sabato 2 maggio 2009

Luoghi comuni?!

Tesoro, adesso parlo io
Gli uomini sopportano ma di rado riescono a farsi ascoltare
Offese, indifferenza, ripicche: catalogo di quello che gli uomini tengono per sé. Ecco alcuni brani del libro "Dimmi, dammi, fammi" (Editrice Aliberti)
Le cose che tu dici e lui non sopporta
Neanche una capocciata di Zinedine Zidane in pieno sterno potrebbe causare danni più devastanti. E se tu non sai nulla della capocciata di Zinedine a Marco Materazzi, tanto peggio per te. Anche se usassi una metafora diversa, l'entrata a gamba tesa di Ringhio Gattuso, il mozzico all'orecchio di Tyson, tu non capiresti ugualmente. E continueresti a dire frasi da killer seriale come questa. Sei peggio di tua madre. Una frase per far male, per colpire basso, per far piangere di disperazione. Neanche a Guantanamo hanno mai detto cose del genere. Ad Abu Ghraib hanno scoperto due soldatesse americane sadiche: una applicava gli elettrodi ai genitali del prigioniero, l' altra gli diceva: Sei peggio di tua madre. Hanno punito solo la seconda. Sei peggio di tua madre è una frase diabolica, scientifica. Prende due piccioni con una sola fava. Colpisce madre e figlio contemporaneamente. Lui si rende conto che essere considerato peggio di sua madre è il punto più basso raggiunto nella sua squallida vita. Che fare? Se lui è pronto e intelligente capisce subito che esiste una buona linea di difesa. E inizia una dotta discussione sul rapporto madre-figlio, riportando a memoria lunghi brani di un saggio di Cesare Musatti, psicoanalista di cui ignora tutto tranne che è citato nelle dispense di «Panorama». Concluderà teorizzando che la frase è intrinsecamente errata perché è noto a tutti i molteplici parenti e amici che sua madre è molto, molto peggio di lui. E così tu rimarrai spiazzata. Rimarrai zitta per circa due minuti chiedendoti se hai vinto o perso. Un consiglio per il futuro: vatti a leggere qualcosina di Musatti.
Le cose che lui vorrebbe e tu non fai
Devi ammetterlo, ci sono alcune cose che ti riescono alla perfezione. Anche cose difficili, cose che richiedono istinto e sincronizzazione dei movimenti. Tu hai capito a che cosa sto alludendo. Mi chiedo: come fai a indovinare sempre qual è il momento giusto per alzarti improvvisamente dalla poltrona e passare lentamente, lentamente, lentamente – dio mio quanto lentamente – davanti al televisore proprio mentre il bomber interista carica il destro, molla un’orribile legna che colpisce l’arbitro, inganna il portiere che si tuffa a destra gettando nella disperazione i difensori laziali che vedono il pallone rotolare inesorabilmente in fondo alla rete e la partita irrimediabilmente compromessa? Come fai a calcolare così esattamente i tempi tanto che appena il tuo culone si è tolto di mezzo, ponendo fine all’eclisse totale di video, ciò che si vede sono venticinque persone impazzite, alcuni che protestano, altri che scappano, altri che urlano di gioia, e non si sa che cosa sia successo, forse goal, forse rigore, forse invasione di campo, forse è finita la partita, forse cartellino rosso, forse è iniziato un documentario su Timor Est. Allora lui urla la sua disperazione.
In qualche ambiente, tipico del disagio sociale di certe periferie metropolitane degradate, la Magliana, Testaccio, via Bianchi, Scampia, luoghi dove un vigile urbano non osa entrare da trent’anni a questa parte, l’ultimo che lo ha fatto è ritornato in dodici comode rate mensili, la scena ha momenti di tensione decisamente più preoccupanti, propedeutici all’omicidio preterintenzionale, roba che non c’è indulto che tenga. Urla la sua disperazione e si dimena. Ti ricorda le tue origini popolari, di quanto gli sia costato toglierti dal marciapiede. È a questo punto che tu ti piazzi davanti al televisore al plasma costato un occhio della testa, ti metti le mani sui fianchi e cominci: «Insomma…» Non sono molto importanti le parole che tu pronunci dopo «Insomma». Lui non le ascolta e d’altronde nessun uomo nelle sue condizioni le ascolterebbe. L’importante è che tu ti renda conto che la parola “insomma” è una specie di parola d’ordine, quasi un comando. Alla parola “insomma”, mentre tu te ne stai lì, bella piazzata davanti al plasma, i tecnici della Rai fanno partire il replay. E così anche la ripetizione rallentata dell’azione misteriosa che si è svolta all’insaputa del pover’uomo è ineluttabilmente perduta. C’è un unico sistema per risolvere casi del genere. Scartata la soluzione, piuttosto brusca, di legarti alla sedia della cucina a sua volta incatenata al termosifone di ghisa, opzione che alcuni giudicano drastica ma che vince su tutte le altre per efficienza e per l’ottimo rapporto costi/ricavi, molti decidono di appendere la televisione al soffitto.
Soluzione un po’ futurista, decisamente scomoda, che richiede fastidiose spiegazioni quando viene gente a cena. E nemmeno tanto sicura. Non si ha idea di che cosa sia capace di inventare una donna pur di frapporre il suo flaccido corpaccione fra il suo uomo e il tiro di uno stronzo di bomber interista deviato da uno stronzo di arbitro che inganna un incolpevole portiere laziale consentendo allo stronzo pallone di rotolare drammaticamente in fondo alla rete consegnando agli stronzi nerazzurri l’immeritato successo. Credetemi: la soluzione migliore è quella della corda. Legata alla sedia della cucina, non resta altro che convincere la donna che si tratta di un raffinatissimo gioco erotico sadomaso che avete letto nella versione originale di Emmanuelle.
Le cose che tu fai e lui non sopporta
Ti chiudi in un dignitoso silenzio. Lui non capisce e comincia a fare domande. Tu continui a sfaccendare, senza rispondere, come se niente fosse. Gli passi l’aspirapolvere sotto le gambe. «Scusa». Leggi con interesse un libro in caratteri cirillici. Quando cominci a parlare col gatto sei all’ultimo stadio. La mossa successiva al dialogo col felino è il lancio del posacenere di peltro. La fase del muso può andare avanti per molto, anche per giorni. Lui ti chiede: «C’è qualcosa che non va?» Tu rispondi con fare svagato, spostando un vaso di fiori dal davanzale al tavolo: «No, niente». E intanto pensi: “C’è qualcosa che non va, c’è tanto che non va, ma devi scoprirlo da solo, brutto pirla”. Lui insiste: «Eppure secondo me c’è qualcosa che non va». Tu dici, spostando il vaso dei fiori dal tavolo al davanzale: «No, veramente, è tutto a posto». E intanto pensi: “Se continua così scoppio a piangere ma non voglio darti questa soddisfazione”.
In questi casi gli uomini si dividono in due categorie. Alla prima categoria appartengono quelli che sanno benissimo che cosa c’è che non va e infatti non insistono troppo quando tu dici: «Niente». E quando cominci a parlare col gatto fanno finta di nulla e accendono la televisione perché «Quelli che il calcio» è un appuntamento che non possono perdere nemmeno quando tu parli col gatto. Alla seconda categoria appartengono coloro che non sanno veramente che cosa c’è che non va. Quando tu rispondi: «Niente», si mettono tranquilli, la fronte torna serena e accendono la televisione per vedere «Quelli che il calcio». Tu a questo punto potrai anche parlare col gatto per quattro giorni di seguito prima che lui cominci a preoccuparsi. Per il gatto.

Nessun commento: