sabato 21 febbraio 2009

Milano "ex-da bere"

Settimo rapporto della Caritas ambrosiana
Allarme povertà, in aumento i senza tetto
Sono 5mila in città. Disoccupazione e redditi bassi i problemi di chi è in difficoltà: per il 70 per cento donne, tre quarti stranieri
Cresce la povertà nella Diocesi di Milano, un territorio che comprende il capoluogo lombardo, Lecco e Varese oltre alle rispettive province. E' quanto emerge dal settimo rapporto della Caritas ambrosiana presentato martedì mattina. Ricerca che «non ha la pretesa della completezza» - è stato spiegato - ma che punta su un solido campione: quasi 16 mila persone che si sono rivolte a 61 centri di ascolto nel 2007. Fra le principali preoccupazioni di chi è in difficoltà permangono l'occupazione e l'abitazione e in questo senso si parla proprio di «precari della casa», tanto che il rapporto è stato chiamato «Case senza abitanti e abitanti senza casa». Nella sola Milano - ha spiegato il direttore di Caritas ambrosiana, don Roberto Davanzo - circa 5.000 persone non hanno abitazione e si avvalgono di strutture di accoglienza e 85 mila, secondo una ricerca dell'Università Bicocca, sono da considerare vulnerabili, cioè basta poco per precipitarli in una condizione di bisogno.
Le criticità sono note: le giovani coppie non trovano alloggi a prezzi accessibili e si scontrano con la carenza di case in locazione, le famiglie non riescono a sostenere l'aumento delle rate del mutuo, i separati, soprattutto uomini, hanno difficoltà a trovare una nuova abitazione. E poi gli stipendi inadeguati e instabili. In due parole: la precarietà esistenziale. «Il problema della casa non riguarda solo gli stranieri, è una difficoltà trasversale - ha sottolineato Davanzo - tanto che si è ridotta significativamente la popolazione milanese, si è scesi a 1 milione e 200 mila abitanti da 1,9 milioni 20 anni fa. Siamo ormai una città senza abitanti, perchè la casa è diventato un bene speculativo. C'è un pendolarismo, il capoluogo si riempie di giorno e si svuota di sera». «Il problema abitativo - ha concluso - o viene governato a livello di pubblica amministrazione con la collaborazione del privato e del privato sociale oppure non se ne esce».
I poveri del territorio sono per il 70% donne, hanno in media 40 anni e per i tre quarti sono rappresentati da stranieri. «La forte rappresentanza femminile - spiega Angela Signorelli dell'Osservatorio Caritas Ambrosiana - si spiega col fatto che sempre più spesso sono le donne a farsi carico dei problemi della famiglia: dietro una donna che si rivolge a noi molto spesso c'è un intero nucleo familiare in difficoltà». Il 75% di chi si è rivolto ai centri Caritas lo scorso anno sono stati stranieri: Perù, Romania, Ecuador, Marocco e Ucrania le nazionalità maggiormente rappresentate. Gli stranieri hanno un'età media di 37 anni (contro i 48 degli italiani) e un livello d'istruzione più alto (sono laureati il 7,2% e hanno un diploma il 26,2%), ma spesso i loro titoli di studio non sono riconosciuti nel nostro Paese.
Tra i bisogni che hanno spinto i componenti del campione a rivolgersi alla Caritas il problema dell'occupazione (58,9%) è al primo posto seguito da un redditto non sufficiente (33,3%) e, come già ricordato, dal disagio rispetto all'abitazione (15%). A fronte della difficoltà in cui versano sempre piu famiglie, Caritas e Fondazione San Carlo (che ha contribuito all'indagine) denunciano la presenza a Milano di moltissime case di proprietà tenute vuote. «Sappiamo che non sono i privati a poter rispondere all'emergenza - ha detto Giuseppe Sala della Fondazione San Carlo - ma se molte famiglie cogliessero l'invito del Cardinale Tettamanzi nella sua lettera pastorale a "mettere a disposizione le loro proprietà dandole in locazione a prezzi accessibili", qualcosa potrebbe cambiare».

