sabato 5 gennaio 2008

Preghiera per le vittime


Lo ha annunciato il cardinale Claudio Hummes
«Preghiera per le vittime dei preti pedofili»
Il Vaticano: «Aprire cenacoli eucaristici nel mondo suscitando un movimento spirituale per tutti i sacerdoti»

CITTA' DEL VATICANO - Una preghiera e adorazione eucaristica perpetua su scala mondiale per «le vittime delle gravi situazioni di condotta morale e sessuale di una piccolissima parte del clero», cioè per le vittime di pedofilia e abusi perpretati da sacerdoti. Un'iniziativa lanciata dal Vaticano e annunciata sull'Osservatore romano dal cardinale Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il clero, che ritiene una «priorità aprire cenacoli eucaristici suscitando un grande movimento spirituale di preghiera per tutti i sacerdoti e per la loro santificazione». Ci sono sempre stati problemi tra i preti, rimarca il porporato brasiliano, «perché siamo tutti peccatori, però in questo tempo sono stati segnalati fatti veramente molto gravi. Ovviamente si deve sempre ricordare che solo una minima parte del clero è coinvolta in situazioni gravi, neppure l'un per cento ha a che fare con problemi di condotta morale e sessuale; la stragrande maggioranza non ha nulla a che vedere con fatti di questo genere». La Congregazione ha proposto quindi a tutti i vescovi del mondo di promuovere questi cenacoli di preghiera per le vittime.

05 gennaio 2008

Pensare è ringraziare


"Denken ist Danken", "pensare è ringraziare".


Martin Heidegger

Contrasti fondanti



"Il contrasto tra estate e inverno era più netto... così come quello tra la luce e il buio, tra il silenzio ed il rumore. La città moderna non conosce più il buio assoluto e il silenzio assoluto, l'effetto di un singolo lumicino o di una singola voce lontana".


