mercoledì 31 dicembre 2008

Stile e sostanza

Non ce l'ho col ministro.
Non considero questo l'argomento più importante del giorno.
Non voglio avere come ministri solo "uomini di facciata".
Però credo che l'articolo voglia colpire una mancanza di stile,
una mancanza di rispetto del dolore e delle istituzioni,
che notiamo a tanti livelli.
don Chisciotte

Quando il politico è in vacanza (in tuta). Consigli per un guardaroba (doppio)
Lettera aperta al ministro Frattini: «Chieda in prestito a Chantal un po' di cipria per smorzare l'abbronzatura»
di Lina Sotis
Caro ministro, perché un bel signore dall'aria avvenente ed elegante come lei, con un perfetto phisique du role per fare il ministro degli Esteri si ostina a danneggiare la sua immagine? So che le ferie sono un diritto. Anche per un rappresentante del governo. Anche quando nel mondo scoppiano guerre e crisi terribili. Va bene. Ma dato che la diplomazia mondiale non riesce a rispettare i suoi tempi di vacanza, le vorrei dare qualche consiglio per attrezzarsi alle emergenze. Non è difficile, basta saper fare le valigie.
Prendiamo il caso della Georgia. Durante la crisi con la Russia, in un momento così delicato e difficile per i ministri degli Esteri di tutti i Paesi del mondo, lei si è fatto sorprendere in mutande da bagno alle Maldive. Non si è immediatamente infilato dei pantaloni ed è corso con il primo aereo alla Farnesina perché l'Italia potesse dire la sua, ma si è limitato a cambiare costume da bagno e, fra una nuotata e l'altra, ha lavorato, pare, in conference call. L'evento imponeva di scegliere dalla valigia un completo giacca-pantaloni non troppo estivo e non troppo chiaro, abbinarlo con camicia e cravatta, mettersi alle spalle una bella carta geografica con Russia e Georgia in evidenza e, in piedi accanto alla carta, spiegare scenari e mosse diplomatiche dell'Italia.
Veniamo a Gaza. Dal suo chalet di montagna intutato, sponsorizzato, abbronzato e dichiaratamente in vacanza lei si è limitato a fare un commento per i telespettatori. Le vacanze natalizie, si sa, sono sacre. Ma bastavano solo due minuti per togliere la tuta con marchio, indossare camicia, cardigan scuro e allontanarsi dalle travi di legno della baita, farsi prestare una bella scrivania e piazzarci sopra un mappamondo. E, magari, chiedere anche in prestito a Chantal, la sua compagna, un po' di cipria per smorzare l'abbronzatura. Troppo sole fa male, non è elegante e non trasmette sicurezza a meno che uno non faccia il ministro del Turismo. Lei che ha il phisique du role che tanti suoi colleghi di governo le invidiano, nel 2009 non ci deluda. Visto che ha la responsabilità degli Esteri abbia sempre pronta una faccia da estero-dramma; dato che parla di cose importanti e drammatiche quando parte porti sempre dietro due guardaroba, uno per le vacanze e uno per lavoro.
Quando comunica agli italiani esibisca quello professionale, si faccia vedere consapevole anche nel vestire delle parole che sta dicendo. Basta poco, in fondo. (...)

