sabato 5 aprile 2008

Elogio del matrimonio vivo



"Molti hanno creduto che un buon matrimonio fosse la mutua promessa che nulla più sarebbe successo né per l'uno né per l'altra.
Una mini-dépendance del museo Grévin, per la quale non è escluso che si possano ricevere sovvenzioni dallo stato - con tre o quattro spuntini di compleanno, infatti, e qualche giorno di festa di fine d'anno, l'affluenza dei visitatori è troppo ridotta perché la cosa possa autofinanziarsi.
Soprattutto non muoversi, non respirare, non guardare né a destra né a sinistra, e l'effetto sarà perfetto. Esistono degli sposi-fossili, come esistono dei credenti-fossili. Sono coloro che aspettano dall'istituto del matrimonio come dall'istituzione della chiesa, che li proteggano dai disordini dell'amore e della fede. Questo tentativo disperato di tenere in vita la luce originaria del lampo, disinnescandone il pericolo mortale, avrebbe un che di quasi commovente se non avesse la pretesa di riuscirvi davvero!
L'istituzione che mantiene il lampo sotto una campana, lo custodisce fissato dentro un reliquario, lo difende come un bottino di rapina, si rende colpevole verso la vita. La speranza che lo stesso bagliore possa conservarsi è la radice del dramma. Come se il fuoco del cielo si potesse tenere sotto un coperchio di tabernacolo! E sotto un globo di vetro, come una corona di sposa, la fiaccola dell'amore. Come se potessero perdurare in altro luogo che non sia il cuore acceso degli uomini e delle donne viventi!
Quando il matrimonio non lascia che i venti folli della vita e del rinnovamento lo scuotano, quando la chiesa non si lascia spettinare dai sismi salutari dell'esperienza mistica, essi diventano regni dei morti. Consegnato corpo e anima all'istituzione, il matrimonio perde il filtro mortale e il nettare. Spogliato, disinfettato, vaccinato, messo sotto vuoto, non fermenterà, non conoscerà l'alto processo di distillazione che attraverso i mosti e le melasse raggiunge, all'altra estremità dell'alambicco, l'oro di distillati preziosi.
Se l'istituzione è anche ferocemente mortifera, è perché teme il cambiamento, lotta contro di esso, e con ciò agisce contro la natura della vita che è incessante metamorfosi. Ogni istituzione finisce, presto o tardi, per affogare il figlio dell'amore nell'acqua sporca del bagno. La sola maniera che abbiamo di onorare la vita è di osare affrontarla di nuovo ogni giorno, senza gravarla delle nostre attese - osare l'unicità del giorno nuovo!
Infatti il disastro non deriva forse dal nostro attaccamento a questa o a quella forma che l'amore ha assunto in un dato momento della nostra vita - il più delle volte al suo inizio - e dal nostro desiderio di conservarlo tale a ogni costo? Ma lo spirito è pura fluidità. Non smette di passare da una forma all'altra, sparisce di là, risorge qui, imprevisto, argento vivo, dove noi non l'aspettiamo - e le vecchie forme alle quali ci attacchiamo sono proprio quelle che lui ha abbandonato da tempo!
E magari aspettiamo tutta una vita in piedi davanti alla casa abbandonata dall'(dalla) amato(a), quando, qualche via più in là, lei (lui) ci attende invano, ogni giorno, a un nuovo balcone.
Pietà per coloro che si sposano per essere felici.
Pietà per coloro che, per disgrazia, saranno troppo a lungo contenti di quella felicità anodina che si è loro augurata nel giorno delle nozze - troppo a lungo amanti dell'amore inoffensivo delle lune di miele!
Pietà per coloro che saranno troppo a lungo fotogenici e presentabili come il giorno delle nozze!
Sono fredde le gabbie di vetro, quando la luce delle vetrine si spegne!
Il matrimonio ha per noi altre ambizioni.
Il matrimonio non ci vuole presentabili, ci vuole vivi! - e ci farà perdere la faccia fino a che, sotto le nostre maschere, appariranno i nostri veri volti".
Christiane Singer, Elogio del matrimonio, del vincolo e altre follie, 38-40

Fiorello - Viva Radio Due - Osanna

La gente canta, quando il "contesto" non è asfittico, bensì VIVO!!

