che è una famiglia di famiglie. Per questo l’obiettivo è lavorare per individuare metodologie, ambiti, persone giuste. Sarà difficile, ma noi camminiamo.
Anche dalla parte degli stranieri c’è una chiusura nelle loro comunità etniche. Non è in qualche modo speculare?
Infatti, non sono molto dolce neppure con loro. Tanto è vero che tutte le volte che parlo con i miei fedeli immigrati alla fine mi dicono: parli bene tu padrecito, però rimproveri sempre noi. Tu rimprovera anche un po’ gli italiani... Non è che sto rimproverando, purtroppo anche in loro si rileva questa tendenza a rinchiudersi. Ormai le comunità hanno raggiunto un bel livello di celebrazione, di formazione, di relazioni interne e forse c’è il pericolo che dimentichino l’obiettivo di tutto questo che è l’inserimento nella comunità cristiana locale. Noi dobbiamo essere Chiesa cattolica, non creare ghetti, dobbiamo dimostrare che nella Chiesa di Dio e di Gesù Cristo che sta in Italia e nella diocesi ambrosiana si crea veramente un clima di famiglia, in cui anche la persona diversa è bene accettata per quello che è, anzi è una ricchezza.
Quali strade per superare questi problemi?
Non stanchiamoci nelle parrocchie e nei consigli pastorali di lanciare iniziative che coinvolgano gli immigrati lì residenti. Partendo dalla famiglia: le Commissioni familiari parrocchiali o decanali invitino i nuclei stranieri. Avranno belle sorprese: ci sono animatori fantastici, soprattutto sudamericani e filippini, persone ben formate e dedite a questo lavoro. Sul piano giovanile dobbiamo lavorare di più. Stiamo interagendo con Fom e Pastorale giovanile per inserire negli oratori operatori stranieri del tempo libero e dello sport, ma anche valorizzando catechisti e liturgisti. Un terza iniziativa è organizzare incontri di conoscenza delle diverse religioni. Non c’è solo l’islam, ormai si fanno strada le religioni orientali. Non dimentichiamo di rimettere a lucido i documenti conciliari che ci parlano di scintille di verità in tutte le religioni. Nei percorsi di catechesi utilizzare proposte per diversificare l’insegnamento negli oratori, mettendo in luce come il messaggio cristiano sia universale.

Multietnicità

Anche guardando solo IBS, oggi sono in vendita 89 libri in italiano sul tema dell'attuale multietnicità.
Non è difficile, nemmeno per gli ignoranti, trovarli e leggerli.
don Chisciotte







lunedì 11 maggio 2009

Diamoci una mano... e più di una!

Problemi di connessione

Ci scusiamo con i nostri assidui lettori, ma a partire da oggi sono previsti dei problemi di connessione e non siamo in grado di garantire il normale ritmo di pubblicazione dei post.

domenica 10 maggio 2009

Difendono i valori della nostra civiltà?!

Migranti: rispetto e dignità
L’affollarsi in poche ore di provvedimenti legislativi, azioni esecutive e improvvide parole in libertà in materia di immigrazione rischia di confondere i cittadini e di creare un clima d’intolleranza che non corrisponde al profondo sentire della maggioranza degli italiani. Le numerose prese di posizioni del mondo cattolico – e di altri gruppi di ispirazione laica – segnalano che, nella pur condivisibile opera di limitazione degli arrivi irregolari, non si può mai abdicare al rispetto delle persone e alla loro dignità, che con sé porta diritti inalienabili. Negare la possibilità d’asilo a chi è respinto in mare resta un punto che merita sicuramente riconsiderazione, sebbene la soluzione non sia semplice. Sembra imporsi anche un monitoraggio del trattamento riservato ai migranti dalla Libia, mentre un miglioramento del «decreto sicurezza» risulta ancora praticabile. Ciò che va infine del tutto evitato sono le 'provocazioni' – mezzi pubblici separati per italiani e stranieri – che hanno il chiaro sapore del razzismo. Avvenire

Orrori storici

Un percorso nel museo storico dell'ospedale giudiziario di Aversa. Fondato nel '92, è il primo del suo genere in Italia. Dentro c'è un secolo di storia della psichiatria, della follia e dei metodi, spesso barbari, usati per curare il disagio psichico. Leggi l'articolo

sabato 9 maggio 2009

Scrivere-vivere

«E, chinatosi di nuovo, Gesù scriveva in terra" (cfr Gv 8,1-11).
Ahimé una sola volta il Cristo, stando al Vangelo, ha compiuto questa occupazione che ruba tante ore della mia giornata.
Chi 'vive' non ha bisogno di scrivere...».
Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi, 159
postato sul blog il 27 novembre 2007

Matrimonio

Se la presenza di una persona che ci è cara opera un cambiamento sensibile nel nostro spirito e nel nostro corpo e ci riempie di una gioia e di un’allegrezza che sovente appaiono anche sul nostro volto, quale cambiamento opererà la presenza del Signore in un’anima pura quando le appare in maniera invisibile? (...)
Colui che davvero ama si raffigura continuamente il volto della persona amata e lo guarda con tale gioia nel pensiero che neppure il sonno è capace di distoglierlo da quell’oggetto e il suo affetto glielo fa vedere in sogno. Nelle realtà corporali avviene lo stesso che in quelle incorporee.
Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso V, 54.