Sommersi dai bip

Sommersi da milioni di sms. Due miliardi per gli auguri
Oltre il 20% in più del 2007, 40 per ogni italiano. E solo gli inglesi ci battono
di Ettore Livini
(...) Al giro di boa del millennio - tra il 25 dicembre '99 e il primo gennaio 2000 - ne erano partiti 100 milioni. Sembravano tantissimi. Quest'anno solo tra vigilia e giorno di Natale sono stati quasi un miliardo, il 20% in più del 2007.
Uno tsunami di baci e abbracci virtuali destinato ad andare in replica alla mezzanotte (...) quando, tra zamponi e lenticchie, la contabilità delle affettuosità telefoniche - secondo le stime dei gestori nazionali - dovrebbe aggiungere un altro miliardo di sms portando verso il record dei 2 miliardi il totale in questi giorni di vacanza, una quarantina a italiano.
(...) Nel 2008, secondo la società di ricerca Gartner, sono stati spediti 2.300 miliardi di sms, il 19,6% in più dell'anno precedente e 150 volte i 17 miliardi del 2000. In Italia siamo a quota 29,3 miliardi e viaggiamo a una media di 1,4 a testa ogni giorno, lontanissimi dai fenomeni filippini (che ne digitano 15) ma secondi in Europa solo agli inglesi.
Cifre che si traducono in una pioggia d'oro - 60 miliardi l'anno il giro d'affari mondiale - per i gestori. Il motivo? Semplice, gli sms sono di gran lunga uno dei servizi più redditizi nel mondo della telefonia. Le cifre parlano chiaro: un messaggio può essere lungo un massimo di 160 caratteri, pari a 140 byte di spazio. In un kilobyte (prezzo di mercato circa 6 centesimi) ci stanno - anche aggiungendo un po' di spazio per formattazione e spedizione - sei testi. Il prezzo industriale, quindi, è attorno al centesimo mentre quello medio di vendita ai clienti di carte prepagate in Europa è di 7,5 centesimi (13 in Italia, siamo i più cari). Su 7.500 euro incassati dal gestore, insomma, ben 6.500 sono di profitto. Un margine da capogiro che ai colossi della telefonia mobile Usa è costato una class action da parte dei consumatori.
(...) In 16 anni di vita hanno cambiato le abitudini del mondo. Via sms ci si fidanza, si scoprono i tradimenti e alla fine ci si lascia (...). Il tempo ha sbriciolato anche le barriere generazionali: i ragazzi tra i 6 e i 19 anni (l'80% di loro ha almeno un telefonino) restano gli utenti più compulsivi con una media di cinque "invia" al giorno. I loro nonni però stanno recuperando il tempo perduto visto che in cinque anni il numero di ultra65enni che messaggia abitualmente è cresciuto del 33%. Qualcuno - soprattutto tra i giovanissimi - ne abusa. L'American Journal of Psychiatry ha ufficializzato sei mesi fa la nascita della dipendenza dai messaggini (sintomi l'apatia sociale e l'ansia quando si è senza cellulare), misurando stati di assuefazione agli sms superiori a quelli della nicotina. Le sale d'attesa degli ortopedici in tutto il mondo si sono riempite di pazienti affetti dalla neonata "Blackberry thumb", una tendinite che colpisce i pollici dei 40-50enni costretti - dopo anni d'ozio - a una compulsiva ginnastica messaggistica.
La lista delle patologie indirette è ancora più lunga. Se parlare al cellulare mentre si guida è pericoloso, leggere (e soprattutto digitare) un testo è un esercizio al limite del masochismo. Il Rac, l'Automobil club inglese, ha calcolato che la velocità di reazione dell'autista impegnato a pigiare i tasti del suo telefonino si riduce del 35%, più di chi ha fumato marijuana (21%) e persino di chi ha nel sangue una percentuale dello 0,8% di alcol (12%). Il vizio, tra l'altro, è piuttosto diffuso: il 70% degli americani, secondo Osterman Research, non rinuncia a mandare sms nemmeno mentre sta viaggiando in auto. (...). L'ultimo ingresso nell'enciclopedia medica del settore è però il nuovissimo "Sms walking", un fenomeno che solo nel 2007 in Gran Bretagna ha causato 68 mila feriti. Le vittime in questo caso sono i pedoni troppo concentrati nell'invio della loro corrispondenza telefonica per evitare ostacoli improvvisi lungo il percorso (cassonetti, auto in sosta, pali della luce, tombini aperti) o per accorgersi, capita anche a loro, di un semaforo rosso. A Londra i tecnici del Comune hanno addirittura avviato in alcune zone un servizio sperimentale di imbottitura dei lampioni con materassini morbidi, coadiuvato dal disegno di una linea continua a terra per segnalare i pericoli anche a chi - in trance da sms - cammina guardando solo verso il basso. (...)
Gli gnomi della pubblicità, com'era prevedibile, non si sono lasciati sfuggire un canale di comunicazione così importante e trasversale: solo in Italia nel 2007 sono stati spediti un miliardo di testi promozionali via telefono con un giro d'affari di 67 milioni, in aumento del 24% sull'anno precedente. La semplicità d'uso e di contabilizzazione ne ha fatto anche il canale privilegiato della raccolta di fondi per beneficenza, consentendo tra l'altro di raggiungere fasce di donatori che prima, scottati dalle difficoltà burocratiche e dai tempi lunghi, non avevano mai partecipato a iniziative di questo tipo: i bip-bip solidali hanno consentito l'anno scorso di raccogliere per buone cause 21,6 milioni di euro. La sms-mania, e non poteva essere altrimenti, ha contagiato anche l'uomo dell'anno del 2008, Barack Obama. (...) In termini di capillarità d'esecuzione e di costi, però, il risultato si ribalta: un voto costa 1,5 dollari con gli sms, 38 al telefono e 16 con la visita di persona a casa. (...)

