di Massimo Gramellini
La femmina contemporanea cresce con l’ansia di prestazione e un’agenda di impegni lavorativi, familiari e personali fatti apposta per provocarle un senso inestinguibile di inadeguatezza. Dal compagno della vita non si aspetta più quasi nulla: meno che mai a letto, dove si corica soltanto per fare ginnastica o l’ennesima telefonata.
L’unica cosa che ancora pretende è di essere rimessa in carreggiata al primo accenno di sbandamento. C’è un momento ciclico in cui si sente brutta, invecchiata, non all’altezza. Allora si rivolge al maschio di casa perché la rassicuri. Funzionano sempre i mantra hollywoodiani: «Non preoccuparti, cara» (Spencer Tracy), «Va tutto bene, amore» (Gregory Peck), «Tu salti, io salto» (Di Caprio). Se però ambite a una Tzipi Livni, serve qualcosa di più. Uno scatto d’umorismo. Dopo il suo primo incontro con Condoleeza Rice, la Livni telefonò agitatissima al marito che l’aveva vista in tv. «Sei stata fantastica, tesoro», la tranquillizzò lui. «Anche se, rispetto alla Rice, ti ho trovato un po’ pallida». Questo sì che è un uomo.
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