di Mario Vargas Llosa
Per dare una parvenza di realtà al motivo brandito come giustificazione dell’attacco da Ehud Olmert e dai suoi ministri, Israele dovrebbe occupare Gaza con un immenso e permanente spiegamento militare o perpetrare un genocidio di cui neppure i suoi falchi più fanatici oserebbero farsi carico e che, speriamo, il resto del mondo non tollererebbe; anche se l’opinione pubblica internazionale ha mostrato, più d’una volta, una supina indifferenza per la sorte dei palestinesi.
La verità è che, per quanto feroce sia stata la punizione inflitta dall’esercito d’Israele a Gaza e, anzi, proprio a causa del sentimento d’impotenza e di odio per ciò che è accaduto al milione e mezzo di palestinesi che vivono ridotti alla fame e mezzo asfissiati in questa trappola, è probabile che, quando Tsahal si sia ritirato dalla Striscia e sia tornata «la pace», gli atti terroristici riprendano con maggior vigore e con un desiderio di vendetta attizzato dalle sofferenze di questi giorni.
I fautori dei bombardamenti e dell’invasione rispondono a chi li critica con questa domanda: «Sino a quando un Paese può sopportare che le sue città siano bersaglio di razzi terroristi lanciati dalle frontiere per giorni e mesi da un’organizzazione come Hamas che non riconosce l’esistenza di Israele e non nasconde le sue intenzioni di distruggerlo?». L’interrogativo è davvero molto pertinente e nessuno, a meno che non sia un terrorista o un fanatico, può trovare giustificazioni alla continua stretta criminale che Hamas esercita sulla popolazione civile d’Israele. D’accordo. Ma se si tratta di cercare le ragioni del conflitto non è onesto, a mio modo di vedere, fermarsi solo a questo, ai razzi artigianali di Hamas, e non andare, invece, un po’ indietro nel tempo per capire - il che non vuol dire giustificare - ciò che accade in quest’esplosivo angolo di mondo.
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