venerdì 8 maggio 2009

Scatti dai giardini


su Raivaticano



Sproporzioni

Questione di proporzioni
Un modo intrigante per riflettere, su fatti, argomenti, e comportamenti. Questa volta parliamo di igiene e salute.
Il sito web ARPAKIDS dell'ARPA Sicilia, pubblica periodicamente notizie inusuali sull'ambiente, la natura, gli animali, corredate da spunti e suggerimenti didattici (...).
Il World Watch Institute (WWI), pubblica periodicamente una pagina di spunti di riflessione, chiamati Questione di Proporzioni, che sono una vera e propria provocazione educativa. Argomenti della vita di tutti i giorni sono proposti da un punto di vista globale, evidenziando e paragonando tra loro situazioni che spesso hanno dell'incredibile. (...)
Questa settimana ci interessiamo di un argomento che può sembrare banale, ma che riserva molte spiacevoli sorprese: la disponibilità di servizi igienici e la possibilità di accesso ad una normalissima toilette da parte delle persone. Per noi non è certo un problema importante (...) Ma per moltissime persone non è così semplice. Avere la disponibilità di impianti igienico sanitari veramente degni di questo nome è ancora un privilegio per moltissime persone. Le differenze tra un Paese e l'altro in questo campo sono a volte abissali. Vediamole.
Percentuale di persone che hanno accesso a servizi igienici adeguati:
Negli Stati Uniti : cento su cento
In Canada: cento su cento
In India: il trentatré percento
In Etiopia: tredici persone su cento
In Eritrea e in Chad: soltanto nove persone su cento.
Numero di persone che nel mondo non hanno accesso a servizi igienici adeguati:
Duemiliardi e seicento milioni
Numero di Nazioni in cui più di due terzi della popolazione non ha accesso a servizi igienici adeguati:
Trenta
Di queste: venti sono nella sola Africa.

La toilette, però, è anche sinonimo di carta igienica. (...)
Consumo di carta igienica, per persona e per anno:
Nel Nord America: ventitre chilogrammi, per persona
Nell'Europa occidentale: quattordici chilogrammi
Nell'America Latina: quattro chilogrammi
In Asia: un chilo e ottocento grammi
In Africa: quattrocento grammi per persona.

