sabato 27 dicembre 2008

Coerenze e provocazioni

Sono anch'io per le scelte un po' "parlanti"
e non per le solite parole mute.
Come siamo dispiaciuti per i cristiani
che non sentono la gioia di condividere la mensa della Eucarestia domenicale,
così non ne possiamo più dei "cattolici della Messa",
che all'uscita dalla chiesa firmano contro gli stranieri.
Avrei preferito un bel "non siamo pronti".
E poi Gesù, che è un grande,
nasce anche dove noi non lo faremmo nascere,
magari anche in certe chiese.
don Chisciotte

Monsignor Attilio Bianchi nella Messa di mezzanotte ha detto ai presenti che se non sono preparati ad accogliere gli immigrati, "Gesù non nasce"
Bergamo, niente Bambinello nel presepe
Il parroco spiega ai fedeli: "Non siete pronti"
In una chiesa di Bergamo il parroco si è rifiutato di mettere la statuetta di Gesù Bambino nel presepe (come accade, per tradizione, il 24 dicembre), perché la gente "non è pronta". E ora fa discutere la scelta di monsignor Attilio Bianchi, parroco della chiesa di Santa Lucia, il Tempio votivo di Bergamo, annunciata nel corso dell'omelia, alla Messa di Mezzanotte.
Il sacerdote, che durante le omelie domenicali invita i fedeli a curarsi dei poveri e degli emarginati, ha deciso di comportarsi di conseguenza. E durante l'omelia ha proclamato: "Questa notte non è Natale. Non siete pronti. Se non sapete accogliere lo straniero, il diverso, non potete accogliere il Bambin Gesù. Perciò Gesù non nasce".
E quindi non ha fatto porre nel presepe della chiesa la statuetta (già pronta) del Bambinello. A chi ha chiesto spiegazioni ha poi detto che il presepe era basato sul racconto di Ezio del Favero 'Al chiaro delle stelle', in cui Gesù Bambino esce dalla culla per andare da un bimbo povero che non osava stargli vicino: "Il messaggio che abbiamo voluto dare è proprio questo: Gesù non ha paura di avvicinarsi agli emarginati, agli ultimi. E' ora che chi si dice cattolico metta in pratica gli insegnamenti di Cristo".

Leggende e realtà

Il quarto dei magi che ritardando giunse in anticipo
di Igor Man
E’ nato il bambino ch’è già nato. Un bambino povero, senza giocattoli, una mangiatoia per culla. È nato nel buio della povertà ma subito ha sparso luce perché gli uomini sapessero dove andare e chi adorare. Tanto tempo è passato da quel momentum ma «sembra ieri» e da allora anno dopo anno si rinnova il mistero chiamato Gesù.
Un miracolo non più idilliaco, difficile da rinnovare; un miracolo antico e tuttavia presente. «La novità vera è Gesù, contemporaneo ad ogni epoca», ipse dixit Giovanni Paolo II al Vecchio Cronista allorché questi fu ricevuto nell’appartamento pontificio il 9 di dicembre del 2001. Era prevista una udienza di routine ma papa Wojtyla, inopinatamente, mi dedicò mezza mattinata. Nel lontano 1949 avevo incontrato Padre Pio, lungamente. E Giovanni Paolo II, insaziabile, mi interrogava sul cappuccino che di lì a poco avrebbe fatto santo. In quella inobliabile occasione parlammo dell’islàm nella prospettiva del «dialogo» che secondo il Papa avrebbe potuto trovare una sorta di «paziente scorciatoia» nella preghiera interreligiosa, dal Papa stesso affidata all’«Onu di Trastevere», cioè alla Comunità (laica) di Sant’Egidio. Ogni anno, cristiani, ebrei e islamici si radunano in una capitale del mondo per riflettere e ragionare sulle religioni monoteiste. Chiude la «tre giorni» la preghiera interreligiosa: si prega fisicamente insieme; ognuno a suo modo, spiritualmente. Il Papa parlava sommesso ma la sua voce si fece alta e forte quando ricordò l’Epifania: «Il racconto dei Magi può, in un certo senso, indicarci una rotta spirituale - disse -: i Magi furono in qualche modo i primi missionari. L’incontro col Cristo non li bloccò a Betlemme ma li spinse nuovamente per le strade del mondo». Giovanni Paolo II, l’ho già scritto, fa pensare al «quarto» dei Magi. Mia madre, russa ortodossa, mi raccontava la incredibile storia, appunto, del «quarto».
Si chiamava Artaban ed era un persiano zoroastriano. Comparsa la stella cometa, si mette in viaggio per raggiungere gli altri tre. A poche ore dall’appuntamento, Artaban si imbatte in un ebreo terribilmente ferito. Soccorre il moribondo, questi guarisce e lo ringrazia rivelandogli che il Messia sarebbe nato a Betlemme. Mancato l’appuntamento con Gaspar, Melkior e Balthasar, il «quarto» vende una delle pietre preziose destinate al Bambinello e allestisce una nuova carovana. Arriva a Betlemme ma in piena strage degli innocenti. Con un rubino salva dalla morte un bimbo corrompendo i centurioni che stavano per sgozzarlo. Passano gli anni e il vecchio Artaban conserva gelosamente l’ultimo suo tesoro: una rarissima perla. Con essa, un giorno doloroso, il «quarto» spera di salvare il Messia dalla crocefissione. Ma sul Golgota un ragazzo lo implora di riscattarlo dalla schiavitù romana e il vecchio re sapiente sacrifica l’ultimo suo bene: la perla. In quel preciso momento «egli si avvede d’essere stato ammesso, per primo, alla presenza del re tanto atteso e cercato, quello vero: Gesù». Qui è stato facile a chi scrive identificare, se così può dirsi, il quarto dei Magi in Giovanni Paolo II.
C’è infatti una morale in questa storia, una morale luminosa come la grotta in cui nasce Gesù di Nazareth. Eccola: Artaban è giunto in ritardo a Betlemme ma è arrivato in anticipo sulla Pasqua di Resurrezione. Tutto muta ma nulla è cambiato e allora diremo, credenti e laici, che Gesù non è solamente dalla parte del Mistero di Dio di fronte all’uomo, ma altresì dalla parte dell’uomo di fronte al Mistero di Dio.

giovedì 25 dicembre 2008

Finalmente concretezza: bravo Arcivescovo!

dall'Omelia della Messa di Mezzanotte in Duomo:

(...) In questo Natale, già segnato dalle prime ondate di una grave crisi economica, un interrogativo mi tormenta: io, come Arcivescovo di Milano, cosa posso fare? Noi, come Chiesa ambrosiana, cosa possiamo fare?
Prima di porre un segno, quasi a dare il “la” ad un concerto che mi piacerebbe potesse coinvolgere coralmente tutta la nostra Chiesa e anche tutti gli uomini di buona volontà, vorrei che ciascuno conservasse nel cuore questa domanda e da questa si lasciasse inquietare e convertire: io cosa posso fare?
Il pensiero che alcune famiglie in parrocchia, un vicino di casa, si possano trovare a vivere queste feste con il timore di perdere il proprio posto di lavoro non può non interrogare ciascuno di noi. C’è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà, segno di giustizia prima ancora che di virtù. C’è una solidarietà umana da ritrovare nei nostri paesi e nelle nostre città per uscire dall’anonimato e dall’isolamento, perché chi vive momenti di difficoltà non si senta abbandonato. C’è una nuova primavera sociale fatta di volontariato, mutuo soccorso, cooperazione da far fiorire perché insieme – ne sono certo -, solo insieme è possibile affrontare e superare le difficoltà che sperimentiamo e che si prospettano.
Non possiamo stare a guardare! Occorre agire. E l’azione ora deve privilegiare chi nei prossimi mesi perderà il lavoro e non sarà più in grado di mantenere dignitosamente sé e la propria famiglia. Certo, la nostra Chiesa ambrosiana – nelle sue istituzioni, parrocchie, associazioni – è da sempre accanto alle persone che soffrono forme di antica e nuova povertà. Ma sento il bisogno di rinnovare l’appello alla responsabilità di tutti e di ciascuno affinché il miracolo della solidarietà, possibile dove si vive con autenticità il Vangelo, si ripeta anche in questo momento difficile. Realizziamo, insieme, dei gesti concreti di “solidarietà”. I nuovi e più profondi legami che nascono dall’Eucaristia – celebrata questa notte e quotidianamente – siano le motivazioni più evangeliche e convincenti per sostenere umanamente e spiritualmente chi è o sarà in difficoltà per la perdita del lavoro.
La solidarietà invoca anche sostegni materiali e risorse da destinare a chi è nel bisogno. E l’atteggiamento che rende viva e autentica la solidarietà è la “sobrietà”. Tutti dobbiamo essere sobri: perché il cuore sia libero dalle ricchezze, per educarci a investire e a spendere per ciò che è necessario e importante e per condividere la nostra umanità e i nostri beni con chi è povero.
Perché questo discorso non resti generico, in questa Notte Santa, come Arcivescovo di Milano mi appello alla responsabilità dei singoli e delle comunità cristiane della diocesi e personalmente costituisco il “Fondo famiglia- lavoro” per venire incontro a chi sta perdendo l’occupazione. Come avvio di questo fondo, attingendo dall’otto per mille destinato per opere di carità, dalle offerte pervenute in questi giorni “per la carità dell’Arcivescovo”, da scelte di sobrietà della diocesi e mie personali metto a disposizione la cifra iniziale di un milione di euro.
Chiedo a tutte le comunità cristiane della diocesi di riflettere sulle conseguenze della crisi economica, di prestare particolare attenzione alle famiglie in difficoltà a causa del lavoro, di aderire con generosità a questo fondo.
Sarà compito insieme dei sacerdoti e dei laici – attraverso i consigli pastorali, i consigli per gli affari economici e gli altri organismi competenti – operare un serio discernimento e decidere come parteciparvi (rimandare spese non urgenti o secondarie, destinare una percentuale del bilancio parrocchiale, intraprendere coraggiose scelte di sobrietà…).
La Caritas Ambrosiana e le ACLI stanno già studiando le forme più adatte, a partire dalla loro esperienza, per la gestione e l’utilizzo di questo fondo secondo modalità che verranno poi rese note. (...)

Natale di Gesù 2008

Il nostro corpo presepe vivente,
nei luoghi dove siamo chiamati a vivere e lavorare.
Le nostre gambe come quelle degli animali
che hanno visitato la grotta "quella notte".
Il nostro ventre come quello di Maria
che ha accolto e fatto crescere Gesù.
Le nostre braccia come quelle di Giuseppe
che l'hanno cullato, sollevato, abbracciato e lavorato per lui.
La nostra voce come quella degli angeli
per lodare il Verbo che si è fatto carne.
I nostri occhi come quelli stupiti di tutti coloro
che la Notte Santa l'hanno visto nella mangiatoia.
Le nostre orecchie come quelle dei pastori
che hanno ascoltato attoniti il canto divino proveniente dal cielo.
La nostra intelligenza come quella dei Magi
che hanno seguito la stella fino alla Sua casa
Il nostro cuore come la mangiatoia
che ha accolto l'Eterno
che si è fatto piccolo e povero come uno di noi.
grazie a R.C.

mercoledì 24 dicembre 2008

Attorno al presepe

I cattolici non hanno bisogno di spaccarsi:
sono già divisi... quasi su tutto.
Prima di parlare,
ricordarsi di connettere la bocca al cervello
(e al Vangelo, se possibile!).

Nei presepi allestiti a Genova e Venezia tra i pastorelli è apparsa una moschea che ha provocato discussioni e polemiche. I musulmani: è un segno di pace
La moschea dentro il presepe: insorge la Lega, cattolici divisi
Se nel presepe spunta la moschea, come succede a Genova e a Venezia, le città si dividono, si spacca il mondo cattolico, e insorge la Lega che apre una nuova crociata al grido di "Via la moschea dal presepe!".
"È un'assurdità, una cosa che non ha senso", tuona Don Gianni Baget Bozzo. "Nessun problema e nessuna contrarietà, per me va bene", replica Abdel Hamid Shari, presidente dell'istituto culturale islamico della moschea milanese di viale Jenner. Più cauto il Patriarca di Venezia Angelo Scola: "Nella realizzazione del presepe non ci dovrebbe essere spazio per il sincretismo, ma non ci sono regole rigide per la sua costruzione".
Sono in una parrocchia di Genova e in una scuola di Venezia i casi che fanno gridare allo scandalo. Nella prima, la parrocchia di Nostra Signora della Provvidenza, è stato il parroco, Don Prospero Bonzani, ad avere l'idea, dopo un pellegrinaggio in Palestina in cui ha visto "come stanno veramente le cose", spiega, che cioè "i palestinesi sono stati confinati dagli israeliani in tante prigioni larghe quanto un paese". Di qui l'iniziativa di inserire nel presepe una moschea e un minareto "per indicare l'intenzione di intraprendere il difficile dialogo con il mondo islamico".
Durissime le proteste della Lega. "Un gesto di pura imbecillità e di ossequio vile e strisciante all'invasione islamica", lo definisce l'eurodeputato Mario Borghezio. "Manca solo il kamikaze che cerca di far saltare la capanna col tritolo", incalza il segretario del Carroccio genovese Edoardo Rixi.
A Venezia invece la moschea è sorta nel presepe di una scuola cattolica, l'istituto professionale del Centro italiano femminile, per iniziativa di una bidella bosniaca, Suada Kechman, condivisa dalla direttrice del centro, Valentina Pontini: "Il 40 per cento degli alunni è straniero, è un'utile apertura culturale". Il direttore della Caritas, Monsignor Dino Pistolato, condivide: "È una novità che non mi disturba. Anzi, trovo che sia un bel segno. Cristo viene in terra per tutti, indistintamente". Apprezza anche Padre Alberto Ambrosio, della comunità dei domenicani di Istanbul: "Un'iniziativa molto bella". Inorridisce invece Padre Konrad Friedrich Ferdinand, cappellano della chiesa di san Simeon Piccolo, dove celebra la messa in latino: "È profondamente sbagliato, un intervento che stona. I musulmani non hanno lo stesso concetto di Gesù. Per noi è Dio, per loro no". "Un'esterofilia insulsa", attacca il leghista Alberto Mazzonetto.
Anche Don Gianni Baget Bozzo è più che perplesso sull'iniziativa della moschea nel presepe. E non solo per motivi storici, dal momento che quando Gesù è venuto al mondo, l'Islam non c'era ancora. Ma soprattutto perché, spiega, "è profondamente sbagliato accogliere tutti, e a tutti i costi, nel nome della carità. A volte la carità può diventare violenta - aggiunge - Infatti credo che la cosa non possa far piacere neanche ai musulmani, perché vedersi inseriti nel nostro presepe può significare venire assorbiti da un'altra religione. E siccome la moschea è il simbolo della loro religione, metterla nel presepe potrebbe essere vista come una dissacrazione".
Non sembra turbato invece l'Imam di Milano Hamid Shari: "Ognuno interpreta le cose sacre come vuole. Certo, è vero che la moschea arriva un po' più in là della nascita di Gesù, che anche per noi è una figura sacra, ma se il senso dell'iniziativa è quello di offrire un elemento di convivenza, di pace e di riflessione, allora mi sta bene". "No, non credo che sia un motivo di confusione tra le fedi - aggiunge - ognuno conosce bene la propria, ed è giusto che abbia il massimo rispetto per quella degli altri. Quindi ogni polemica mi sembra fuori luogo. Chi le fa cerca solo di distinguersi e magari spera in questo modo di guadagnare qualche voto".

Mors et vita


"Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (dal cap. 1 del vangelo di Luca).
Le scosse di terremoto di ieri mi hanno ricordato i giorni natalizi del 2004 con le immagini dello tsunami. Stamattina si celebrerà il funerale di una giovane mamma di Varese. E non sarà l'unico della giornata. Giorni deputati a fare memoria di una nascita saranno segnati per sempre dalla tonalità di eventi tristi.
Mors et vita duello, conflixere mirando: "Ho visto la morte e la vita duellare".
"Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (dal cap. 1 del vangelo di Giovanni).
Vieni, Luce!
don Chisciotte

martedì 23 dicembre 2008

Azzeccatissimo!


Ci fu il "Cogito, ergo sum", cioé "Penso, quindi sono";
passò anche "Mi sento, quindi sono";
mi intriga "Io Ipod, quindi sono"!