Placebo per la solitudine

Sms, placebo da 160 caratteri per la nostra solitudine
di Gabriele Romagnoli
Senza Motivazioni Sacre. Non ci sarebbe stato bisogno del Natale per accorgersi che la comunicazione tramite invio di brevi messaggi al cellulare ha raggiunto vette celestiali. Sono Malattie Sociali, contagi diffusi in tutte le regioni del pianeta.
Indipendentemente dalle condizioni di vita, nella scala delle necessità vere o immaginarie l'acquisto del pane può venire dopo la trasmissione di un "Come va?".
L'sms, più dell'e-mail, ha cambiato il mondo, devastandolo e salvandolo, svelandocelo e lasciandolo uguale a prima. Questo è l'elenco SeMiSerio delle sette principali conseguenze del suo utilizzo.
1. Ha creato e distrutto la maggior parte delle relazioni sentimentali (o qualcosa che loro assomiglia) attualmente esistenti. Senza la possibilità del ricorso all'sms molti corteggiamenti non sarebbero iniziati. Non ne sarebbero seguiti matrimoni o matrimoni spezzati. Un sms scappa anche al più timido, anestetizza la reazione, non espone al ridicolo. Mal che vada, va a finir bene. E qualcosa comincia. O finisce, perché la maggioranza dei tradimenti viene scoperta leggendo un sms altrui. Non ci vorrebbe molto a cancellare tutti quelli che si ricevono, ma è noto che la maggior parte delle azioni si compiono per renderle note e l'sms è non solo la comunicazione più veloce, ma anche la scorciatoia per la fine, il modo per farlo dire a chi non ne è capace. In definitiva, tra unioni che procaccia e altre che disfa, la somma algebrica resta zero.
2. Ha distrutto l'informazione creandone la forma più sintetica, esplosiva e ferale: il twitter, il figlio scemo del blog che già di suo non sempre era un genio. Centosessanta caratteri che vanno online e diventano notizia in tempo reale sono l'ultima frontiera, quella al confine del precipizio, dove nessuno più controlla niente, nessuno elabora niente, tutti sono autori e fruitori e nessuno ha il tempo e lo spazio per fare decentemente l'una o l'altra cosa.
3. Ha sdoganato la via brevis dell'ortografia. Per scritto X. Ch scritto K. Auguri alle maestre, che ci provino a correggere un bambino di 7 anni che scrive "anke". Mostrerà un sms del padre avvocato: "Xkè nn 6 qui?". Tutte le rivoluzioni finiscono così: dai muri di "Kossiga" allo schermo di "Albakiara". Ogni tragedia degenera nel ridicolo che già conteneva.
4. Consente alle coppie vip che un tempo si lasciavano con un fax di risparmiare carta, riducendo la quantità di materia da riciclare
5. Fornisce materiale pregiato alle intercettazioni. Digitando, molto più che parlando, il gap tra persone comuni e presunte personalità straordinarie si abbassa. In attesa della morte la nuova "livella" sociale è l'sms. Anke un bankiere invia caski di banalità. :-)
6. Permette di stabilire chi è la persona più popolare su un aereo. All'atterraggio, non appena i cellulari si riattivano, è quello dalla cui tasca parte il numero più alto di bip, accolti con fasulla irritazione e malcelata soddisfazione.
7. È il placebo alla incurabile solitudine della razza umana. Da Tbilisi a Maputo, da Pechino a Rejkyavik per un anno, dovunque mi trovassi ho scattato immagini di persone sole, sedute sui gradini di una chiesa, nella hall deserta di un aeroporto, in una nicchia della notte, la schiena a un muro, a un bagaglio o a una quinta dell'oscurità. Avevano lo sguardo fisso davanti a sé, una riflesso di luce azzurrina ne illuminava i volti, cercavano con l'impegno di ingannare il fantasma della desolazione, di respingere l'idea che nessuno fosse al loro fianco, nessuno in ascolto. E lo facevano scorrendo quell'ultimo patrimonio che è la rubrica, trovando infine un nome a cui lanciare l'invocazione sotto forma di comunicazione e scrivendo, come se fosse un sos, un sms. Che cosa ne ho fatto di quella ventina di scatti globali? Una notte che ero solo a New York li ho spediti per mms a qualcuno che non era al mio fianco, che non era in ascolto. Manco Mi Scrisse.