A proposito di elezioni

Con lo sguardo oltre il 13 aprile
Il comunicato della Presidenza dell’Azione cattolica ambrosiana
alla vigilia del prossimo appuntamento elettorale del 13 e 14 aprile

Il contesto nel quale ci troviamo è estremamente ambiguo e poco definito. Ogni opinione e il suo contrario trovano legittimità nel dibattito pubblico: anche i programmi politici tendono a convergere ed ad assomigliarsi tra di loro. Inoltre si va a votare con quella stessa legge elettorale insoddisfacente che nella passata legislatura non ha permesso né agli elettori di scegliere i propri candidati né al sistema politico di ottenere una sicura stabilità di governo. In un tale contesto, grande è la delusione nei confronti della politica e la voglia di “astensionismo“. Altrettanto evidente è la curiosità di molti nei confronti del mutato scenario politico che si è venuto a determinare con la discesa in campo di nuovi soggetti politici. Alla luce di tali elementi, ci sentiamo di ricordare che in ogni caso il voto è un diritto - dovere di ciascuno cittadino, chiamato a concorrere all’edificazione della città di tutti e a quel bene comune da costruire anche con faticose azioni di discernimento e di scelta. Votare, affermavano appena due anni fa i vescovi lombardi, è un diritto - dovere radicato nella dignità della persona. La partecipazione al voto per il credente è anche motivata dalla fede ed è espressione di carità. In quest’ottica manifestiamo stima verso coloro che con impegno e serietà si sono messi nuovamente in gioco, per garantire il governo del Paese.
Alla luce dell’attuale campagna elettorale, nella quale i cattolici sembrano essere corteggiati da più parti, ma non propriamente valorizzati - come si evince dalle scelte dei candidati - , come cattolici avvertiamo l’esigenza di affermare che ciò che attira il nostro interesse non è la citazione dell’etichetta “cattolico”, ma la capacità di pensare in grande, di guardare lontano, di esercitare la capacità di “voler bene al futuro del proprio Paese”, come ha recentemente affermato il cardinal Bagnasco, presidente della Cei. Se politica è “visione dell’interesse lontano” riteniamo che i cittadini debbano non solo votare, ma anche informarsi e cercare tra i vari partiti quelli più capaci di gettare le basi di un futuro prossimo e remoto, ben oltre la ricerca di un tornaconto immediato o limitato ad una prospettiva quinquennale. Siamo chiamati, con un esercizio di profezia, a riconoscere e promuovere chi sa guardare lontano. Chiedere alla politica progetti lungimiranti è un esercizio di vigilanza a cui oggi siamo tenuti.
Cosa costruisce il domani?
- La cura dei piccoli e dei giovani, sia all’interno che all’esterno delle istituzioni scolastiche per la loro piena maturazione umana;
- la cura della famiglia e delle condizioni che ne permettano una crescita serena (casa, lavoro stabile) e una tutela della vita dal concepimento alla morte naturale;
- la riflessione riguardo allo scenario internazionale con le sue risorse e i suoi problemi;
- la cura dell’ambiente, quale casa unica che abbiamo per abitare nel cosmo, e la cura oculata e previdente delle risorse economiche e finanziarie per l’oggi e per le future generazioni;
- la costruzione di una società che inevitabilmente sarà contrassegnata dalla multiculturalità, la quale rischia di essere “subita” se non viene sostenuta da un progetto che abbia al centro l’uomo e la sua dignità.
Un progetto pensato e costruito all’insegna dell’integrazione tra diversi, e capace di assumere le grandi questioni etiche.
Un impegno a determinarsi contro ogni tipo di associazione illegale e di organizzazioni di tipo mafioso.
Questi temi non sembrano essere tutti attualmente al centro del dibattito politico.
Il nostro domani ha bisogno fin da ora di una rinnovata capacità di pensiero, che sia frutto di un lavoro condiviso, di una nuova sintesi culturale, dentro la quale, come cattolici, possiamo e dobbiamo esercitare con competenza un ruolo alto di riflessione e di dedizione riguardo al quel bene che è comune ad ogni uomo. Auspichiamo che nascano luoghi di riflessione prepolitica sia nell’ambito ecclesiale sia in quello civile, dove possa ripartire un laboratorio culturale di alto profilo, terreno fecondo per una politica a servizio del bene del paese. Questo auspicio sta a segnalare che, come credenti e cittadini, cerchiamo di guardare lontano, attraverso e oltre il 13 aprile.
Milano, 19 marzo 2008