giovedì 7 maggio 2009

Ascolto con immutata passione

Quando ero cristiano…
by Mario Domina
Andrebbe aggiunto al titolo: e sottolineo quell’ero, anche se periodicamente mi vengono dei dubbi proprio sul tempo imperfetto. Per una certa fase della mia vita, anche se breve, lo sono stato, certo, e anche in maniera profonda e convinta. Ho bazzicato chiese e raduni, condividendo linguaggi, fedi, convinzioni, speranze. Poi, nell’ultimo quarto di secolo, ho proceduto ad una inesorabile scristianizzazione della mia vita, quasi si trattasse di estirpare erbacce o di eliminare tossine dal mio corpo. Prima ero cristiano, cioè superstizioso, poi sono cresciuto e ho cominciato a ragionare con la mia testa.
Rimane il fatto che non si può uscire dalla propria epoca - è ancora Hegel ad illuminarci con le sue puntuali metafore - più di quanto non si possa cambiar pelle… Come dire: le strutture profonde, e spesso inconsce, della cultura, del linguaggio, del Dasein, ci inchiodano ad un modo di essere del quale non si può disporre a piacimento. Volenti o nolenti, qualcosa di quel complesso che definiamo “tradizione” si è depositato per sempre nelle nostre testoline, e, per quanto noi la rifiutiamo, espungiamo e vomitiamo fuori, un po’ di scorie e di residui restano depositati da qualche parte. E anzi questi “resti” del passato si intrecciano talvolta così inestricabilmente coi nostri vissuti, che non è più possibile reciderli o scrostarli del tutto. In definitiva: non sarei quel che sono senza quella parentesi cristiana. Non dico che sarei migliore, o peggiore; sarei solo diverso.
D’altro canto, non trovo più nemmeno così disdicevole o scandaloso che alcuni elementi del cristianesimo (che è parte importante, anche se non esclusiva, del patrimonio culturale dell’Occidente, e quindi dell’umanesimo planetario) siano entrati a far parte del mio Dna. Ha ragione Lukàcs quando critica Nietzsche (che pure sento vicino per varie questioni) a proposito del suo militante anti-cristianesimo: c’è lì anche, se non soprattutto, una buona dose di anti-socialismo e una profonda avversione per il concetto di uguaglianza.
Viceversa, trovo aberranti non pochi altri elementi che da secoli ci trasciniamo come zavorre (e questa volta Nietzsche ha ragione), e dalle quali pare non ci si riesca a liberare (spero che almeno di questi mi sia liberato davvero).
A tal proposito ricordo che la mia amica Donatella, che non poco avrebbe contribuito all’opera di scristianizzazione, ma che era anche molto cauta e rispettosa delle mie divergenti opinioni di giovane ribelle spiritual-idealista, mi disse una volta all’incirca: “d’accordo, posso capire che tu sia credente; passi che tu sia religioso; vada anche per il cristiano; ma cattolico… questo proprio non lo capisco…”. In effetti il mio rapporto con i preti e con l’autorità ecclesiastica è stata piuttosto problematica. Semplicemente trovavo insopportabile, e drasticamente in contraddizione con il messaggio originario del cristianesimo, che ci fossero nella Sacra Romana Chiesa gerarchie, poteri e tonnellate di ipocrisia: il tutto suonava come molto temporale (ancora!) e troppo poco spirituale per i miei gusti. E poi c’erano stati quei duemila anni di nefandezze… Insomma, non poteva durare a lungo.
Ma non era di cose ecclesiastiche che volevo parlare in questo post “simil-pasquale”, anche perché richiederebbero tempo ed energia ben superiori a quelli che intendo spendervi. Era sulla figura di Gesù, sul caro buon vecchio Gesù Cristo, che volevo dire qualcosa, dato che manca ormai poco all’alba, e sto vegliando sul limitare del suo sepolcro…
Sì, perché mi sono messo in testa che prima o poi devo scrivere qualcosa su di lui. Sarà per quell’aria mitica e ribellistica che promana da certa iconografia tardonovecentesca della quale mi sono imbevuto per anni (sono sempre stato un fervente ammiratore del musical-poi-film Jesus Christ Superstar); o perché le Vite di Gesù hanno sempre un certo fascino (da Hegel a Saramago), anche e soprattutto quando sono dissacranti; o perché, di nuovo, mi toccherà prima o poi fare i conti con il mio passato cristiano…
Certo, di Gesù non può non colpire quel suo essere una figura di rottura radicale: la promessa di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, la salvezza, la liberazione, la critica dei vecchi valori e del mondo degli scribi e dei farisei (com’è che questo fatto non turba le coscienze delle attuali gerarchie ecclesiastiche?), quella posa eroica e plastica quando ad esempio rovescia i tavoli dei mercanti nel tempio, quell’amore incondizionato per gli ultimi e i diseredati, per le donne maltrattate, la sua scandalosa relazione con una prostituta, la dolcezza nei confronti dei bambini, la follia di consegnarsi al potere inerme e di morire per… già, per che cosa?
Naturalmente nulla sapremmo di tutto questo, se il concorso storico non avesse pescato nel mazzo delle mille dottrine escatologiche e soteriologiche diffuse in ogni dove a quell’epoca, fissandone una e facendola diventare religione dell’impero romano e poi del mondo occidentale e poi di un pezzo di pianeta. Ometto qui di parlare dell’opera certosina dei “padri della chiesa” e, poi, dei teologi, per costruire tutto quell’apparato concettuale prendendo a piene mani dalla tradizione classica e dalla filosofia greca. Sappiamo bene com’è andata.
Ma tutto questo prescinde, almeno in parte, dalla figura di Gesù. Lui ha una potenza simbolica, per quanto contraddittoria, tutta sua. Un misto di grandezza e di dabbenaggine, di sciatte parabole e di perle di saggezza, di voli pindarici e inconcludenti sostenuti però da una dedizione e da un’ispirazione assoluta. Un eroe romantico e un rivoluzionario ante litteram. Poco importa chi sia stato davvero, se fosse o meno l’ultimo profeta o l’ultimo dei ciarlatani: Gesù Cristo è ancora qui tra noi, e non accenna a tramontare. Tramonteranno le sue chiese, ma lui no.
Forse perché è un ibrido, un giano bifronte: terrestre e celeste, vivente e morente, divino e mortale, carne-sangue e anima, iperuranio e ultimo tra gli ultimi, padrone e servo; forse perché allude costantemente a quell’oltre, al nuovo, ad un compimento delle epoche; o perché è il simbolo della resurrezione (e dunque dell’intramontabile sogno dell’immortalità); io sono la via, la verità, la vita: e chi non lo seguirebbe se fosse davvero così? Dritto, fino alla gloria dei cieli!
O magari, più semplicemente, si sono contratti in quella figura così tanti simboli, significati, metafore, gli si è addossato così tanto materiale iconografico, estetico, letterario, una ipertrofia di elementi millenaria e millenaristica da risultare alla fin fine solo una grande narrazione - una grande illusione - una vuota, inutile e inconcludente icona. Qualcosa che un giorno verrà ricordato come un mito tra gli altri…
E comunque, per quanto mi sforzi di rievocare, non ricordo particolari emozioni o aneliti extraumani quando, in quella breve parentesi della mia vita, ne ingoiavo il corpo, ne leggevo gli insegnamenti o ne commemoravo le gesta. Detestavo il natale - per quel suo crescente “paganesimo” consumistico - non comprendendo l’immenso significato che per noi umani ha la nascita (del resto all’epoca non conoscevo ancora Hanna Arendt); però ero turbato e profondamente commosso dalla passione e dalle cerimonie che accompagnavano il ricordo della sua morte. Il Gesù fragile dell’abbandono, della solitudine, dell’angoscia, della pietà, dell’agonia. Tanto per cambiare: l’alfa e l’omega, e la ricerca del significato di quel che sta nel mezzo.
Ma questo è, tutto sommato, umano, troppo umano: che bisogno c’era di spacciarsi per il figlio di Dio, con tutto quel che ne è seguito in termini di spaccio e di consumo diffuso e persistente di oppiacei?