J. Huizinga, L'autunno del medioevo

Re Magi giovani


I Re Magi giovani del nostro tempo

di p. Renato Kizito Sesana, missionario comboniano – Natale 2003


Questo è stato il terzo Natale di questo millennio. E' stato ancora una volta, un Natale di pace per una minoranza dell'umanità. Per troppi in Palestina, Afghanistan, Iraq, ma anche in tanti altri paesi, è stato un Natale armato. E per quasi due miliardi di persone è stato un Natale vissuto nella guerra quotidiana contro la povertà, forse un Natale di fame, forse un Natale passato accudendo un familiare malato se non addirittura morente di malaria, di dissenteria, di lebbra, di AIDS, malattie che secondo la logica non dovrebbero esistere più da molti anni, od essere facilmente superabili. Niente di nuovo, niente di cui scandalizzarci. Il Gesù di cui celebriamo la nascita è venuto al mondo in un paese occupato militarmente.
Quando gli angeli cantavano "Pace in terra agli uomini di buona volontà" erano ascoltati da gente angosciata e divisa tanto quanto lo siamo noi oggi. La mamma e il papà di Gesù erano abituati ad uno stile di vita così duro che per noi è difficile immaginare. E subito dopo fecero l'esperienza amara dell'esilio. Lo scandalo è che dopo di lui dovrebbero essere cambiate tante cose che invece sono rimaste identiche. Colpa anche nostra, di cristiani e di una Chiesa ancora con troppo poca fede, ancora lacerata da incertezze e conflitti.
Stavo facendo queste riflessioni proprio mentre riordinavo le statue per il Presepio che i nostri amici, rifugiati dal Rwanda, mi hanno regalato. Mi è balzato agli occhi che hanno fatto dei Re Magi giovanissimi. Ma i Re Magi non erano anziani? Vado a rileggere i pertinenti passi del Vangelo ed effettivamente riscontro che di loro non sappiamo né il numero, né il sesso, né il colore della pelle, né l'età. Allora chiamo Pierre, lo scultore, il quale alla mia domanda risponde con logica inoppugnabile: "Li ho fatti giovani perché i viaggi lunghi e faticosi li possono fare solo i giovani. Agli anziani se non mancano le forze manca l'entusiasmo. Anche noi, quando siamo fuggiti dal Rwanda addirittura sotto la minaccia di morte, eravamo tutti giovani, gli anziani non se la sentivano di affrontare un lungo viaggio, hanno preferito affrontare il rischio di restare".
Mi piace quest'idea dei Re Magi come giovani entusiasti ed irrequieti, magari in cerca di novità, sotto sotto in cerca di un motivo per vivere. Liberi da impegni di famiglia, si buttano in spalla un borsone, o lo mettono in groppa ad un cammello e via, alla ricerca.
I Magi erano addestrati in astrologia e nell'interpretazione dei sogni. Non tutti i giovani sono degli esperti in sogni? Forse l'evangelista li chiama Magi perché vuole sottolineare proprio il loro sogno e ricerca del senso della vita, della sapienza. Certo sono rimasti rispettosamente sorpresi quando Erode ha letto loro un passo delle Scritture, e lo hanno preso seriamente, ma non si sono convertiti al giudaismo. Tantomeno Maria ha cercato di insegnare loro il catechismo...
Semplicemente si sono inginocchiati di fronte a quel Bambino, e ciò che quel Bambino aveva da insegnare lo hanno capito, senza pronunciare nessun Credo. Forse erano ricchi, certo non erano poverissimi, altrimenti dove avevano preso l'oro, l'incenso e la mirra che portavano come doni? Magari avevano venduto tutto e fatto una raccolta fra amici e parenti per mettere insieme il sufficiente per viaggiare e oro, incenso e mirra erano la loro moneta di scambio, in tempi in cui non c'erano né carta moneta né carte di credito. E al bambino che hanno trovato, hanno offerto tutto quello che era rimasto del loro tesoro iniziale. Viaggiavano di notte, altrimenti come avrebbero potuto seguire la stella, cosa che li rende più simili a tanti giovani d'oggi. Il Vangelo ci dice con certezza che venivano da Est, terra di favoleggiata sapienza e di ricchezze. E questi giovani sapienti, o cercatori di sapienza, almeno moderatamente benestanti, si mettono in pellegrinaggio per cercare, guidati solo da una stella, un lontano villaggio nascosto nella campagna di un paese sconosciuto. Quando arrivano si inginocchiano davanti ad un bambino povero, nato in una stalla, e riconoscono in lui la presenza di Dio.
Non ho forse visto questo miracolo ripetersi tante volte a Kivuli, a Mthunzi e sui Monti Nuba quando i giovani venuti da lontano, con mezzi per viaggiare, con studi e sofisticate esperienze che li hanno resi un po' arroganti e un po' cinici, ad un certo punto si accorgono che tutto il loro bagaglio non vale proprio niente, e lo depongono davanti ad un bambino? Un bambino che è troppo piccolo per parlare e che pure, con la sua toccante e viva presenza, rappresenta tutto ciò che conta nella vita?

venerdì 4 gennaio 2008

Passeggiando con i bambini


"Ho trascorso una decina d'anni a passeggiare con dei bambini, e ciò equivaleva a degli studi di teologia. Se in questo c'era una saggezza, potrebbe essere: l'arte di essere pienamente presenti, con un'attenzione estrema, sostenuta. E' per questo che mi affascinano i bambini, con quel loro dono di essere pienamente presenti, nel puro presente".