venerdì 4 aprile 2008

Auguri a Goldrake!

Sigla originale in italiano

Alessio Caraturo - Goldrake

A trent'anni dalla comparsa di Goldrake, una rivisitazione nostalgica

No alla De Filippi!


Finalmente non sono più l'unico a dire in pubblico certe cose!
«I programmi della De Filippi? Sono brutti»
Gli strali di Aldo Grasso contro «Amici»

40° anniversario della morte di M.L. King


L’Agenzia stampa NEV ha intervistato la presidente dell’UCEBI, la pastora Anna Maffei.
I battisti italiani da tempo stanno portando avanti una campagna per diffondere il pensiero di Martin Luther King in Italia. Quali sono i vostri obbiettivi?
Rilanciare Martin Luther King, la sua figura, il suo messaggio in questi quasi due anni di mobilitazione ha avuto almeno tre scopi fondamentali. Il primo, quello di far conoscere meglio uno dei protagonisti del '900 al di là della retorica del sogno. King fu certamente un visionario nel senso più alto del termine, ma seppe anche guidare un movimento che aveva obiettivi concreti nell'affermazione dei diritti della minoranza afro-americana, molti dei quali furono raggiunti nella breve parabola della sua attività politica. Il secondo scopo è quello di richiamare l'attenzione sui diritti delle minoranze oggi in Italia. Fra questi il diritto ad una legislazione più giusta e rispettosa nel campo dell'immigrazione e del diritto d'asilo. Il terzo scopo è contribuire ad una riflessione, simile a quella che avviò King nella sua epoca, sulle connessioni esistenti fra povertà, militarismo e razzismo in un mondo in cui il divario fra ricchi e poveri è spaventosamente aumentato e le guerre per la supremazia assumono oggi linguaggi da crociata.
Qual è l'attualità di Martin Luther King oggi?
King è attuale perché le strutture di pensiero che soggiacciono alle ideologie razziste sono le stesse per ogni generazione. King le ha analizzate e svelate. La sua articolata riflessione può aiutare anche noi quando il demone del razzismo dalle molte facce si affaccia nel nostro tempo e nel nostro paese. Noi non ne siamo immuni. King è attuale perché ancora si contrabbanda la violenza militare quale mezzo per risolvere controversie internazionali mentendo sui veri scopi delle guerre. La sciagurata avventura irachena è il Vietnam di 40 anni dopo. King è attuale perché anche noi crediamo che l'amore per il nemico, cuore del messaggio evangelico, possa avere una dimensione politica e abbia capacità di radicale trasformazione. Ma c'è bisogno di un popolo internazionale, multiidentitario e coraggioso disposto a spendersi per questo.
L'articolo completo si trova sul Portale delle Chiese evangeliche battiste italiane:

giovedì 3 aprile 2008

Giornata per fidanzati


"Urla del silenzio"


