mercoledì 20 maggio 2009

A proposito: sulla governance

L'inglese dei furbi
di Massimo Gramellini
Ieri telefona un tipo e con la voce gorgogliante di uno che si è appena inghiottito la boccetta del dopobarba dice: «Salve, mi occupo di fund raising per alcuni importanti social events». «Complimenti», rispondo. E intanto prendo tempo, cercando di sondarlo con domande laterali. Alla fine capisco che si tratta di un disperato che chiede denaro per finanziare iniziative di beneficenza in tempi di crisi. Però, vuoi mettere: fund raiser. Ha un suono da Guerre Stellari, benché significhi «procacciatore di grano». Solo dei maestri di ipocrisia potevano riuscire a trasformare la lingua più diretta del mondo in un ennesimo travestimento. E noi, modestamente, siamo quei maestri. Un’altra espressione anglo-furba è peace-keeping. Letteralmente vuol dire «tenere la pace», ma in realtà la si adopera per fare la guerra. Anche gli americani la usano, sia pure con più prudenza e imbarazzo. I nostri invece ne parlano in tono giulivo, come se peace-keeppare fosse un’attività ginnica da consigliare a chiunque sia un po’ sovrappeso.
Ma là dove il nostro stravolgimento dell’inglese raggiunge vette di puro e surreale sadismo è nella parola «governance». Appena vedete qualcuno assumere un tono grave e affermare: «In questa azienda esiste un problema di governance», toccatevi la sedia sotto il sedere perché è iniziata l’opera di falegnameria. Segare la poltrona di un altro prima che lui la seghi a te: questa è governance. Ma se nei proverbi degli avi comandare era meglio che fare sesso, esercitare la governance mi sembra un formidabile antidoto al viagra.

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