venerdì 20 febbraio 2009

La Chiesa e la guerra

Sto soprattutto parlando della Chiesa cattolica: un’internazionale di credenti in tanti Paesi diversi. Essa ha un centro, la Santa Sede, fuori da uno Stato, anzi collocata in un suo Stato, voluto per sottrarsi alla sovranità altrui. La Chiesa contemporanea ha guardato con preoccupazione la guerra, cercando di evitarla con ogni mezzo. Le parole di Pio XII del 1939 (scritte da Montini, il futuro Paolo VI) esprimono questo sentire: «Nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Ritornino gli uomini a trattare». Recentemente si ritrovano gli stessi accenti in Benedetto XVI: «La guerra e l’odio non sono la soluzione dei problemi...». (...)
C’è da chiedersi se, nel XXI secolo, la posizione della Santa Sede non sia illusoria, frutto di purismo astratto. Il Vaticano non pretende di essere un tribunale internazionale che condanni di volta in volta le violazioni, le politiche aggressive o altro. Anche se talvolta i papi ne parlano, non è la missione prioritaria. Ma ammonire sui rischi della guerra è un compito a cui la Santa Sede non rinuncia. Sembra che la sua esperienza storica la confermi nella convinzione che guerre e rivoluzioni lasciano il mondo peggiore di come lo hanno trovato. Inoltrarsi nel terreno della guerra rappresenta un’«avventura senza ritorno», per usare le parole di Giovanni Paolo II. È una coscienza che la Chiesa di Roma ha maturato da più di due secoli. Meglio è per lei consigliare il dialogo, l’applicazione del diritto internazionale, il negoziato. La Chiesa non si sente pacifista, ma pacificatrice (papa Wojtyla non si è confuso con il pacifismo). Sa che torti e ragioni non si dividono mai equamente tra le parti, ma considera la guerra come una soluzione che non risolve e alla fine travolge.
Andrea Riccardi, La Stampa, 16.01.09

giovedì 19 febbraio 2009

Sud Sound System - Mena Moi Parte Doi

Ritmo salentino... quanno ce vole, ce vole!!

Stile evangelico

Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana - prima ancora che biblica - è parsa dimenticata.
Anche tra i pochi che parlavano per invocare il silenzio v’era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la pensavano diversamente da lui. Da parte mia confesso che, anche se il direttore di questo giornale mi ha invitato più volte a scrivere, ho preferito fare silenzio, anzi, soffrire in silenzio aspettando l’ora in cui fosse forse possibile - ma non è certo - dire una parola udibile.
Attorno all’agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all’umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»... – senza pensare a Gesù che quando gli hanno portato una donna gridando «adultera» ha fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: «Donna \ neppure io ti condanno: va’ e non peccare più»; non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla «ladro, assassino!» al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale?
Ma accanto a queste contraddizioni laceranti, come non soffrire per la strumentalizzazione politica dell’agonia di questa donna? Una politica che arriva in ritardo nello svolgere il ruolo che le è proprio - offrire un quadro legislativo adeguato e condiviso per tematiche così sensibili - e che brutalmente invade lo spazio più intimo e personale al solo fine del potere; una politica che si finge al servizio di un’etica superiore, l’etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile. L’abbiamo detto e scritto più volte: se mai la fede cristiana venisse declinata come religione civile, non solo perderebbe la sua capacità profetica, ma sarebbe ridotta a cappellania del potente di turno, diverrebbe sale senza più sapore secondo le parole di Gesù, incapace di stare nel mondo facendo memoria del suo Signore.
È avvenuto quanto più volte avevo intravisto e temuto: lo scontro di civiltà preconizzato da
Huntington non si è consumato come scontro di religioni ma come scontro di etiche, con gli effetti devastanti di una maggiore divisione e contrapposizione nella polis e, va detto, anche nella Chiesa.
Da questi «giorni cattivi» usciamo più divisi. Da un lato il fondamentalismo religioso che cresce, dall’altro un nichilismo che rigetta ogni etica condivisa fanno sì che cessi l’ascolto reciproco e la società sia sempre più segnata dalla barbarie.(...)
La Chiesa cattolica e tutte le Chiese cristiane sono convinte di dover affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale, essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente.
Enzo Bianchi, Vita e morte secondo il Vangelo
articolo apparso su La Stampa il 15.02.2009
vedi tra i nostri Testi

mercoledì 18 febbraio 2009

Coerenze

"Sai, papà, vorrei diventare suora e dedicarmi ai giovani"
di mons. Mario Delpini
Avvenire - Milano 7 - 7.12.08
Il signor Giuseppe ha le idee chiare. Non ha paura di dire quello che pensa e non si lascia intimidire da nessuno, ci fosse pure il Papa. Parla con passione, ma non perde il filo; è deciso, ma anche lucido; interpreta il pensiero di molti, ma con un’incisività che non è di tutti. «Deve capire, monsignore, che qui non si può lasciare il posto vuoto. E non ci vuole uno qualsiasi: ci vuole un prete giovane o una suora giovane. Sono i giovani che hanno bisogno di una guida. Noi adulti sappiamo quello che dobbiamo fare. I nostri ragazzi, invece, rischiano di crescere sbandati!». Il signor Giuseppe riscuote il consenso dei presenti: «Ha ragione! Bravo! Hai detto bene! È proprio così: qualcuno ci vuole per i nostri giovani!». Incoraggiato dal successo, il signor Giuseppe continua a ribadire il concetto ogni volta che se ne presenti l’occasione: «Un giovane per i giovani!». Il fatto che sconvolse il signor Giuseppe e lo rinchiuse in un silenzio cupo, come se gli fosse capitata una disgrazia, fu quando sua figlia Giulia, appena laureata, confidò al papà: «Sai, avrei pensato di diventare suora. Vorrei proprio dedicarmi ai bambini e ai giovani».