E' morto negli Usa Dith Pran. Illuminò con il proprio coraggio i "killing fields" di Pol Pot
In un libro e in un film premio Oscar la battaglia al fianco dell'inviato del NYT Schanberg
Cambogia, addio al fotografo delle "Urla del silenzio"
dal nostro inviato Vittorio Zucconi - WASHINGTON - La malattia lo aveva ridotto come soltanto Pol Pot era riuscito a fare, una foglia secca d'uomo posata sulle lenzuola di un ospedale del New Jersey che i suoi 35 chili neppure increspavano. Dith Pran, il fotografo cambogiano che illuminò con il proprio coraggio quasi incomprensibile i "campi della morte" dei khmer rossi, è volato via ieri a 65 anni, con un solo grande rimpianto, quello di non avere visto Pol Pot processato e chiamato a rispondere dei due milioni di innocenti, a volte colpevoli soltanto di possedere un orologio da polso o un diploma di scuola media, segni di sfacciata ricchezza borghese e di acculturazione occidentale. Di quegli anni, e di quest'uomo, il mondo che aveva guardato e letto con sbigottimento l'odissea disumana per sopravvivere ai 5 anni di follia omicida polpottiana, si era largamente dimenticato, distratto da altre follie e dall'accavallarsi instancabile di altre ondate di sangue. Dith Pran non lavorava più da tempo, corroso da un tumore al pancreas. Ma senza di lui, senza il collega americano Sydney Schanberg che lo aveva assunto a Phnom Penh e non aveva mai rinunciato a ricordarlo, anche l'olocausto polpottiano sarebbe rimasto oscuro. E i due milioni di morti sarebbero stati licenziati come una montatura anticomunista, secondo la stessa legge del revisionismo che oggi minimizza o nega addirittura la shoah ebraica. Era l'aprile del 1975, 33 anni or sono che sembrano un altro millennio, quando i Khmer Rouge di Saloth Sar, alias Pol Pot, alias "Il Grande Zio", alias "Il Primogenito", presero il controllo della Cambogia, da lui ribattezzata Kampuchea, e proclamarono quell'anno "l'Anno Zero" della costruzione di un comunismo rurale e primitivista, capace di purgare tutte le influenza tossiche dell'Occidente che la guerra fra il vicino Vietnam e gli Stati Uniti avevano iniettato in una terra dolce e mite come fino alla guerra la Cambogia era. Dith, che aveva assistito Schanberg nelle sue corrispondenze dalla capitale Phnom Penh e aveva salutato sul New York Times il ritiro degli americani nel 1973 come "l'avvento di un tempo di libertà e di pace per questa regione" dovette constatare direttamente di quale pace e libertà fossero portatori i primitivisti del "Grande Zio". Mentre migliaia, e poi milioni, di cambogiani, venivano tradotti in marce forzate, verso le risaie, i campi, i gulag dove sarebbe stato rieducati a colpi di bambù, di esecuzioni sommarie, di lavoro manuale 24 ore al giorno e diete a base di una ciotola di acqua della bollitura del riso con qualche chicco di grano sparso dentro, il giornalista del Times riuscì a partire. Ma non il suo assistente e fotografo, Dith Pran, macchiato indelebilmente dalla collaborazione con un "imperialista" e quindi sospetto di essere un uomo della Cia, o del Kgb, perché la paranoia di Pol Pot non risparmiava - come vedremo a ragione - neppure i traditori sovietici. Per 5 anni, osservando lo sterminio di un popolo senza altra colpa che di essersi trovato come la noce nella morsa dello schiaccianoci della Guerra Fredda divenuta laggiù rovente, l'ometto che arrivò a pesare 40 chili, sopravvisse, documentò, registrò. E portò in Thailandia, dopo una marcia di mesi nella giungla tropicale, il ricordo di quei killing fields, come lui li battezzò, dei campi della morte dove un terzo della popolazione cambogiana lasciò la vita. Ne uscirono un libro, un film divenuto giustamente famoso, e un premio Pulitzer per Schanberg, che anni dopo sarà licenziato con rabbia dal New York Times che lo aveva confinato al city desk, alla cronaca locale, dove lui fremeva, nell'incurabile sofferenza e irrequietezza del reduce disadattato. Lui stesso vinse importanti premi giornalistici e fotografici, divenne ambasciatore di buona volontà per l'Onu, battendosi per ricordare quella e altre tragedie delle ideologie, dei fondamentalismi di tutte le religioni militanti e dell'odio. Ma soprattutto, Dith Pran, che vide un proprio collega sopravvissuto ai "campi" ucciso in una rapina nel Bronx e fu lui stesso aggredito e derubato uscendo dopo un turno di notte al servizio fotografico del Times (la direzione lo ricollocò nel lavoro di giorno, per evitarsi l'imbarazzo del survivor dei campi della morte ammazzato a Times Square), fu uno dei più devastanti colpi inferti a quei miti del "comunismo asiatico" che prima le Guardie Rosse di Mao e poi i Vietcong di Ho Chi Minh avevano creato, in chi non li doveva vivere di persona. Furono proprio le truppe del Vietnam ormai riunificato sotto il controllo del Nord, spinto da Mosca, a intervenire a spazzare via Pol Pot e i Khmer nel 1978, mentre l'ometto che aveva aperto la gabbia di bambù e svelato il massacro si sposava a New York, aveva tre figli e una decina di nipoti, si vedeva onorato e riconosciuto per quello che era, un eroe modesto della virtù più difficile, la testimonianza giornalistica in prima persona. Nessuno saprà mai esattamente quanti innocenti esseri umani siano stati annientati dalle allucinazioni egalitariste e primitiviste dei Khmer. Si va dai 2 milioni e 300 mila calcolati dal francese Francois Ponchaud agli 800 mila dati dallo stesso Pol Pot. "Noi cambogiani - dirà il fotografo che demolì un silenzio - sappiamo che il corpo è soltanto una scatoletta di legno fradicia, dalla quale l'anima prima o poi volerà via come un uccello finalmente libera" e la sua ultima foto ce lo mostra ormai consunto, ma ancora sorridente. "Mi addolora soltanto non avere mai potuto vedere Pol Pot processato davanti al mondo". Non si era mai considerato un eroe, un martire, forse neppure un giornalista chiamato a chissà quali missioni di verità, ma soltanto uno di quelli che sopravvivono sempre anche al più sistematico e puntiglioso degli stermini. Dith era l'incubo di despoti e dei massacratori attraverso la storia: quello che torna da loro inferno per raccontarci come è fatto.
(31 marzo 2008)