Christian Bobin, La luce del mondo, 121

Sorrisi


"Credo all'incredibile. Credo all'incredibile purezza del dolore e della gioia di un cuore. Sono cose estremamente rare e di una semplicità che strappa le lacrime.
Sul volto di mio padre morente ho visto un sorriso come un punto sorgivo. Un sorriso "immortale" mi rimanderebbe alle statue dei musei, ma in quel sorriso di mio padre era come contenuta una creazione del mondo. E nella sua vita esaurita che in un secondo egli ha speso tutto l'oro del suo sorriso. Questa verità sorridente che aveva attraversato la sua vita e le cui onde si sono non soltanto mantenute, ma persino ampliate molto tempo dopo che mio padre era stato ricoperto dalla terra, credo che mi attenda nell'ultima ora.
Ciò in cui credo è sempre legato a un attaccamento e a una persona. In questa convinzione, sostengo qualcosa che mi sostiene a sua volta, e che continua a vibrare molto dopo la scomparsa degli esseri, come la luce delle stelle che continua a giungere sino a noi quando sono morte. Non potrò mai più offrire nulla a queste persone che sono morte, ma si continua a stringere un'alleanza.
L'aldilà in cui credo, lo vedo qui e ora, perché in un certo senso è qui che ha luogo tutto. Questo aldilà inghiotte tutto il tempo e lo supera. E questo che cosa cambia se domani mi dimostrano che non c'è risurrezione e che Cristo non è che uno dei tanti saggi, sia pur il più grande? Ebbene, non cambia nulla, io non cambierò la mia vita né il mio modo di vedere, perché questa speranza fa talmente parte di me, come il colore dei miei occhi, che non potrei privarmene senza privarmi, nello stesso tempo, del respiro e dell'anima. In questo, mi trovo in qualcosa che è più immutabile della pietra. Per me questo sorriso di cui vi parlavo, per quanto evanescente, è incancellabile.
Uno dei crimini della nostra società, è avere snaturato addirittura il sorriso per farne uno spunto di commercio. Il sorriso è una cosa sacra, come tutto ciò che risponde con una risposta più grande della domanda. Io, che sono un ostinato della solitudine, dico che la cosa più meravigliosa di tutte è il sorriso. E una delle più grandi finezze umane. È quasi come pregustare la vita successiva, come un fiore dell'invisibile. Giungerò persino a dire che il sorriso più bello di tutti può sorgere solo su un viso quasi chiuso, distante. Ma se ci si china sulle culle possiamo ancora ritrovarlo. Quale che sia la ferocia degli uomini, il sorriso compare ogni volta che si mette al mondo qualcuno. Un sorriso può essere angelico o falso, ma un sorriso vero è il sorriso di chi ha trovato tutto: non c'è più calcolo né seduzione".

Christian Bobin, La luce del mondo, 116-118

giovedì 3 gennaio 2008

Neve e fuoco













Mentre guardo la neve che cade e ascolto la colonna sonora de "La marcia dei pinguini",
sento il calore e l'orrore delle fiamme del Kenya.

Speranza nella schiavitù


E' nello spirito e secondo gli scritti di fr. Charles De Foucauld e di piccola sorella (p.s.) Magdeleine che sono state fondate varie fraternità in mezzo alle persone più emarginate. Il primo inserimento in ambiente di prostituzione è avvenuto a Marsiglia.

In quanto città cosmopolita e portuale, Marsiglia era ed è sempre un centro di prostituzione, oggi incrementata dalla "rete" dell'Europa dell'Est e l'arrivo di donne dalla Bulgaria. Albania, Romania, Russia e altri paesi.

All'origine del nostro inserimento a Marsiglia va posta la conoscenza di un infermiere militare che frequentava il quartiere di prostituzione, non come cliente ma per aiutare da un punto di vista sanitario le donne che glielo chiedevano. Ci portò da una di loro, O., che voleva liberarsi dal suo protettore molto violento e uscire da quell'inferno. Vivevamo allora alla "Charité", una vera baraccopoli. La conoscenza di O. ci permise di introdurci nel quartiere di prostituzione più povero. Quanto a O., la potemmo portare all'estero, in un paese dove riprese una vita normale. Per caso, a quella stessa epoca (1955) avevamo incontrato all'ospedale una giovane donna ed eravamo diventate amiche. Più tardi la ritroveremo in un quartiere di "alberghi a ore". Una serie di nuove conoscenze ci portò, nel 1957, a fondare la prima fraternità all'interno di un quartiere di prostituzione, grazie anche all'accordo del Vescovo, molto aperto. Avemmo così la possibilità di conoscere da vicino molte donne vittime di protettori spesso molto violenti, di fare amicizia e guadagnare la loro fiducia.