Mail

Guida sicura verso il cestino
di Beppe Severgnini
Guida sicura verso il cestino. Ovvero: come scrivere un'email kamikaze, destinata a schiantarsi nella "posta eliminata". Bastano poche righe, contenenti le espressioni giuste, per garantirsi attenzione nulla e, con un po' di sforzo, anche un certo risentimento da parte dell'ignaro destinario. Qualche esempio, tratto dalle prime righe di email non richieste, ricevute in poche ore. Il numero finale (tra parentesi) indica il tempo di permanenza nella mia "posta in arrivo".
"A Roma il 14 maggio i guru del marketing..." (3") A Roma in maggio sembra accadere di tutto (come a Milano in ottobre), e questo è già un handicap per il mittente/incosciente. I vocabocoli "guru" e "marketing", insieme, funzionano come un colpo di pistola in un branco di gatti: tutti in fuga!
"Gentile Giornalista, in allegato il comunicato stampa in oggetto che spero possa essere di interesse per la sua testata. Non esiti a contattarmi per ulteriori informazioni" (7"). Nessun collega, che io sappia, ha mai contattato l'autore di comunicati-stampa siffatti. Anzi, no: pare sia accaduto, il 30 marzo 2007, ma la notizia non è mai stata confermata.
"Carissimi, sono felice di segnalarvi un appuntamento all'interno del ciclo di incontri..." (2"). "Carissimi" è scritto in blu, "sono felice etc..." in nero: l'evidente copia-e-incolla aumenta la diffidenza, resa elevata dal "ciclo di incontri" (una formazione circolare che l'Alighieri pensava di inserire tra i gironi infernali).
"Invito- Solo per creature straordinarie - Un evento imperdibile - Un'occasione prestigiosa per celebrare..." (4"). "Imperdibile", "prestigioso" e "straordinario" sono tre aggettivi-spia: quando li leggete, allarme rosso! Hanno sostituito "exclusive" e "vip", in voga negli anni Novanta e oggi confinati in discoteche di provincia e villaggi turistici.
"Cari amici, Vi informo che sono aperte le iscrizioni per..." (1"). Le iscrizioni si aprono alla velocità con cui si chiudono certe email: è una sfida continua. Devo dire che quello citato era un caso interessante: si trattava, infatti, di un corso di danza ("Il migliore corsista sarà invitato ad esibirsi in Bulgaria!").
COSTRUIAMO LA SVOLTA - Gentili Dottori, in allegato alla presente Vi inviamo il numero di maggio 2009 (8", lo stupore mi ha indotto a rileggere). "Costruiamo la svolta"?! Solo l'Anas è autorizzata a usare questo linguaggio. E poi: evitare le maiuscole, PERBACCO! Infine: come sanno che siamo tutti "Dottori"? E quelli che, con fatica, sono riusciti a non esserlo?
****
Si ringraziano la Casagit, la Farnesina, Auriga, Arts Council, Asa Gray, Ninja Press, Serdica Music e Largo Augusto Multimedia per la gentile collaborazione.

mercoledì 6 maggio 2009

Decidere nella Chiesa

dal Sinodo 47° della Diocesi di Milano (1995)
n. 132
§ 2. La Chiesa è popolo di Dio in cui tutti i fedeli, in virtù del battesimo, hanno la stessa uguaglianza nella dignità e nell'agire, partecipando all'edificazione del Corpo di Cristo secondo la condizione e i compiti di ciascuno. Esiste, quindi, una reale corresponsabilità di tutti i fedeli nella vita e nella missione della Chiesa, perché ognuno partecipa nel modo che gli è proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo.
§ 3. Il fatto che la Chiesa sia popolo di Dio, chiamato a essere realtà di comunione, in cui ogni battezzato è corresponsabile, comporta alcune conseguenze che meritano di essere sottolineate per il momento attuale della vita della Chiesa:
ogni realtà in cui il popolo di Dio si articola e ogni struttura che in esso è presente si devono caratterizzare per essere realtà di comunione e luoghi per l'esercizio della corresponsabilità dei battezzati;
ogni fedele deve sentirsi parte del popolo di Dio e chiamato a collaborare, secondo la propria vocazione, alla vita e alla missione della Chiesa in comunione con tutti gli altri fedeli e a servizio della stessa comunione;
il ministero della presidenza presente nella Chiesa, si deve qualificare, in particolare, come servizio per la comunione tra tutti i fedeli e come impegno a rendere consapevole ogni battezzato della sua chiamata a un'effettiva corresponsabilità nella vita e nella missione del popolo di Dio;
all'edificazione della Chiesa, anche nella cooperazione alle funzioni che ne costituiscono il governo, devono essere chiamati a partecipare tutti i fedeli, ciascuno secondo la propria vocazione e nelle forme precisate dalla disciplina ecclesiale.