mercoledì 2 aprile 2008

"El amor de las mujeres..."


"Caro don Chisciotte, ha proprio ragione Compay Segundo: “El amor de las mujeres no tiene comparasion”! C’è solo un amore che “tiene comparazione” con quello delle vere donne: quello di Dio! Ovviamente perché sono imparentate con Lui!! Per questo le ha create per ultime: perché l’uomo, guardandole, potesse gioire. Le donne che amano hanno un solo desiderio: vederti felice. E per questo si dedicano “tutte”: Gesù direbbe “tutta l’anima, tutta la mente, tutto le forze”; aggiungiamo pure: “tutto il corpo”. Quando ti vedono felice, indossano un sorriso che ripaga al mille per cento. Quando ti sentono infelice, si fanno in otto per sollevarti, e spesso ci rimettono. Lo si vede anche coi figli: quando si dedicano, sembra che non esista più nulla al mondo; e i figli (piccoli!) li ricambiano con uno sguardo speciale, riservato solo a loro. Fortunato l’uomo che ha una donna così: gusta la gioia di essere sorgente di gioia per la persona che ama. Noi maschi non capiamo del tutto certe cose; speriamo almeno di avere la “furbizia” di lasciarci amare! Ed imparare da questo amore incomparabile!"

grazie a S.I.

Tatuaggio religioso

Mai pensato a un bel tatuaggio?!
E se la mamma non vuole? Un bel soggetto religioso!!