Il nostro modo di testimoniare: presenza, contatti semplici, amichevoli e rispettosi, aiuto morale, lasciando ai Servizi sociali il loro ruolo specializzato.Negli anni, abbiamo conosciuto e amato centinaia di donne di tutte le età, travestiti, transessuali, d'Europa, d'Asia, d'Africa e America del Sud. I contatti si stabiliscono molto semplicemente per le strade dove le donne aspettano il "cliente", piccole conversazioni dove possono dire le loro sofferenze, il loro passato, la loro fiducia e giovinezza traumatizzata, le loro paure (aggressioni e a volte omicidi).

Altri contatti sono quelli con le donne dei locali notturni. Nel quartiere dell'Opera ce ne sono diciassette. In questi locali le giovani "entraîneuses" intrattengono i clienti per farli bere. Sono retribuite a percentuale sul bicchiere o sulla bottiglia di champagne. Questi locali, aperti dalla sera tardi fino all'indomani mattina, sono di solito l'anticamera della prostituzione. I primi contatti con queste giovani si prendono per strada, là dove stanno ad adescare i clienti o a volte a chiacchierare tra loro. Cambiano spesso locale o cadono nella prostituzione o lasciano del tutto l'ambiente, per cui ne incontriamo molte, ma sono tante quelle che non vedremo più.Per noi la cosa più importante è l'ascolto, l'assenza di giudizio, il rispetto di quelle o quelli che si sentono giudicati, umiliati e senza speranza.Ecco un loro grido di sofferenza:«Se ne vedete una (prostituta) sulla strada vedrete il suo corpo. Pensate al suo cuore che non vedete, ma che batte fortissimo, troppo forte dentro...». E un altro grido, lucido e doloroso: «Valgo di più di quel che faccio...».

La nostra presenza prosegue all'ospedale, quando una di loro è ammalata, oppure in prigione dove molte scontano una pena per il reato di adescamento. Abbiamo anche accompagnato alcune fino alla morte nella solitudine di un letto di ospedale.

Nel corso di questi anni quanti "miracoli" sono avvenuti! Molte di queste donne sono uscite dalla prostituzione, portandone però le conseguenze per la vita: alcool, AIDS, salute disastrosa e relazioni difficili con i figli, che spesso nell'adolescenza le rifiutano. «Soffri?», «Sì, ma non ancora abbastanza per lui. Gesù ha sofferto più di me», dice una... E un'altra che sta morendo di cancro: «Io sono la via crucis di Gesù...». Grande emozione quando una di loro, vedendo con una piccola sorella un film su Gesù e sentendo la parola «Le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli» (Mt 21,31), grida: «Se ha detto questo, al¬lora anch'io posso andare in cielo!».Ci sono state riconciliazioni con le famiglie, perdoni donati alla madre che le aveva maltrattate, perdono eroico anche di una donna abbandonata dall'amico, che per anni aveva visitato e sostenuto mentre era in prigione, e che al ritorno da Lourdes mette la foto di Bernadette sopra quella di lui e dice: «Sarà la mia sola vendetta...».

Ed ecco il percorso di una di loro. In piedi davanti a un bar tutti i giorni aspettava dal mattino alla sera... Si faceva chiamare Rita perché aveva una grande devozione per questa santa. Le chiedeva la forza di andarsene da quel quartiere sordido e dall'uomo che ve la manteneva in vera schiavitù. Davanti al Bar Rue Longue dove stava, brillava la luce rossa della cappellina della fraternità. Dirà più tardi: «Guardando quella luce e aspettando....facevo la mia ora di adorazione...». Un giorno ha avuto il coraggio di farla finita, di nascondersi, di riprendere a poco a poco una vita diversa insieme al marito e ai figli che aveva lasciato. Nel paesino dove abita oggi, chi potrebbe dubitare che è la stessa persona, quella che tutte le mattine va a messa, piena di una fede e di un rendimento di grazie senza fine? Ci scriveva: «Saranno presto trent'anni che ci conosciamo. II Signore mi ha presa per mano. Quanta strada da allora. Non smetto di ringraziarLo d'aver lasciato le altre pecorelle per cercare me, la smarrita della strada, e attraverso di voi. Credetemi, siete nelle mie preghiere, ancora stamattina nella messa».