martedì 30 dicembre 2008

Ben ci sta!



Se questa è la celebrazione del sacramento del matrimonio cristiano...
"Non è colpa di nessuno", si dirà.


La medaglia d'argento dei pesi massimi di pugilato alle Olimpiadi di Pechino, Clemente Russo ha sposato la judoka Laura Maddaloni, sorella di Pino Maddaloni. La cerimonia si è tenuta nell'Abbazia di San Gennaro a Ferrari di Cervinara (Av). Gli abiti degli sposi sono stati disegnati da Gianni Molaro, artista-stilista napoletano. Tra i testimoni il fratello della sposa, Pino Maddaloni, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Sidney del 2000. Clemente Russo ha fortemente voluto che fosse il poliedrico artista Molaro, a firmare gli abiti da indossare in quello che ha definito «il giorno più importante della mia vita». Alla vigilia aveva annunciato agli amici: «Sarò un raggio di sole dipinto da Gianni». Lo stilista Gianni Molaro alla vigilia aveva detto: «Clemente? Sarà un vero dandy inglese. Credo che in questo momento di crisi economica internazionale, la creatività ed i sogni possano aiutarci. Sicuramente sarà un matrimonio all'insegna della luminosità ed energia».

Storia animata dei Tre Magi... e della Buona Notizia!

Paternità e maternità responsabili

L'alba del genitore
di Massimo Gramellini
Trecento genitori in coda di prima mattina davanti all’ospedale di Civitavecchia per scoprire se fra i morti dell’ennesima ecatombe notturna ci fosse anche il loro figliolo. Sono l’avamposto di un esercito dell’ansia che annovera centinaia di migliaia di soldati, madri e padri che passano le notti in bianco nell’attesa di un ritorno che le leggi del turbo-consumismo, il quale ci pretende spendaccioni ben oltre l’orario di chiusura dei negozi, hanno spostato negli anni sempre più in là, fino a farlo coincidere con l’alba.
Ai miei tempi (espressione orribile) si entrava in discoteca alle undici e si usciva intorno alle due, riguadagnando la tana in punta di piedi, ma mai abbastanza perché nella stanza di papà non si accendesse e spegnesse la luce: il suo segnale per farti capire che aveva guardato l’orologio, perciò il giorno dopo non avresti potuto turlupinarlo sostenendo che eri rincasato a mezzanotte. Oggi i ragazzi escono all’ora in cui noi rientravamo e impedirglielo significa fronteggiare da soli un’ondata di piena, rappresentata dall’abitudine di una collettività intera. Educare un figlio all’anticonformismo è una contraddizione in termini e un dispendio enorme di tempo e fatica: bisogna motivare il rifiuto e avere la forza di difenderlo. Così molti genitori si riducono a non dormire la notte, riproducendo ironicamente la situazione di quando il pupo era in fasce. L’alba era un mito per noi che la aspettavamo svegli solo a Ferragosto e a Capodanno. Mi chiedo cosa rappresenti ancora per questi ragazzi, per i quali è Capodanno tutto l’anno e quindi non lo è mai.