n. 147
§2 Il parroco, che presiede il consiglio (pastorale parrocchiale) e ne è parte, deve promuovere una sintesi armonica tra le differenti posizioni, esercitando la sua funzione e responsabilità ministeriale. L’eventuale non accettazione, da parte del parroco, di un parere espresso a larga maggioranza dagli altri membri del consiglio potrà avvenire solo in casi eccezionali e su questioni di rilievo pastorale, che coinvolgono la coscienza del parroco e saranno spiegati al consiglio stesso. Nel caso di forti divergenze di pareri, quando la questione in gioco non è urgente, sarà bene rinviare la decisione ad un momento di più ampia convergenza, invitando tutti ad una più matura e pacata riflessione; invece nel caso di urgenza, sarà opportuno un appello all'autorità superiore, che aiuti ad individuare la soluzione migliore.

Ce lo meritiamo?!

Così siamo.
Così siamo stati fatti diventare.
La società italiana, la chiesa italiana.
don Chisciotte

«Gli stranieri, basta vedere la Cnn, non riescono a comprendere la nostra mancanza di indignazione. Ma uno può indignarsi dello specchio? Questo è il Paese dove un qualsiasi piccolo imprenditore conclude un affare di miliardi con una mail e intanto scambia via sms una barzelletta sconcia con un amico, mentre al telefono ordina un mazzo di fiori per il compleanno dell’amante. Alto e basso, serietà e cazzeggio, cinismo e lacrima. In contemporanea. Questa è la bassa grandezza d’Italia e chi la vorrebbe diversa rischia di ritrovarsi all’opposizione di se stesso».
Massimo Gramellini, La Stampa, 6 maggio 2009

Chi volesse leggere l'intero articolo, lo trova qui.

Il fine NON giustifica i mezzi

Ci sono fiori e fiori

«Una ragazza, studiando botanica, impara a conoscere diversi tipi di fiori. Questo è il primo passo. Poi va a fare una passeggiata all'orto botanico e scopre da sola che certi fiori sono davvero belli. Questo è il secondo passo, più elevato. Ma ce n'è ancora un terzo: un ragazzo innamorato le dona dei fiori. Solo adesso i fiori hanno un vero valore. La ragazza li fa seccare e li conserva nel suo diario, perché si sente legata ai fiori da sentimenti indimenticabili.
Anche nell'ambito spirituale è così. A catechismo abbiamo imparato che Dio è il nostro Padre nei cieli: questo è il primo grado. Il secondo possiamo raggiungerlo attraverso la meditazione, quando comprendiamo che senza questa verità l'universo sarebbe solo un meccanismo inanimato, la vita un tumulto di casualità. Grazie alla preghiera giungiamo infine anche al terzo grado. Sperimentiamo che, quando ci rivolgiamo a Dio, egli ci ascolta. La verità sulla paternità di Dio si è così trasformata in materia di dialogo, in rapporto interpersonale e, quindi, in un vero valore».
Tomas Spidlik, Sentire Dio nella brezza del mattino, 43-44

martedì 5 maggio 2009

Risurrezione


L'intervista al card. Martini il giorno di Pasqua

Flash

La vita a fumetti
di Massimo Gramellini
Cos’ha detto Berlusconi all’assemblea della Coldiretti? Boh. Cos’ha fatto Berlusconi all’assemblea della Coldiretti? Ha mangiato una fetta di mortadella avvitandosi un dito sulla guancia: mmm, che buona! Cosa si è deciso al vertice franco-spagnolo dei giorni scorsi? Boh. Cosa è successo al vertice franco-spagnolo dei giorni scorsi? Le modelle di Stato, Letizia e Carlà, hanno sfilato sul tappeto rosso con abiti attillati.
L’immagine era già da tempo l’unica comunicazione che i cervelli riuscivano ancora ad assimilare. Ma ora siamo alla caricatura, pur di rompere la crosta sempre più spessa della disattenzione. E le parole? Brodo ristretto alle dimensioni di un messaggino. «Yes we can», coniato da Obama e copiato da Ahmadinejad, fra qualche anno lo ricorderemo come esempio di prolissità. Il futuro sono gli acronimi: «tvb», ti voglio bene (ma vado di fretta). Provo una tenerezza ammirata per i professori che si ostinano a usare le subordinate e per i giornalisti che sognano di scrivere paginate. Ne conservo centinaia nel cassetto, ritagliate e messe da parte in attesa di trovare quella mezz’ora ininterrotta che mi consenta di leggerle e che una vita modellata sui ritmi degli spot rende tecnicamente impossibile. Com’è un mondo dove gli slogan hanno preso il posto dei discorsi, le barzellette dei racconti e le immagini caricaturali (o ritoccate) di quelle spontanee? Un mondo di persone superficiali, smemorate e facilmente impressionabili. Rimane il mistero di come facciano a passare tutto il giorno al telefonino. Di cosa parlano, se più nessuno è in grado di ascoltarle?