Pensiamo che "lo spirito fraternità" che abbiamo cercato di vivere abbia toccato da vicino le nostre amiche. Molte hanno fede, pregano anche se non praticano o praticano poco e senza neanche esprimerlo, ma il loro comportamento verso se stesse e gli altri è impregnato dallo spirito ereditato da fr. Charles, e per noi direttamente da p.s. Magdeleine, lei che ci diceva che bastava che fossimo anche solo «un piccolo raggio di sole che entra in una slama buia e gelida per illuminarla e scaldarla...».

Anche noi, piccole sorelle, sentiamo tutto quello che ci hanno portato queste persone: la loro amicizia, la loro umiltà, la loro riconoscenza. È una vera reciprocità, tra loro che sono immerse nella sofferenza e noi piccole sorelle che beneficiamo delle loro ricchezze nascoste.


piccola sorella Marie Raymonde e piccola sorella Liliane di Gesù


A proposito delle prostitute che vivono alla periferia di Città del Messico, ecco cosa scrive un'altra piccola sorella.
Ho scoperto in loro "gesti di vita" e desidero condividerne alcuni con voi. Sono gesti che capitano nelle conversazioni che si tessono in secondi, in minuti, e però rimangono in mente come parte degli interrogativi che queste persone del "sottomondo" pongono alla nostra società tanto ben organizzata di "normali e degni".

Maria: «Non mi hanno visto ieri in strada perché era il giorno in cui sto con i miei figli e lo dedico tutto a loro, anche se non ho soldi - ma questo lo so solo io. Ora mi fermo in strada fino a stasera per rifarmi un poco e pagare le spese della scuola per loro...».

Samantha: «Noi "le indipendenti" viviamo bene se paragonate alle ragazze che sono controllate. Lì ci sono sopratutto minori, le sfruttano e picchiano come animali. Loro sono importate da altri paesi o ingannate da persone del loro villaggio. Escono da qui solamente quando sono già vecchie a trent'anni e con vari figli...».

Alicia: «Ora che siamo nella settimana santa non mi metto la minigonna per rispetto, per lo meno so che Dio ne terrà conto, e poi qui tra noi ci aiutiamo le une le altre, perché quelli che ci "proteggono" non lo fanno. Quello che più desidero e avere un lavoro dignitoso e questo avverrà presto. Intanto i miei figli vanno a scuola dalle suore e lì insegnano loro a pregare e li educano bene».

Cristat: «Prendo molta cura dei miei bambini e gli do il meglio. Tutti stanno studiando e vanno bene a scuola. Vengo sulla strada solo in mattinata perché nel pomeriggio sto con loro aiutandoli nei compiti o vado alla loro scuola...

Gitana: «Quando non ho un cliente, leggo per restare aggiornata. Ora sto leggendo un libro grosso che tengo nella stanza dove mi cambio quando torno a casa mia, perché là non ho tempo per me».
Ci sono molte cose che mi condividono e che sarebbe bello scrivere, ma so che quello che succede di più importante all'essere umano non si esprime con parole, ma con gesti concreti che solo con gli occhi ed il cuore di fronte alla persona possiamo percepire. Dio ha un modo delicato di mostrarci il suo Volto nelle persone che si lasciano umilmente abitare da Lui.


piccola sorella Betty


esperienze tratte da "Notizie delle fraternità", n. 32, 2007-08

Ancora neve!


E a Venegono continua a nevicare!
Ecco una vista della Basilica.

p.s.: che ne dite, sfidiamo il tempo e facciamo un giretto in moto?!

mercoledì 2 gennaio 2008

Tendenze

Oggi, nella Chiesa, si vanno determinando due tendenze opposte. Si stanno scontrando due concezioni dell'apostolato. La prima è basata sull'istituzione. La seconda sul movimento.

