sabato 3 febbraio 2007

Autorità e potere

La scomparsa dell’autorità di Pietro Citati

L’Italia ha divorato i padri: non c’è più autorevolezza ma uno sterminato indistinto potere

Qualche giorno fa, un mio amico mi ha detto: “Oggi, in Italia, non esiste più nessuna autorità”. Credo che avesse ragione. Nessuno degli uomini politici che ci governano da almeno una decina d’anni possiede la minima autorità: né i presidenti del consiglio, né i ministri, né i capi dell’opposizione, né i senatori né i deputati. L’autorità politica si è liquefatta come un gelato di vaniglia sotto il sole d’agosto. E, sebbene la mia esperienza della realtà sia scarsissima, ho l’impressione che questo fenomeno si sia esteso all’intero paese: sia al campo istituzionale o economico o giuridico o universitario, e persino alla Chiesa Cattolica. Capisco che questa morte dell’autorità possa piacere ai rappresentanti della cosiddetta generazione del sessantotto, la quale ha cercato di divorare i padri, a qualsiasi tipo e genere appartenessero. Vivere in questa condizione dà una specie di ebbrezza, che agli inizi è molto piacevole: il senso di una libertà e leggerezza quasi assolute, senza più padri, leggi, prescrizioni, precetti, divieti, come in una specie di paradiso terrestre prima del peccato originale. Ma l’euforia non dura mai a lungo. Chi divora i padri finisce per generare dei padri molto più mostruosi, che pretendono obbedienza fino alla morte: Napoleone o Stalin o Hitler o il nostro ridicolo Mussolini. In realtà, un italiano del 2007 ha completamente dimenticato cosa sia l’autorità e l’autorevolezza, che non sono affatto legati all’esercizio o tantomeno all’eccesso del potere: Per comprenderlo, basta rileggere Confucio e Platone. Chi possiede vèramente autorità obbedisce a un’ascesi rigorosissima. Se vuol comandare, deve in primo luogo rinunciare a se stesso; non insegue il proprio io, non lo esalta, non lo riflette nello specchio, non lo impone agli altri; e, in primo luogo, non desidera alti stipendi. Di solito, ha progetti, piani e programmi, che i suoi sottoposti non conoscono. Ma egli conosce intimamente ciascuno dei suoi sottoposti: ne intuisce i caratteri, le passioni, i desideri, molto meglio di quanto essi non li conoscano. In modo quasi inavvertito, riesce ad imporre loro i suoi progetti: quando essi li eseguono, credono di compiere i propri desideri. Così egli ispira loro una fiducia senza limiti e senza ombre, in modo che, come dicevano i cinesi, quando guardano se stessi credono di vedere Confucio, quando guardano Confucio credono di vedere se stessi. Se i progetti hanno successo, egli ne attribuisce il merito ai sottoposti, come se non li avesse nemmeno pensati. Se oggi, in Italia, non esiste più autorità, esiste uno sterminato potere. Tutti ne hanno: il ministro, l’infimo sottosegretario, l’industriale, l’impiegato della posta, il burocrate, il giornalista, il banchiere, il ladro, il professore, il giudice, lo studente delle medie; le migliaia di categorie sociali, corpi e istituzioni, nelle quali si suddivide il tessuto della società moderna. E tutto è diventato potere: l’immagine televisiva, il libro che finge di non avere scopo, la musica ripetuta fino all’ossessione, il disco o il vestito amati dai ragazzi di quindici anni. Il potere non ha un volto riconoscibile: è anonimo, vuoto, indifferenziato. E’ nebbioso, gelatinoso, vischioso: aderisce a coloro che lo desiderano e anche a coloro che nonio amano. Se tutti hanno potere, nessuno lo afferra. Così è lui che ci possiede, senza che noi lo sappiamo. Poche epoche come la nostra, la quale ha voluto seppellire i grandi della storia per liberarsi dalla morsa del dominio, sono state così schiave della soggezione e del fascino del potere. I potenti di oggi sono sempre più smaniosi di possedere il proprio potere. Nulla o quasi nulla, li divi e dai loro avversari: hanno quasi le stesse idee; ma esercitano il potere in modo sempre più esclusivo e autoritario. Vorrebbero che la televisione trasmettesse soltanto il loro volto meraviglioso, le loro parole affascinanti, i loro gesti impareggiabili. Non tollerano rivali nel proprio territorio: li combattono come nemici mortali. Se oggi in Italia godiamo ancora una parti di libertà, è soltanto perché tra l’uno e l’altro di questi poteri esistono luoghi vuoti, dove possono sopravvivere qua si liberamente coloro che non amano comandare. Non è sicuro che questa condizione durerà a lungo. Forse siamo giunti agli estremi: forse queste innumerevoli mafie stanno per saldarsi tra loro come in un gioco di puzzle, così da non lasciare nemmeno uno spazio dove vivere e respirare.

LA REPUBBLICA - 30 gennaio 2007