"Faccio la mia cosa" - Frankie Hi Nrg - 1993

«Nella casa la situazione è tesa, confusa, la scena è divisa, è esplosa la moda, la massa si accosta all'Hip-Hop e di "posse" gia' oggi son piene le fosse... Si accusa di vendersi all'incanto chi intanto fa il possibile per render piu' accessibile il messaggio al largo pubblico, a quell'utenza in astinenza di concetti costruttivi la cui assenza crea effetti negativi alla coscienza della grande massa priva di qualunque conoscenza anche la piu' bassa di questo fenomeno mondiale che va sotto il nome di Hip-Hop, filosofia di vita, approccio culturale alternativo alla realtà di ogni giorno: mi guardo intorno, m'informo e torno a raccontare nella forma verbale a me piu' congeniale, quella dell'istinto razionale che mi spinge a commentare, a sottolineare quel che vedo a cui non credo. Usando il rap interferisco e le do e non mi siedo, eccedo la' dove intravedo uno spazio libero d'azione per fare informazione e incominciare a rosicchiare quello che ci viene messo a disposizione dai media, dalla televisione: comunico l'idea e la rima il ritmo sposa... io sono un home-boy e faccio la mia cosa... Sinuosa si snoda la mia rima sopra al ritmo come prosa, si attacca alla tua mente quasi come una ventosa, tatuaggio indelebile dell'anima ritrosa alla disamina che penetro econtamino... Insemino il sistema come un virus oggi andemico, domani epidemico questo è cio' che auspico avvenga: non c'è niente che mi tenga frenato, il contrattacco e' iniziato, partito. Di slancio come un fulmine travalico ogni limite che intralci la mia crescita e pregiudichi il buon fine di questa operazione rimica: uso la metrica come una sciabola tagliente e rapida, affilata come una spada, affiatata come la mia squadra che mi segue ovunque vada: il mio DJ stile, fa ruotare a mille all'ora il vinile intorno al perno, scatena l'inferno sulla terra, dichiara guerra, l'attacco sferra e ti sotterra in un mare di merda... non sono un compagno ma un b-boy in effetto nella casa... e faccio la mia cosa... Una voce virtuale ad elevato volume che si eleva dal piattume culturale, istituzionale, istituzionalizzato dal potere di uno Stato colluso che per anni ci ha illuso e ha fatto danni su danni, ma a pagare siamo sempre e solo noi, e i cocci restano suoi... Come buoi trasciniamo l'aratro, bastonati da un bifolco ma l'unico solco che ho intenzione di tracciare è quello su vinile, la mia ritmica è febbrile, rapida come staffile con cui frusto a sangue chi non segue il mio stile, sputa la bile e non ha niente da dire, traccia un confine tra il rap e il mondo. Io non mi nascondo nel doppio fondo del sistema, studio e affronto il problema, traccio uno schema, dimostro il teorema in forma di poema, secondo il concetto assoluto e perfetto che del mondo tu devi essere la "causa", non l'"effetto", e me ne fotto di chi usa l'Hip-Hop solamente come posa... e faccio la mia cosa...»

lunedì 4 maggio 2009

Diciassette mesi

«La fotografia in bianco e nero sta nel palmo della mano. Ha i bordi dentellati come quelli di una piccola pasta secca. È stata scattata nel 1954. Ho dunque tre anni. Porto un pagliaccetto con un elastico che mi dà fastidio e lo tiro per allentarlo. Con la mano sinistra tengo la mano di mio padre. Indossa una camicia estiva e dei bermuda lunghi. Siamo su una strada di campagna. I nostri sguardi si spingono in lontananza nella stessa direzione e i nostri visi, fra l'incuriosito e il preoccupato, non cercano di piacere a nessuno. Quando ho mostrato quest'immagine a mia madre, ha esclamato: «In quegli anni eri sempre con tuo padre, non lo lasciavi mai».
Ho pensato, senza dirglielo, che era ancora così e che ci voleva ben altro che la morte per dissigillare quelle due mani richiuse con calma una sull'altra. Certo, c'è qualcosa di decisamente diverso e se oggi si potesse fare una foto, con una pellicola sufficientemente sensibile da rimanere impressionata dall'invisibile, essa mostrerebbe le stesse persone che si tengono per la mano, ma con la statura cambiata: attualmente sono l'uomo maturo che lì era mio padre e lui ha l'età che ci dà la morte quando ci irradia con la sua innocenza, in qualunque momento compaia: due o tre anni, poco più o forse meno».
Christian Bobin, Resuscitare, 29

Impar condicio


domenica 3 maggio 2009

Domande

Perché se la First Lady porta acqua agli interessi del marito
può essere usata come immagine,
invece se rischia di oscurarne l'alone di santità
è una questione privata?!
Ma sarà veramente oscurata?!
don Chisciotte