1. - La prima insiste più sull'ordine che sulla giustizia. Più sull'autorità che sulla corresponsabilità. Il suo impegno: difendere l'onore di Dio e i diritti della verità. Il suo ideale: una Chiesa rispettata. I mezzi per arrivarci: la protezione, l'appoggio (leggi, Stato, potere, ecc...). Conseguenze: un mondo chiuso, una mentalità da ghetto. Raggruppare i cristiani tra di loro (quanti circoli chiusi, con sopra l'etichetta di cattolico!), fare in modo che abbiano il minor numero di contatti col «mondo perverso» e così nessuno si perda, ma giungano tutti insieme, ben allineati, cartello in testa che indica «I nostri», alla Casa del Padre. In quest'opera di difesa e di costruzione di massicci bastioni, non è difficile reclutare volontari più o meno disinteressati. Mani grassocce e sudaticce. Persone che considerano Dio quale «guardiacaccia» dei loro privilegi. Che difendono i propri «diritti» dando a vedere di difendere i diritti della Chiesa.

2. — Secondo la mentalità di movimento l'ordine, i privilegi, i titoli presuppongono qualcosa di più importante. Occorre arrivare a una chiarificazione, smascherare le posizioni sospette, abbandonare le preoccupazioni volte unicamente alla facciata. Bisogna avere il coraggio di sollevare certe polveri sacre che si sono accumulate sul nostro costume religioso e che, per quietismo e pigrizia, si considerano intoccabili. Il bersaglio non è l'autorità, ma l'autoritarismo. Non si rifiuta l'ubbidienza, bensì un'ubbidienza cieca, che impedisce una intelligente collaborazione. Più che leggi cristiane, urge fabbricare cristiani autentici. Di fronte al male, non si tratta tanto di prevenire, quanto di premunire (c'è una differenza sostanziale tra le due operazioni). Non basta che i cristiani sappiano dove non devono andare: occorre siano educati a scoprire dove devono andare. Bisogna che la Chiesa esca allo scoperto e che i suoi apostoli non abbiano paura di sporcarsi le mani affondandole nelle realtà del mondo in cui vivono. Il lievito va inserito dentro, non accanto alla pasta. Certe tattiche di attesa sono antievangeliche. Gli apostoli non hanno scritto sulla porta del Cenacolo: «Qui si parla di Gesù Cristo. Coloro che desiderano essere istruiti nella religione cristiana, possono presentarsi dall'ora tale all'ora tal'altra...». Sono usciti fuori. Sulla strada. Nelle piazze. Si sono mescolati agli uomini. La verità non si salva custodendola gelosamente sotto vetro, vigilata assiduamente da inesorabili cecchini dell'ortodossia. Ma portandola fuori, alla luce del sole, a contatto con la realtà di tutti i giorni. La verità non ha bisogno di essere rispettata. Chiede di essere amata. L'unico diritto che rivendica è quello di essere comunicata, di diventare proprietà di tutti.

Chi ha ragione? Probabilmente la soluzione verrà un giorno trovata alzandosi al di sopra dei contrasti (l'animosità delle rispettive posizioni non permette sempre di avere gli occhi limpidi), collocandosi su un piano superiore.

A.PRONZATO, Vangeli scomodi, 351-353

Pat Metheny - as it is

Per chi si vuol concedere 8 minuti di relax

martedì 1 gennaio 2008

Esperienze di vita


Intervista con il cardinale Carlo Maria Martini

AFFIDIAMOCI ALLA SPERANZA
Intervista pubblicata sul quotidiano «Europa» il 28 dicembre 2007.

di Aldo Maria Valli - Gerusalemme


Il prossimo 15 febbraio compirà 81 anni e il parkinson lo sta mettendo a dura prova. Come se non bastasse, una polmonite presa qualche mese fa lo ha fortemente debilitato. Però il sorriso è più dolce che mai e lo sguardo è quello di un uomo buono, in pace con se stesso e con gli altri. Per camminare si aiuta con il bastone e quando si siede evita poltrone e divani perché non riuscirebbe più a rialzarsi, ma da lui non sentirete mai un lamento. Il cardinale Carlo Maria Martini invece non fa che ringraziare. A Gerusalemme vive nella sede del Pontificio istituto biblico, dove lo incontro.