lunedì 29 dicembre 2008

Sospetti e certezze

Inchiostro simpatico
di Massimo Gramellini
Fino all’altra sera avevo il sospetto che l’Italia fosse nelle mani di una classe dirigente superficiale e furbastra, simpaticamente ispirata alla famiglia Cesaroni. Ma poi ho visto la puntata di «Report» in cui Colaninno, messo all’angolo da quella judoka della notizia che è Milena Gabanelli, cercava fra i papiri del suo ufficio la clausola statutaria che dovrebbe impedirgli di vendere entro cinque anni l’Alitalia. Cercava e non trovava, lo Steward Maximo, ma ci rideva sopra. Si sa come sono le clausole, specie quelle cresciute nel microclima peninsulare: animaletti infingardi che si nutrono di inchiostro simpatico e il mercoledì si intrufolano fra le pieghe di una legge per amore dei manager («Tanzi, io ti salverò!») e la domenica scappano a gambe levate dagli statuti delle compagnie aeree. Sempre all’insaputa dei legittimi proprietari, naturalmente. E confidando nel disinteresse ostentato dell’opposizione, che non ha tempo per inseguire le clausole, dovendo occuparsi di cose molto più importanti, delle quali ci verrà fornito un elenco appena possibile, cioè mai.
Sì, fino all’altra sera avevo il sospetto che l’Italia fosse nelle mani ecc. ecc., ma adesso non l’ho più, perché il sospetto è diventato certezza. Viviamo momenti in cui uno guarda gli esempi che gli arrivano dall’alto e, per quanto si sforzi di imitarli, non riesce a essere altrettanto approssimativo e cialtrone.

Amicizia

Amico: perché sei il legame che unisce, ma non imprigiona.
Amico: perché sei la stella che guida, ma non abbaglia.
Amico: perché sei l'albero che abbraccia, ma non stringe.
Amico: perché sei la brezza che placa, ma non addormenta.
Amico: perché sei sguardo che scruta, ma non giudica.
Amico: perché sei parola che previene, ma non tormenta.
Amico: perché sei fratello che corregge, ma non umilia.
Amico: perché sei un mantello che copre, ma non soffoca.
Amico: perché sei lima che affina, ma non scortica.
Amico: perché sei la mano che accompagna, ma non sforza.
Amico: perché sei il cuore che ama, ma non esige.
Amico: perché sei la tenerezza che protegge, ma non assoggetta.
Amico: perché sei immagine di Dio, appunto per questo.
E. Oshiro
postato sul blog il 26.12.2007

domenica 28 dicembre 2008

Mestiere?

"Quel giorno in cui questo lavoro smetterà di tormentarti l'anima e di farti venire fredde le mani, forse sarà ora di cambiare mestiere".
Jason Gideon
postato sul blog il 19.11.2007

Non "martiri", non "innocenti"