Sudditanze

La promozione del cine-panettone
Perché la tv pubblica deve azzerbinarsi a tal punto da mettere a disposizione di "Natale a Rio" ore e ore?

di Aldo Grasso
Non ho nulla contro i cine-panettoni. Li rispetto ma non li vado a vedere; aspetto che arrivino in tv. Magari fra dieci anni. Tanto, fra dieci anni, ci sarà sempre un Marco Giusti che li classificherà come stracult. Basta aspettare. Basta assuefarsi.
Una cosa però non capisco: dove sta scritto che la tv italiana deve azzerbinarsi a tal punto nei confronti del cine-panettone da mettere a disposizione di Natale a Rio ore e ore di promozione? Pippo Baudo ha dedicato ben due domeniche al lancio del film di Neri Parenti. In cambio ha avuto come ospiti i protagonisti del film, da Christian De Sica a Michelle Hunziker (come dire, da George Clooney a Nicole Kidman). Enrico Mentana gli ha dedicato addirittura una puntata di Matrix ma non c'è programma di intrattenimento o tg che non si sia sentito in dovere di favorire il lancio del film. Solo il libro di Bruno Vespa ha ricevuto più promozioni del cine-panettone. Che è già un bel segnale per capire i tempi che corrono.
La giustificazione è sempre la stessa: il cine-panettone usa le tv per promuovere se stesso e le varie trasmissioni usano il cine-panettone per alzare gli ascolti. O, quanto meno, per non perdere audience. Insomma, c'è in atto una sorta di scambio di prigionieri (leggi: spettatori) senza giro di fatture ma, almeno nel servizio pubblico, dovrebbe valere una maggiore prudenza. La tv pubblica che sostiene il cinema commerciale, è il massimo. Non lamentiamoci poi se la Rai, persa una linea editoriale, appiattitasi su modelli commerciali, sta diventando una tv residuale. (...)

Attesa

«Promessa sposa», cioè fidanzata! Noi sappiamo che la parola fidanzata viene vissuta da ogni donna come un preludio di tenerezze misteriose, di attese. Fidanzata è colei che attende. Anche Maria ha atteso; era in attesa, in ascolto: ma di chi? Di lui, di Giuseppe! Era in ascolto del frusciare dei suoi sandali sulla polvere, la sera, quando lui, profumato di vernice e di resina dei legni che trattava con le mani, andava da lei e le parlava dei suoi sogni.
Maria viene presentata come la donna che attende. Fidanzata, cioè. Solo dopo ci viene detto il suo nome. L'attesa è la prima pennellata con cui san Luca dipinge Maria, ma è anche l'ultima. E infatti sempre san Luca il pittore che, negli Atti degli apostoli, dipinge l'ultimo tratto con cui Maria si congeda dalla Scrittura. Anche qui Maria è in attesa, al piano superiore, insieme con gli apostoli; in attesa dello Spirito (At 1, 13-14); anche qui è in ascolto di lui, in attesa del suo frusciare: prima dei sandali di Giuseppe, adesso dell'ala dello Spirito Santo, profumato di santità e di sogni. Attendeva che sarebbe sceso sugli apostoli, sulla chiesa nascente per indicarle il tracciato della sua missione.
Vedete allora che Maria, nel Vangelo, si presenta come la Vergine dell'attesa e si congeda dalla Scrittura come la Madre dell'attesa: si presenta in attesa di Giuseppe, si congeda in attesa dello Spirito. Vergine in attesa, all'inizio. Madre in attesa, alla fine. E nell'arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l'altra così divina, cento altre attese struggenti. L'attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L'attesa di adempimenti leali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L'attesa del giorno, l'unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L'attesa dell'«ora»: l'unica per la quale non avrebbe saputo frenare l'impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L'attesa dell'ultimo rantolo dell'Unigenito inchiodato sul legno. L'attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia. Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all'infinito.
mons. Tonino Bello, Avvento-Natale. Oltre il futuro, 46-48.
postato sul blog il 19.12.07

