La cassa integrazione contro la cassa di risonanza
L'infedele è al passo coi tempi, ne subisce il clima infausto. L'isola non collima con il disastro economico che ci è piombato addosso, è pura invenzione, nonostante si chiami reality. I format sulla sopravvivenza sono ancora figli di una società del benessere, neghittosa, opulenta, sfaticata che, a un certo punto, sente il bisogno di crearsi artificialmente alcune difficoltà: gli sport estremi, i viaggi in terre pericolose, i giochi sull'indigenza, il survivor .
Niente di peggio dei falsi moralismi, ma è curioso che da una parte si parli di lavoro nero, di sfruttamento, di sbarco dei clandestini e, dall'altra, la contessa De Blanck, mentre tenta di rassettarsi, dica: «Sembro una profuga». Sfasamento, appunto: bisogni reali contro bisogni artefatti.
All'Infedele ci si chiede con una certa angoscia «Chi aiuterà i nuovi disoccupati?» e, nello stesso istante, all'Isola si fa in modo che personaggi tv di non eccelsa levatura finiti nel cono d'ombra possano ancora godere delle luci della ribalta.
La gente, quella che nelle frettolose votazioni della penultima puntata, Simona Ventura chiama «il popolo sovrano», premia naturalmente L'isola, così come al cinema premia la coppia Boldi-Ventura. Premia cioè la sfasatura, l'urgenza che almeno la finzione racconti una favola meno triste della realtà. Necessità del dolce inganno.
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