Risurrezione e silenzio


“Parlare di Risurrezione significa entrare in un campo in cui tutte le parole iniziano a tremare. Sapendo di non sapere nulla, ciò mi risulta ancor più prezioso!”
… stupisce che la Scrittura stessa sembra sospendere le parole di fronte a questo dono inatteso: “Quello che mi convince nella scena della tomba vuota, la mattina della Risurrezione, è che nessuno insiste troppo: gli evangelisti dedicano solo due righe al riguardo. Dei falsificatori avrebbero scritto volumi interi sulla Risurrezione. Ci credo perché ci sono solo due righe. È strano che la cosa più importante figuri appena nei Vangeli… Quando leggo queste cose sento che sono vere”
C. Bobin, La luce del mondo, 174
… per stare di fronte alla risurrezione con il silenzio dello sguardo!

grazie a dfra

martedì 1 aprile 2008

Grano e zizzania


"Si può capire ancora meglio la parola del Vangelo se si verifica l'elenco dei Dodici che Gesù ha chiamato (Mc 3,13-19): ci si accorge così che essi non sono i migliori, né quelli più garantiti in partenza, ma sono uomini semplici, «normali», eterogenei. A questo episodio della scelta dei Dodici è inevitabile accostare il racconto della parabola del grano e della zizzania (cf Mt 13,24-30). Gesù accetta nel proprio gruppo il «grano» e la «zizzania», accosta il buono e il cattivo per farli convivere insieme. Anche nella nostra vita - come nella storia - c'è una promiscuità di intenti e di risultati, un intreccio che è difficile da accettare e spesso anche da districare. Il bene e il male crescono insieme come il grano e la zizzania: Dio appare come il grande paziente che sa aspettare ed accetta che il grano e la zizzania crescano insieme l'uno accanto all'altra."Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. [...] Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza" (Benedetto XVI). Occorre accettare che questa mescolanza sia presente a tutti i livelli, nella società, nelle relazioni e, in particolare, dentro di noi. Dunque la scelta di Giuda appare come una metafora forte della condizione umana e della sua evoluzione individuale e storica. Il nostro cuore è un terreno di grande ambiguità, dove si trovano appunto tanto il grano quanto la zizzania; entrambi sono destinati a germogliare insieme nel cuore di un'unica persona e separarli è un'impresa impossibile. Meglio: è Dio stesso ad invitarci alla prudenza e alla pazienza; ci consiglia di stare bene attenti a non sradicare l'erba buona con la cattiva, ad aspettare la loro maturazione finale. A ben vedere, l'impazienza è generata probabilmente dall'orgoglio, quello che impedisce di accettare la propria debolezza o i propri limiti, inducendo a perseguire una perfezione terrena che è impossibile. La via della pazienza è comunque difficile: richiede, senza dubbio, amore e costanza, un amore in grado di sconfiggere il male in virtù di un abbraccio onnicomprensivo che supera l'umana concezione del tempo. La prima condizione in cui si sviluppa l'efficacia della pazienza, infatti, è la capacità di attesa; la dilatazione dell'attesa si ha nella speranza, nella fiducia e quindi, in definitiva, nella capacità di amare persino la miseria, il limite. È vero dunque che il regno di Dio cresce, ma non come si desidera, bensì con una logica diversa dalla nostra, una logica sconcertante: la zizzania non va strappata (così come Gesù non ha rifiutato Giuda dal gruppo dei Dodici), anche perché potrebbe diventare grano buono sino all'ultimo istante, proprio in virtù di quell'attesa totale e piena di amore che non esclude mai la svolta, la sorpresa; il male resta male, ma le persone possono cambiare anche all'ultimo istante della loro esistenza; anche quella parte dell'uomo che si chiama zizzania, con la grazia di Dio, potrebbe cambiare radicalmente, in virtù della pazienza divina associata alla libera scelta dell'uomo".