lunedì 22 dicembre 2008

Scopri le differenze

Persuasione occulta

Un articolo che non mi convince in tanti passaggi,
ma che ha una buona intuizione di fondo.
"Babbo Natale invece è sinistramente allegro; è persuaso e vuole persuadere gli altri che tutto va bene e andrà sempre meglio; che il nostro mondo, la nostra società, il nostro benessere, il nostro denaro, la nostra democrazia, il nostro teatro quotidiano siano i migliori e gli unici possibili, una crescita destinata ad accrescersi trionfalmente sempre più, una scorpacciata senza limiti garantita da pillole digestive sempre più efficaci, un progresso inarrestabile, uno stadio definitivo e un ordine immutabile, un oggi scambiato per l'eterno. Incubi di pranzi in cui l'obbligato ingozzarsi insinua nell'animo una pesantezza di morte, quintali di biglietti augurali e cassette di vini e di dolciumi che ingombrano la casa dei fortunati destinatari di omaggi con la violenza dell'invasione. Il Natale è la nascita di un bambino, di un salvatore che sarà crocifisso e conoscerà l'estremo abbattimento del Getsemani; la gioia che esso annuncia non è una truffa, perché non nasconde il dolore, il crollo del mondo".
tratto dall'articolo di C. Magris, Babbo Natale falso ottimista, Corriere 24 dicembre 2007

Auguri dalla vita familiare quotidiana

"Avevo una proprietà in Puglia, poi mi sono sposata a sedici anni, ho otto figlie, una di settantadue anni…". "Ho due figli: sono bravi, mi vogliono bene, sono fortunata..." e poi si commuove. "Venga, padre, mi benedica la Madonna…". "Non sto male, prendo mille euro, ma sono sola, i miei figli mi hanno abbandonata…". "Tutti i martedì vado in chiesa alla mattina e con altre signore puliamo la chiesa: le panche, l’altare…". "Mio figlio abita a Pioltello, io lavoravo al palazzo del ghiaccio, sono bisnonna, è bella la chiesa di Pioltello…". "Ma tu sei un Rossi!" – dice esultando, guardando il bambino vicino a me - "sei il figlio di Giovanni: anche tuo padre quand’era piccolo puliva la chiesa con me" e lo riempie di dolci che, associati al Natale che si avvicina, danno un’aria di tradizione e di ricordo dell’infanzia.
Tornando a casa in bicicletta tutti quei volti, quelle parole e quei silenzi mi ritornano in mente. Penso che, di fronte a tutto questo, trattenere qualcosa per me sarebbe non-amore puro.
grazie a A.F.

domenica 21 dicembre 2008

Profezia

Ecco uno scritto del 1992.
Immaginando di scrivere al profeta Samuele,
mons. Tonino Bello azzecca espressioni di sorprendente e sconcertante attualità.

Su questo sconfortante scenario di bassa pressione morale che va prendendo vigore il progetto della "Grande Riforma" e si affievolisce la fiducia nella tenuta degli antichi pilastri costituzionali che hanno finora sorretto la nostra democrazia.
È triste dirlo: ma tanta gente oggi in Italia invoca disperatamente un re che governi. Smania per delegargli gli ultimi spiccioli di un potere della cui valuta pregiata si è lasciato confiscare. Accarezza nostalgie di un capo che sia forte. Che mostri i muscoli. Che decida per tutti. Che abbia il pugno di ferro, insomma. E siccome a coltivare ideali scopertamente monarchici si può essere fraintesi, ecco allora il ripiego sulla repubblica presidenziale.
Intendiamoci, caro Samuele: io non ce l'ho né con i re, né con i titolari di un presidenzialismo sanguigno. Ma mi lascia scettico il pensiero che si voglia porre riparo al nostro malessere nazionale irrobustendo il capo e non, invece, aiutando la crescita della coscienza democratica.
Per arginare i processi degenerativi in atto occorrono, sì, riforme concrete, ma non tali da prosciugare i poteri della base, garantiti dalla Costituzione, e concentrarli al vertice per delirio di potenza.
È sulle nervature periferiche che bisogna investire i capitali del nostro bisogno di cambiamento. È ai capillari estremi del corpo sociale che occorre assicurare un'abbondante irrorazione vascolare, perché i tessuti siano preservati dalla cancrena e si eviti di mandare in circolo emboli funesti.
Più che scommettere sull'uomo del palazzo, perciò, bisogna scommettere sull'uomo della strada, promovendo un massiccio referendum abrogativo del suo vecchio modo di pensare.
Ogni altro espediente istituzionale, che privilegi sofisticate terapie d'urto sul capo e disattenda le cellule marginali dell’organismo popolare, è destinato al fallimento.
Ce l'ha insegnato la tua esperienza, Samuele.
mons. Tonino Bello, Ad Abramo e alla sua discendenza, 94-95

Tramonto dal Seminario