Eminenza, come sta?
Sto abbastanza bene, come vede. Posso sopportare abbastanza il clima di qui, migliore di quello italiano perché è piuttosto stabile, senza grandi cambiamenti, che va bene per le persone anziane. E poi Gerusalemme sta in alto e l'aria è buona.

Come sono le sue giornate qui?
Sono divise fra tre grandi priorità: anzitutto la preghiera di intercessione per tutte le intenzioni che ho conosciuto a Milano e per tutte quelle che mi vengono raccomandate per questi popoli e per il mondo intero; poi un po' di studio, per quanto possibile, e poi qualche incontro, qualche momento di ritiro spirituale. Quindi le giornate passano molto in fretta.

Quando lasciò Milano, nel 2002, disse: «Vado a Gerusalemme avvinto dallo Spirito senza sapere che cosa mi capiterà». Adesso può fare un bilancio di che cosa le è capitato?
Mi è capitato che lo Spirito mi ha condotto giorno dopo giorno e mi riserva sempre sorprese, che riguardano anche il futuro. Non bisogna mai adagiarsi sul presente!

Che cosa le sta insegnando questa esperienza?
Mi sembra che mi stia insegnando soprattutto due cose: la pazienza e la fiducia. Uno vorrebbe sempre la soluzione immediata dei problemi e invece bisogna affidarsi alla provvidenza, allo scorrere del tempo. Bisogna saper aspettare, e la gente qui insegna molto a essere pazienti e fiduciosi.Gerusalemme è più città di pace o di conflitto? Esteriormente sembra più di conflitto, ma per chi la conosce dall’intemo è una città in cui c'è molta preghiera, c'è molto dialogo, e ci sono molti tentativi di incontro. Quindi direi una città che desidera fortemente la pace, anche se fatica a ottenerla.

Lei riesce a immaginarsela questa pace?
Non credo che sia immaginabile con criteri politici, che d'altra parte sono alieni da me. Ma la posso immaginare molto bene come dono di Dio, questo sì.

Lei pensa davvero che i cristiani potrebbero sparire da questa terra?
Certamente il numero dei cristiani qui sta diminuendo, e quindi bisogna aiutarli a far sì che possano fermarsi e restare. Non solo come singoli ma come comunità cristiana che testimonia il vangelo.Da questo suo osservatorio come vede la Chiesa nel mondo?Da questo osservatorio in realtà io non cerco di vedere ma di pregare. Sto con le braccia alzate, pregando per tutte le intenzioni della Chiesa. Non voglio giudicare ma unicamente intercedere.

E questo anche per la Chiesa italiana?
Anche per la Chiesa italiana.Più di quarantanni fa Paolo VI scrisse che questo nostro mondo moderno offre non una ma cento ferme di possibile contatto con la Chiesa. Secondo lei nella Chiesa di oggi c'è ancora questa fiducia o prevale forse un po' di timore? C'è un po' di timore, però la gente semplice ha molta fiducia. Quindi bisogna puntare su questa fiducia e soprattutto fare atti di fiducia.

Che cosa pensa del messaggio del papa per la giornata mondiale della pace che si celebra il primo gennaio?
Mi pare che tocchi un tema fondamentale, che è quello della famiglia. La famiglia è veramente un luogo in cui ci si educa alla pace e da cui nascono le premesse per una pace mondiale. Bisogna guardare di più a queste piccole cose iniziali, non soltanto ai grandi risultali.

Una volta lei disse di aver sognato un Concilio Vaticano terzo. È un sogno che è tornato?
Non ho mai parlato di un Concilio vaticano terzo per non dare impressione di una ripetizione del Vaticano secondo, che si è svolto dopo secoli di non riflessione collettiva e quindi ha preso in esame tanti temi. Vedrei piuttosto dei concili che prendessero uno o due temi e quindi fossero molto ben delimitati nel loro scopo.

E quali potrebbero essere questi temi?
Io credo che, per esempio, quello della parola di Dio sarebbe un bellissimo argomento, e fra l’altro è anche quello del prossimo sinodo. E poi indicherei la famiglia.