Idea per l'estate

Ex-sintassi

Mi è franata addosso la sintassi
Del cattivo stato della lingua italiana, avvilita dall’ignoranza della grammatica, dalla povertà del lessico, dall’uso scorretto di termini elementari. Sarà che la lingua, parlata e scritta - come ci ricordano gli specialisti - non ubbidisce a rigide prescrizioni, si modifica in base alle trasformazioni indotte dalla storia e dal costume, appartiene in definitiva a chi se ne serve. Ma certe sciatte derive, non arginate da una scuola che appare sopraffatta dagli strumenti della comunicazione mediatica, suonano irritanti e sconfortanti.
E’ il pronome «te» che impazza dai teleschermi, esiliando lo schietto e confidenziale tu, senza essere giustificato da un contesto regionale o dialettale. E’ il congiuntivo imperfetto che sostituisce il presente nelle espressioni esortative («Non mi rompessero le scatole»). Quanto al lessico, capita che si confonda il verbo «schernire» con «schermire», e non si tratta sempre di un errore di battitura. Frequentissimo poi l’uso di «avvallare» al posto di «avallare». Sicché la concessione di una onesta garanzia assume con la doppia «v» il significato di scendere a valle o sprofondare: grazie a questo scambio, nel ridicolo.
Anche i termini stranieri vengono adottati senza necessità e discernimento, compresi quelli appartenenti a lingue vicine alla nostra, di ceppo neolatino. E’ invalsa ad esempio l’abitudine di scrivere «murales», al plurale, invece di «mural» o, volendo tradurlo in italiano, «murale». Più disarmante, tanto da intenerire, la perla che ho scovato nella traduzione dal francese di un articolo di teologia, dove il Concilio di Nicea, nell’originale «Nicée», è stato reso con Nizza. Con una imperturbabilità che, vien da dire, avrebbe accettato anche un Concilio di Saint-Tropez. Qui allo sfondone linguistico si accompagna l’insufficienza storica, l’ignoranza su un avvenimento che ha contrassegnato, e ancora oggi contrassegna, la vicenda cristiana.
Se tanti infortuni accadono a persone scolarizzate, e magari laureate, c’è da mettersi le mani nei capelli; da sentirsi franare addosso secoli di cultura, mentre si affacciano le ombre corrucciate di Dante, Leopardi, Manzoni, Gadda: nomi che hanno fatto la gloria del paese dove il «sì suona».

sabato 2 maggio 2009

Luoghi comuni?!