Ovvietà dette, esperite, ora studiate

«Spente» le zone del cervello fondamentali per le relazioni umane
Le foto sexy fanno diventare le donne davvero «oggetti» nella mente maschile
La visione di immagini provocanti attiva le stesse aree cerebrali usate per maneggiare gli utensili
L'enorme utilizzo di immagini femminili da parte di pubblicità e media sembra avere un effetto negativo inconscio sul modo in cui gli uomini percepiscono le donne. Non si tratta di un'ipotesi un po' moralista, bensì dell'indicazione di uno studio presentato al più importante congresso scientifico del mondo, quello dell'American Academy of Advancement in Science, in corso a Chicago e condotto da Susan Fiske, psicologa della Princeton University in New Jersey,
Secondo i dati raccolti, dopo la visione di queste foto si attivano intensamente le aree cerebrali normalmente «accese» prima di maneggiare utensili da lavoro come martello e cacciavite; allo stesso tempo foto di donne sexy hanno il potere di spegnere nel cervello maschile i centri neurali dell'empatia, ovvero quei circuiti deputati ad interagire con gli altri e a comprenderne le emozioni. Le foto di donne sexy, quindi, alterano la percezione maschile della donna «come se i maschi pensassero di agire direttamente su quei corpi femminili» come se le donne «non fossero completamente esseri umani».
«L'unica altra volta in cui abbiamo visto accadere tutto questo è quando le persone guardano immagini di barboni o drogati, perchè davvero non si vuole pensare a quello che sta accadendo a questa gente», spiega la Fiske. Insomma, nell'esperimento si vede che le fanciulle discinte spingono l'uomo a considerare davvero la donna un oggetto. «Non sto inneggiando alla censura - ha dichiarato la Fiske al quotidiano britannico - ma dico solo che le persone devono conoscere che tipo di associazioni» scattano nella mente della gente.

martedì 17 febbraio 2009

Estetico

Al Dio piantato in tutti e in ogni mossa
al Dio delle formiche, anguille, api
al Dio bussola e fiore apparterrei.
A quello invece che mi lascia il posto
e mi piazza da vice onnipotente
e si è sfilato dall'anulare il mondo
lasciandolo ai capricci dell'Adàm
vedovo di natura morta non ancora
non so credere, chiedere,
perché dare ha già dato e del dafarsi
resta solo la revoca del dono.
Erri De Luca, Solo andata, 91

L'importanza del dormire

La vita è sonno
di Massimo Gramellini
Quand’è che l’insonnia è diventata un valore politico? Perché i cocchi della folla hanno sempre menato vanto del loro dormir poco? L’amato premier lo ha ribadito sabato, strusciando fuori da una discoteca milanese alle sei e un quarto del mattino: «Mi basta dormire tre ore, così poi ho l’energia per fare l’amore altre tre». Anche il capo dell’opposizione passa la notte a duplicare cd per gli amici e a vedere film ubzeki coi sottotitoli in lituano, ma giustamente non lo dice a nessuno. L’insonnia è politicamente spendibile solo se funzionale al racconto, vero o millantato, di prestazioni sessuali e riunioni strategiche, le due attività in cui ogni capo branco maschio esprime la propria concezione del potere. È vero che anche i mistici si svegliano alle tre di notte, ma loro lo fanno per pregare e comunque si erano coricati al tramonto, senza aspettare l’ultima dichiarazione di Cicchitto.
«L’allievo dormirà sei ore, ne siano concesse sette solo al pigro, a nessuno otto», si leggeva nel regolamento delle scuole pitagoriche. Ma sei ore erano garantite a tutti, una sorta di minimo esistenziale sotto la cui soglia si celano il malessere e l’inquietudine. Tanto poi avrò l’eternità per dormire, sentenziano gli stakanovisti del fare. E non capiscono che sarebbe saggio cominciare a portarsi avanti col lavoro. Che solo chi dorme riesce a sognare. E che i sogni sono la vita vera. Avessero dormito di più anche certi cocainomani di Wall Street, forse adesso la notte prenderemmo tutti sonno un po’ meglio.