Eminenza, la messa la dice in italiano o in latino?
A seconda delle situazioni scelgo l’italiano o l’inglese, ma qui quasi sempre in inglese perché è la lingua che si parla nella nostra casa.

Come giudica l’enciclica del Papa sulla speranza?
La giudico molto bene. E’ una bella enciclica, in qualche parte un po’ difficile, ma vorrei che tutti la leggessero con impegno perché va al fondo della speranza e la mette in relazione con tutte le speranze quotidiane e anche con le speranze fasulle e poco fondate. Quindi credo che serva molto bene per criticare certi concetti odierni di speranza.

Fino a pochi decenni fa sembrava che la religione dovesse sparire dall’orizzonte pubblico e diventare solo un fatto privato, invece ora la ritroviamo continuamente nel dibattito pubblico e nelle pagine culturali dei giornali. Come giudica questo fenomeno?
Non solo positivamente. Certamente è positivo che si parli di religione, però bisogna che questo interesse sia portato da una vera fede, da un vero amore al Vangelo e non soltanto dal desiderio di contarsi e di contare.

Si dice spesso che viviamo in una società secolarizzata, poi però succede, per esempio, che un libro dedicato all’anima come quello del teologo Vito Mancuso, «L’anima e suo destino», venga ristampato più volte nel giro di poche settimane. Secondo lei perché?
Ho detto più volte che la nostra società italiana non è secolarizzata se non in parte. In tanti ambienti c’è una profonda ricerca di valori. Nel caso specifico, credo che il libro di Mancuso abbia avuto il merito di suscitare interessi che sembravano spariti e invece esistono.

La stampa straniera, come di recente il New York times, dipinge l’Italia come un Paese vecchio e senza speranza. Condivide?
Non condivido del tutto. In parte sì, ma l’Italia è un Paese che a me appare piuttosto spensierato e giocherellone, specialmente quando lo paragono ad altri Paesi del mondo dove c’è molta sofferenza. Però in verità dietro questa facciata, che nasce un po’ dai mass media e dalla televisione, c’è serietà e preoccupazione, e c’è anche sofferenza. Quindi c’è un cammino molto serio e molto arduo.

Nella sua città d’origine, Torino, sei operai sono morti bruciati in un’acciaieria. Che cosa prova di fronte a questi fatti?
Un immenso dolore, un’immensa sofferenza per queste persone, e il desiderio che si faccia di tutto per evitare che questi fatti si ripetano.

Le capita qualche volta di avere paura? E di che cosa?
Paura non direi. Siamo nelle mani di Dio e quindi bisogna piuttosto affidarsi, avere questo senso di speranza e di pace.

Come convive con la sua malattia, con il parkinson?
Bene perché so che in certe ore non posso contare molto su di me e quindi devo, con pazienza, prendere i tempi buoni e quelli meno buoni.

Quale augurio si sente di fare agli italiani per queste feste?
L’augurio lo prendo dall’enciclica del Papa. È l’augurio di una grande speranza, una speranza che sia efficace, una speranza che sia affidabile, una speranza che porti a superare le difficoltà della vita quotidiana con grande coraggio. E questo messaggio, lo sottolineo, viene da Gerusalemme e da Betlemme, cioè luoghi nei quali furono pronunciate le parole più alte di speranza, ma sono successi anche eventi che hanno portato disperazione. Però la speranza è più forte, e questo è il messaggio che vorrei rimanesse impresso in tutti.

http://www.chiesadimilano.it/or4/or?uid=ADMIesy.main.index&oid=931666

Pace in famiglia!


"In una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace. Non meraviglia quindi che la violenza, se perpetrata in famiglia, sia percepita come particolarmente intollerabile. Pertanto, quando si afferma che la famiglia è «la prima e vitale cellula della società» , si dice qualcosa di essenziale. La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comunità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove mai l’essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il «sapore» genuino della pace meglio che nel «nido» originario che la natura gli prepara? Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sempre per non perdere l’uso del vocabolario della pace. Nell’inflazione dei linguaggi, la società non può perdere il riferimento a quella «grammatica» che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole".

Benedetto XVI, Giornata della Pace 2008