S. Stevan, Giuda, 20-21

Scetticismo


Faccio parte di quella minoranza (e te pareva!) che non crede
che ci sarà quel "miracolo a Milano" in vista dell'Expo 2015.
Non è stato così per i Mondiali del '90, né per i vari G8 (o G7 o G9), né per il ponte sullo stretto, né per Malpensa, né per la Fiera di Rho-Pero.
Volessero promuovere una città e fare il bene comune,
costruirebbero case popolari, scuole decenti, ospedali pubblici efficienti,
mezzi di trasporto funzionanti, parchi puliti,
oratori e centri di aggregazione per giovani, vecchi e famiglie.
La mia è demagogia? Populismo?
Forse sarebbe meglio sapere quanto e chi ha guadagnato da una guerra che dura da sei anni, e che ha senz'altro fruttato ben più di quanto si è speso
(nessuno, tranne Gesù, è un benefattore a fondo perduto).
Saranno sette anni di "guerra" di mattoni e cemento, impalcature e appalti;
con le rispettive vittime.
Magari così rivitalizzano Malpensa... i privati, però!
Dopo il 2015, quando le strutture andranno ad ammalorarsi,
non ci resta che sperare che diano a Milano le Olimpiadi del 2020.
Per un nuovo miracolo,
che - per sua definizione - non è raggiungibile dalle forze dell'uomo.

lunedì 31 marzo 2008

Vip's internazionali - 2


per un sorriso
Gli intramontabili VIPs internazionali - parte seconda
la prima parte era nel post del 9 febbraio
Lanciatore di coltelli giapponese: Khicojo Kojo
Moglie del lanciatore di coltelli: Sontuttun Taj
Lanciatore di giavellotto turco: Alìjetta Stakanna
Lottatrice russa: Valentina Moccescann
Maleducato giapponese: Nuseurjna Sujmuri
Mezzala tedesca: Von Kross
Ministro trasporti cinese: Kam Jong-Cin
Figlio ministro trasporti cinese: Fu Rgon-Cin
Motociclista giapponese: Mafuso Lamoto
Nuotatore tedesco: Otto Wasken
Nuotatore subacqueo americano: Paul Mon
Nuotatore subacqueo giapponese: Tokaj Ofunno
Ostacolista cinese: Cin Cian Paj
Piromane giapponese: Chian Cerjn
Podista giapponese: Nuja Fopu
Pokerista giapponese: Chion Full
Poliziotto rumeno: Silu Pescu
Posteggiatore rumeno: Moku Mesku
Pugile giapponese: Soshito Ntronato
Riserva giapponese: Jokopoko Majoko
Raccattapalle giapponese: Joko Maj
Saltatore giapponese: Sojto Steso
Sarto giapponese: Sumjsura
Smemorato cinese: Kjso
Tuffatore giapponese: Kifukj Maspjntu