Tesoro, adesso parlo io
Gli uomini sopportano ma di rado riescono a farsi ascoltare
Offese, indifferenza, ripicche: catalogo di quello che gli uomini tengono per sé. Ecco alcuni brani del libro "Dimmi, dammi, fammi" (Editrice Aliberti)
Le cose che tu dici e lui non sopporta
Neanche una capocciata di Zinedine Zidane in pieno sterno potrebbe causare danni più devastanti. E se tu non sai nulla della capocciata di Zinedine a Marco Materazzi, tanto peggio per te. Anche se usassi una metafora diversa, l'entrata a gamba tesa di Ringhio Gattuso, il mozzico all'orecchio di Tyson, tu non capiresti ugualmente. E continueresti a dire frasi da killer seriale come questa. Sei peggio di tua madre. Una frase per far male, per colpire basso, per far piangere di disperazione. Neanche a Guantanamo hanno mai detto cose del genere. Ad Abu Ghraib hanno scoperto due soldatesse americane sadiche: una applicava gli elettrodi ai genitali del prigioniero, l' altra gli diceva: Sei peggio di tua madre. Hanno punito solo la seconda. Sei peggio di tua madre è una frase diabolica, scientifica. Prende due piccioni con una sola fava. Colpisce madre e figlio contemporaneamente. Lui si rende conto che essere considerato peggio di sua madre è il punto più basso raggiunto nella sua squallida vita. Che fare? Se lui è pronto e intelligente capisce subito che esiste una buona linea di difesa. E inizia una dotta discussione sul rapporto madre-figlio, riportando a memoria lunghi brani di un saggio di Cesare Musatti, psicoanalista di cui ignora tutto tranne che è citato nelle dispense di «Panorama». Concluderà teorizzando che la frase è intrinsecamente errata perché è noto a tutti i molteplici parenti e amici che sua madre è molto, molto peggio di lui. E così tu rimarrai spiazzata. Rimarrai zitta per circa due minuti chiedendoti se hai vinto o perso. Un consiglio per il futuro: vatti a leggere qualcosina di Musatti.
Le cose che lui vorrebbe e tu non fai
Devi ammetterlo, ci sono alcune cose che ti riescono alla perfezione. Anche cose difficili, cose che richiedono istinto e sincronizzazione dei movimenti. Tu hai capito a che cosa sto alludendo. Mi chiedo: come fai a indovinare sempre qual è il momento giusto per alzarti improvvisamente dalla poltrona e passare lentamente, lentamente, lentamente – dio mio quanto lentamente – davanti al televisore proprio mentre il bomber interista carica il destro, molla un’orribile legna che colpisce l’arbitro, inganna il portiere che si tuffa a destra gettando nella disperazione i difensori laziali che vedono il pallone rotolare inesorabilmente in fondo alla rete e la partita irrimediabilmente compromessa? Come fai a calcolare così esattamente i tempi tanto che appena il tuo culone si è tolto di mezzo, ponendo fine all’eclisse totale di video, ciò che si vede sono venticinque persone impazzite, alcuni che protestano, altri che scappano, altri che urlano di gioia, e non si sa che cosa sia successo, forse goal, forse rigore, forse invasione di campo, forse è finita la partita, forse cartellino rosso, forse è iniziato un documentario su Timor Est. Allora lui urla la sua disperazione.
In qualche ambiente, tipico del disagio sociale di certe periferie metropolitane degradate, la Magliana, Testaccio, via Bianchi, Scampia, luoghi dove un vigile urbano non osa entrare da trent’anni a questa parte, l’ultimo che lo ha fatto è ritornato in dodici comode rate mensili, la scena ha momenti di tensione decisamente più preoccupanti, propedeutici all’omicidio preterintenzionale, roba che non c’è indulto che tenga. Urla la sua disperazione e si dimena. Ti ricorda le tue origini popolari, di quanto gli sia costato toglierti dal marciapiede. È a questo punto che tu ti piazzi davanti al televisore al plasma costato un occhio della testa, ti metti le mani sui fianchi e cominci: «Insomma…» Non sono molto importanti le parole che tu pronunci dopo «Insomma». Lui non le ascolta e d’altronde nessun uomo nelle sue condizioni le ascolterebbe. L’importante è che tu ti renda conto che la parola “insomma” è una specie di parola d’ordine, quasi un comando. Alla parola “insomma”, mentre tu te ne stai lì, bella piazzata davanti al plasma, i tecnici della Rai fanno partire il replay. E così anche la ripetizione rallentata dell’azione misteriosa che si è svolta all’insaputa del pover’uomo è ineluttabilmente perduta. C’è un unico sistema per risolvere casi del genere. Scartata la soluzione, piuttosto brusca, di legarti alla sedia della cucina a sua volta incatenata al termosifone di ghisa, opzione che alcuni giudicano drastica ma che vince su tutte le altre per efficienza e per l’ottimo rapporto costi/ricavi, molti decidono di appendere la televisione al soffitto.
Soluzione un po’ futurista, decisamente scomoda, che richiede fastidiose spiegazioni quando viene gente a cena. E nemmeno tanto sicura. Non si ha idea di che cosa sia capace di inventare una donna pur di frapporre il suo flaccido corpaccione fra il suo uomo e il tiro di uno stronzo di bomber interista deviato da uno stronzo di arbitro che inganna un incolpevole portiere laziale consentendo allo stronzo pallone di rotolare drammaticamente in fondo alla rete consegnando agli stronzi nerazzurri l’immeritato successo. Credetemi: la soluzione migliore è quella della corda. Legata alla sedia della cucina, non resta altro che convincere la donna che si tratta di un raffinatissimo gioco erotico sadomaso che avete letto nella versione originale di Emmanuelle.
Le cose che tu fai e lui non sopporta
Ti chiudi in un dignitoso silenzio. Lui non capisce e comincia a fare domande. Tu continui a sfaccendare, senza rispondere, come se niente fosse. Gli passi l’aspirapolvere sotto le gambe. «Scusa». Leggi con interesse un libro in caratteri cirillici. Quando cominci a parlare col gatto sei all’ultimo stadio. La mossa successiva al dialogo col felino è il lancio del posacenere di peltro. La fase del muso può andare avanti per molto, anche per giorni. Lui ti chiede: «C’è qualcosa che non va?» Tu rispondi con fare svagato, spostando un vaso di fiori dal davanzale al tavolo: «No, niente». E intanto pensi: “C’è qualcosa che non va, c’è tanto che non va, ma devi scoprirlo da solo, brutto pirla”. Lui insiste: «Eppure secondo me c’è qualcosa che non va». Tu dici, spostando il vaso dei fiori dal tavolo al davanzale: «No, veramente, è tutto a posto». E intanto pensi: “Se continua così scoppio a piangere ma non voglio darti questa soddisfazione”.
In questi casi gli uomini si dividono in due categorie. Alla prima categoria appartengono quelli che sanno benissimo che cosa c’è che non va e infatti non insistono troppo quando tu dici: «Niente». E quando cominci a parlare col gatto fanno finta di nulla e accendono la televisione perché «Quelli che il calcio» è un appuntamento che non possono perdere nemmeno quando tu parli col gatto. Alla seconda categoria appartengono coloro che non sanno veramente che cosa c’è che non va. Quando tu rispondi: «Niente», si mettono tranquilli, la fronte torna serena e accendono la televisione per vedere «Quelli che il calcio». Tu a questo punto potrai anche parlare col gatto per quattro giorni di seguito prima che lui cominci a preoccuparsi. Per il gatto.