Griffati ma senza famiglia
di Lorenzo Mondo
Danno fuoco a un barbone, per divertimento, e si scopre che sono ragazzi di buona famiglia. Approfittano d’un corteo di protesta per sfasciare vetrine e saccheggiare negozi. E si scopre che sono ragazzi di buona famiglia. Investono con l’auto un disgraziato sulle strisce pedonali e lo lasciano morire senza soccorrerlo. E si scopre che sono ragazzi di buona famiglia... I luoghi comuni non attentano soltanto alla qualità della scrittura ma anche alla verità. La definizione esprime intanto, in molti casi, un riguardo che non esiterei a definire classista. Perché viene riferita ai figli di professionisti o di gente facoltosa, che occupa buone posizioni nella società. Gli altri vengono per lo più designati come incensurati, come soggetti senza precedenti penali.
Arrivando alla sostanza del problema, quante buone famiglie si accreditano come tali per avere accondisceso a tutti i desideri dei loro rampolli, dotandoli di ogni possibile aggeggio elettronico, vestendoli di scarpe e giubbotti griffati, pascendoli di stadi e discoteche. Senza preoccuparsi del vuoto mentale, e morale, che li pervade. Incapaci di educarli al rispetto di sé e degli altri, tendono perfino a giustificarli e a proteggerli quando si comportano male. Esistono situazioni di speciale disagio giovanile davanti alle quali si può soltanto tacere, e compatire. Esiste una pressione sociale che, forzando le barriere del contesto familiare, influisce negativamente sulle persone più fragili. Ma in troppi casi l’espressione «buona famiglia» avrebbe senso soltanto se fosse usata come un eufemismo (in analogia con il termine buonadonna) e dovrebbe essere sostituita semmai da un «senza famiglia»: una dizione più veritiera e alla fine più comprensiva per i devianti. Mi ha colpito come una sferzata l’osservazione di una madre in difesa della figlia, che aveva partecipato con una banda di coetanei ubriachi alla distruzione dei vetri e degli arredi d’una stazione ferroviaria. Un episodio tutto sommato minore. Sennonché, pur esprimendo rincrescimento per l’accaduto, la signora, quasi a tagliar corto, se ne è uscita con una frase di troppo: «In fondo non ha ucciso nessuno». Veniva la voglia di risponderle, incrociando le dita: «Speriamo che non accada la prossima volta».

sabato 27 dicembre 2008

Coerenze e provocazioni

Sono anch'io per le scelte un po' "parlanti"
e non per le solite parole mute.
Come siamo dispiaciuti per i cristiani
che non sentono la gioia di condividere la mensa della Eucarestia domenicale,
così non ne possiamo più dei "cattolici della Messa",
che all'uscita dalla chiesa firmano contro gli stranieri.
Avrei preferito un bel "non siamo pronti".
E poi Gesù, che è un grande,
nasce anche dove noi non lo faremmo nascere,
magari anche in certe chiese.
don Chisciotte

Monsignor Attilio Bianchi nella Messa di mezzanotte ha detto ai presenti che se non sono preparati ad accogliere gli immigrati, "Gesù non nasce"
Bergamo, niente Bambinello nel presepe
Il parroco spiega ai fedeli: "Non siete pronti"
In una chiesa di Bergamo il parroco si è rifiutato di mettere la statuetta di Gesù Bambino nel presepe (come accade, per tradizione, il 24 dicembre), perché la gente "non è pronta". E ora fa discutere la scelta di monsignor Attilio Bianchi, parroco della chiesa di Santa Lucia, il Tempio votivo di Bergamo, annunciata nel corso dell'omelia, alla Messa di Mezzanotte.
Il sacerdote, che durante le omelie domenicali invita i fedeli a curarsi dei poveri e degli emarginati, ha deciso di comportarsi di conseguenza. E durante l'omelia ha proclamato: "Questa notte non è Natale. Non siete pronti. Se non sapete accogliere lo straniero, il diverso, non potete accogliere il Bambin Gesù. Perciò Gesù non nasce".
E quindi non ha fatto porre nel presepe della chiesa la statuetta (già pronta) del Bambinello. A chi ha chiesto spiegazioni ha poi detto che il presepe era basato sul racconto di Ezio del Favero 'Al chiaro delle stelle', in cui Gesù Bambino esce dalla culla per andare da un bimbo povero che non osava stargli vicino: "Il messaggio che abbiamo voluto dare è proprio questo: Gesù non ha paura di avvicinarsi agli emarginati, agli ultimi. E' ora che chi si dice cattolico metta in pratica gli insegnamenti di Cristo".