TV: "cultura" e interessi


La tv a due velocità: cult, ma non per tutti
E’ il “digital divide”: un vero e proprio divario culturale separa chi vede i vecchi canali e chi paga
Paolo Martini - Roma - Di più è di più. Così, semplicemente, si può riassumere una svolta della tv. Il nuovo slogan assomiglia al fortunato «di tutto, di più» della vecchia Rai, ma ha ben altra storia. «Di più è di più» era il motto della dinastia dei Tudor. E a segnare questa svolta di più-di più della tv è proprio l'imminente grandioso lancio della serie televisiva con Jonathan Rhys Meyers nei panni (e soprattutto pure senza i panni) di Enrico VIII. Sesso e Utopia, intrighi e collarini, guerre e farsetti, ossessioni d'amore e riforme religiose in una spettacolare ricostruzione cinematografica per la tv che negli Stati Uniti ha segnato un salto di qualità del più importante canale a pagamento, Showtime. (...)
Il lancio dei Tudors, testa a testa con gli attesissimi nuovi episodi di Lost sui canali Fox del bouquet Sky, segna il passaggio della tv-tv alla scena digitale. Finora la digi-tv aveva raccolto soprattutto pubblici di nicchia, magari molto importanti, ma pur sempre meno «generalisti» di quelli della tv tradizionale. E' un vero e proprio nuovo divario culturale, il paio del cosiddetto «digital-divide», quello che separa ormai chi si sorbisce la solita vecchia tv, e chi pagando può permettersi di accedere ai canali digitali. In Italia a Sky si sono affiancati i tre nuovi strani canali di Premium Gallery, Joy, Mya e Steel: Mediaset li sta spingendo persino con offerte che si comprano come le ricariche dei cellulari. E il risultato finale è che, secondo i dati dell'indagine di base ufficiale per l'Auditel, sono ormai 8,6 milioni le famiglie italiane digital-televisive. Aldilà degli indici di ascolto effettivi, che sono ancora difficili da calcolare, la svolta è nei fatti. Per esempio, è evidente che se uno spettatore si avvicina allo stile e ai linguaggi della nuova produzione seriale Usa (che peraltro le reti generaliste sacrificano con programmazioni insensate), resta stregato: ed è davvero difficile tornare indietro. (...)
E il «Di più è di più» dei Tudors non è roba da mammolette di Rivombrosa, è davvero crudo. Alla fine il «digital-divide» televisivo è anche una questione di censura, perchè sulle reti generaliste viene tutto ancora massacrato secondo un'improbabile ma ferrea logica moralistico-politica. E quest'anno ci si è messo persino lo sciopero degli autori, che fornisce il pretesto per un nuovo disordine a chi decide le griglie rigide della tv tradizionale. Nella digi-tv le serie vengono mandate e rimandate in onda senza grandi problemi, in perenne «loop». Ogni giorno in tutto il mondo viene vista una qualche puntata di un qualche Csi, ed è così che è diventata la serie record di pubblico di tutta la storia dello spettacolo. Di più è di più, appunto.

domenica 30 marzo 2008

Senza parole... e senza criteri!


LA CHIESA INGLESE HA DEFINITO L'OPERA «BRILLANTE E INTELLIGENTE»
«The Manga Bible», Gesù è un supereroe
L'opera del fumettista Siku sta spopolando tra i ragazzi inglesi. «Vedo Cristo come il Superman originale»
LONDRA - La Rete ne parla, e non solo. La «Bibbia» tradotta in manga dal fumettista di origini nigeriane Ajinbayo Akinsiku, detto Siku, sta letteralmente spopolando tra i giovani inglesi. Come dire, finalmente Cristo ha davvero un «volto» umano. Ed è il volto di uno straniero solitario, con lunghi capelli neri e una tunica svolazzante. Come i supereroi delle «strisce» più note, è arrivato per salvare il mondo. Ma lui ha qualcosa in più: di nome fa Gesù. «The Manga Bible» ha venduto 30mila guadagnandosi nientemeno che l'elogio dell'arcivescovo di Canterbury. «Lo vedo come il Superman originale. È per questo che entra in scena così, con questa sua sagoma e con le sue pose da eroe» ha spiegato Siku.
LINGUAGGIO - Scopo del fumetto, ormai il manga più venduto nel Paese, è insegnare il messaggio della Bibbia ai ragazzi dai 15 ai 25 anni. Dalla Genesi al Vangelo, tutto in circa 200 pagine. Con personaggi che utilizzano lo stesso linguaggio dei ragazzi, iniziativa costata a Siku qualche critica dai più tradizionalisti. Non però dalla Chiesa inglese, che ha definito l'opera «brillante e intelligente». «È una cosa che può urtare certe persone, ma in cui molte si possono identificare. L'idea che Gesù Cristo sia una sorta di supereroe non è nuova, basta pensare al musical "Jesus Christ Superstar". Ciò che importa è che il messaggio della Bibbia sia mantenuto» ha detto un portavoce.

Ignoranti


"Gli ignoranti macchiano o distruggono sempre
quello che non sono in grado di capire"

Donne in cerca dell'amato, 27