lunedì 16 febbraio 2009

Giudizio, Inferno, Purgatorio, Paradiso

Pubblichiamo una parte della meditazione apparsa su
Avvenire il 13 febbraio 2009.
Il testo integrale nella sezione Testi.
"Nella luce della risurrezione di Gesù possiamo intuire qualcosa di ciò che sarà la risurrezione della carne. In essa l’essere con Cristo si estenderà ad abbracciare la pienezza della persona e la globalità dell’esperienza umana anche nella sua dimensione corporea, così come la risurrezione del Crocifisso nella carne ha portato nella vita eterna la carne del nostro tempo mortale, fatta propria dal Figlio di Dio. L’anticipazione vigilante della risurrezione finale è in ogni bellezza, in ogni letizia, in ogni profondità della gioia che raggiunge anche il corpo e le cose, condotte alla loro destinazione propria, che è quella delle opere dell’amore. Non dobbiamo dimenticare che il cristianesimo, con alterne vicende, ha condotto una dura battaglia per respingere l’impulso al disprezzo del corpo e della materia in favore di una malintesa esaltazione dell’anima e dello spirito. L’esaltazione dello spirito nel disprezzo del corpo, come l’esaltazione del corpo nel disprezzo dello spirito, sono di fatto il seme maligno di una divisione dell’uomo che la grazia incoraggia a combattere e a sconfiggere".
Carlo Maria Martini

I termini di Facebook

Il sito di social network che sta facendo impallidire ogni altra esperienza passata del Web per i proprio numeri (...) ha cambiato le "condizioni d'utilizzo" del sito. Svolta importante perché sostanzialmente, con i nuovi termini, Facebook si appropria dei diritti sui contenuti postati dagli utenti e ne potrà fare quello che vuole, anche se l'utente in questione decide di rimuovere da online quanto aveva postato.
vedi l'articolo e i link ai siti che ne parlano.

domenica 15 febbraio 2009

Teologare

Il compito del teologo consiste nell’eliminare, tenendo presenti le scienze dello spirito, le incertezze derivanti dall’ignoranza, dal pregiudizio e dalla confusione prodotta da una inadeguata sintesi delle opzioni apparentemente contrastanti. Egli aiuterà i fedeli a vivere una vita migliore in mezzo all’incertezza inerente al mistero in cui sono immersi ed a cui sono chiamati ad abbandonarsi fiduciosamente.
E. Schillebeeckx, Il matrimonio, 12

Auguri, Cardinal Martini!

Eminenza carissima,
viviamo il tuo ottantaduesimo compleanno come si celebra una ricorrenza di famiglia. E’ una esigenza del cuore, per me e per l’intera Diocesi, esprimere stima, gratitudine e molto affetto. Sono convinto che questo sentimento non sia solo della nostra Chiesa: molti uomini e donne delle nostre città, anche non credenti e di altre fedi, avvertono come un dovere questa riconoscenza e così si uniscono a noi.
“In una società senza padri – mi confidavi in occasione del corale sconcerto nei giorni della sua morte – Giovanni Paolo II era diventato in qualche modo il padre di tutti”. Anche noi ambrosiani nei tuoi confronti sentiamo vibrare qualcosa di questa paternità.
Una paternità luminosa, sicura e discreta, che ci ha insegnato ad aprire con venerazione ed amore il Libro delle Scritture, a riconoscervi le viscere di tenerezza di Dio, a custodire uno sguardo di speranza sull’uomo e sulla storia.
Una paternità che ci ha incamminato decisamente sulla via dell’ascolto e del dialogo – come scrivevi – per “imparare a leggere la città con occhio caritatevole, paziente, misericordioso, amico, propositivo e cordiale…, a riconoscere il bene che c’è nel cuore di tanta gente della città ed il bisogno di Dio che consciamente o inconsciamente sono in molti” (Lettera Alzati, va a Ninive la grande città!).
Il senso di riconoscenza e di paternità è per me del tutto singolare: dalle tue mani ho ricevuto il dono e la responsabilità dell’ordinazione episcopale e – poi – quel pastorale di San Carlo che, consegnando nelle mie mani, hai giustamente definito “pesante”. Devo confidarti, a distanza di anni, che mi sono state di grande aiuto, nel portarlo, la tua nascosta ed evangelica presenza, il senso di fiducia e piena libertà che mi hai lasciato, soprattutto quella preghiera di intercessione che hai innalzato dalla terra di Gesù e da Roma e ora da Gallarate continui ad assicurare per tutti noi. E’ un dono assai prezioso, un vero balsamo del cuore che ci riempie di consolazione e su cui desideriamo contare a lungo. Così come ci rallegrano la tua presenza in questa terra benedetta dei santi Ambrogio e Carlo e la testimonianza di fede e di saggezza che diffondi vivendo il dono del sacerdozio, della predicazione e della malattia.
Grazie Eminenza. Siamo in tanti a porgerti gli auguri.
A te che hai scelto Pro veritate adversa diligere, siano date in pienezza Gaudium et pax.
+ Dionigi card. Tettamanzi