Leggende e realtà

Il quarto dei magi che ritardando giunse in anticipo
di Igor Man
E’ nato il bambino ch’è già nato. Un bambino povero, senza giocattoli, una mangiatoia per culla. È nato nel buio della povertà ma subito ha sparso luce perché gli uomini sapessero dove andare e chi adorare. Tanto tempo è passato da quel momentum ma «sembra ieri» e da allora anno dopo anno si rinnova il mistero chiamato Gesù.
Un miracolo non più idilliaco, difficile da rinnovare; un miracolo antico e tuttavia presente. «La novità vera è Gesù, contemporaneo ad ogni epoca», ipse dixit Giovanni Paolo II al Vecchio Cronista allorché questi fu ricevuto nell’appartamento pontificio il 9 di dicembre del 2001. Era prevista una udienza di routine ma papa Wojtyla, inopinatamente, mi dedicò mezza mattinata. Nel lontano 1949 avevo incontrato Padre Pio, lungamente. E Giovanni Paolo II, insaziabile, mi interrogava sul cappuccino che di lì a poco avrebbe fatto santo. In quella inobliabile occasione parlammo dell’islàm nella prospettiva del «dialogo» che secondo il Papa avrebbe potuto trovare una sorta di «paziente scorciatoia» nella preghiera interreligiosa, dal Papa stesso affidata all’«Onu di Trastevere», cioè alla Comunità (laica) di Sant’Egidio. Ogni anno, cristiani, ebrei e islamici si radunano in una capitale del mondo per riflettere e ragionare sulle religioni monoteiste. Chiude la «tre giorni» la preghiera interreligiosa: si prega fisicamente insieme; ognuno a suo modo, spiritualmente. Il Papa parlava sommesso ma la sua voce si fece alta e forte quando ricordò l’Epifania: «Il racconto dei Magi può, in un certo senso, indicarci una rotta spirituale - disse -: i Magi furono in qualche modo i primi missionari. L’incontro col Cristo non li bloccò a Betlemme ma li spinse nuovamente per le strade del mondo». Giovanni Paolo II, l’ho già scritto, fa pensare al «quarto» dei Magi. Mia madre, russa ortodossa, mi raccontava la incredibile storia, appunto, del «quarto».
Si chiamava Artaban ed era un persiano zoroastriano. Comparsa la stella cometa, si mette in viaggio per raggiungere gli altri tre. A poche ore dall’appuntamento, Artaban si imbatte in un ebreo terribilmente ferito. Soccorre il moribondo, questi guarisce e lo ringrazia rivelandogli che il Messia sarebbe nato a Betlemme. Mancato l’appuntamento con Gaspar, Melkior e Balthasar, il «quarto» vende una delle pietre preziose destinate al Bambinello e allestisce una nuova carovana. Arriva a Betlemme ma in piena strage degli innocenti. Con un rubino salva dalla morte un bimbo corrompendo i centurioni che stavano per sgozzarlo. Passano gli anni e il vecchio Artaban conserva gelosamente l’ultimo suo tesoro: una rarissima perla. Con essa, un giorno doloroso, il «quarto» spera di salvare il Messia dalla crocefissione. Ma sul Golgota un ragazzo lo implora di riscattarlo dalla schiavitù romana e il vecchio re sapiente sacrifica l’ultimo suo bene: la perla. In quel preciso momento «egli si avvede d’essere stato ammesso, per primo, alla presenza del re tanto atteso e cercato, quello vero: Gesù». Qui è stato facile a chi scrive identificare, se così può dirsi, il quarto dei Magi in Giovanni Paolo II.
C’è infatti una morale in questa storia, una morale luminosa come la grotta in cui nasce Gesù di Nazareth. Eccola: Artaban è giunto in ritardo a Betlemme ma è arrivato in anticipo sulla Pasqua di Resurrezione. Tutto muta ma nulla è cambiato e allora diremo, credenti e laici, che Gesù non è solamente dalla parte del Mistero di Dio di fronte all’uomo, ma altresì dalla parte dell’uomo di fronte al Mistero di Dio.

giovedì 25 dicembre 2008

Finalmente concretezza: bravo Arcivescovo!

dall'Omelia della Messa di Mezzanotte in Duomo:

(...) In questo Natale, già segnato dalle prime ondate di una grave crisi economica, un interrogativo mi tormenta: io, come Arcivescovo di Milano, cosa posso fare? Noi, come Chiesa ambrosiana, cosa possiamo fare?
Prima di porre un segno, quasi a dare il “la” ad un concerto che mi piacerebbe potesse coinvolgere coralmente tutta la nostra Chiesa e anche tutti gli uomini di buona volontà, vorrei che ciascuno conservasse nel cuore questa domanda e da questa si lasciasse inquietare e convertire: io cosa posso fare?
Il pensiero che alcune famiglie in parrocchia, un vicino di casa, si possano trovare a vivere queste feste con il timore di perdere il proprio posto di lavoro non può non interrogare ciascuno di noi. C’è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà, segno di giustizia prima ancora che di virtù. C’è una solidarietà umana da ritrovare nei nostri paesi e nelle nostre città per uscire dall’anonimato e dall’isolamento, perché chi vive momenti di difficoltà non si senta abbandonato. C’è una nuova primavera sociale fatta di volontariato, mutuo soccorso, cooperazione da far fiorire perché insieme – ne sono certo -, solo insieme è possibile affrontare e superare le difficoltà che sperimentiamo e che si prospettano.
Non possiamo stare a guardare! Occorre agire. E l’azione ora deve privilegiare chi nei prossimi mesi perderà il lavoro e non sarà più in grado di mantenere dignitosamente sé e la propria famiglia. Certo, la nostra Chiesa ambrosiana – nelle sue istituzioni, parrocchie, associazioni – è da sempre accanto alle persone che soffrono forme di antica e nuova povertà. Ma sento il bisogno di rinnovare l’appello alla responsabilità di tutti e di ciascuno affinché il miracolo della solidarietà, possibile dove si vive con autenticità il Vangelo, si ripeta anche in questo momento difficile. Realizziamo, insieme, dei gesti concreti di “solidarietà”. I nuovi e più profondi legami che nascono dall’Eucaristia – celebrata questa notte e quotidianamente – siano le motivazioni più evangeliche e convincenti per sostenere umanamente e spiritualmente chi è o sarà in difficoltà per la perdita del lavoro.
La solidarietà invoca anche sostegni materiali e risorse da destinare a chi è nel bisogno. E l’atteggiamento che rende viva e autentica la solidarietà è la “sobrietà”. Tutti dobbiamo essere sobri: perché il cuore sia libero dalle ricchezze, per educarci a investire e a spendere per ciò che è necessario e importante e per condividere la nostra umanità e i nostri beni con chi è povero.
Perché questo discorso non resti generico, in questa Notte Santa, come Arcivescovo di Milano mi appello alla responsabilità dei singoli e delle comunità cristiane della diocesi e personalmente costituisco il “Fondo famiglia- lavoro” per venire incontro a chi sta perdendo l’occupazione. Come avvio di questo fondo, attingendo dall’otto per mille destinato per opere di carità, dalle offerte pervenute in questi giorni “per la carità dell’Arcivescovo”, da scelte di sobrietà della diocesi e mie personali metto a disposizione la cifra iniziale di un milione di euro.
Chiedo a tutte le comunità cristiane della diocesi di riflettere sulle conseguenze della crisi economica, di prestare particolare attenzione alle famiglie in difficoltà a causa del lavoro, di aderire con generosità a questo fondo.
Sarà compito insieme dei sacerdoti e dei laici – attraverso i consigli pastorali, i consigli per gli affari economici e gli altri organismi competenti – operare un serio discernimento e decidere come parteciparvi (rimandare spese non urgenti o secondarie, destinare una percentuale del bilancio parrocchiale, intraprendere coraggiose scelte di sobrietà…).
La Caritas Ambrosiana e le ACLI stanno già studiando le forme più adatte, a partire dalla loro esperienza, per la gestione e l’utilizzo di questo fondo secondo modalità che verranno poi rese note. (...)

Natale di Gesù 2008

Il nostro corpo presepe vivente,
nei luoghi dove siamo chiamati a vivere e lavorare.
Le nostre gambe come quelle degli animali
che hanno visitato la grotta "quella notte".
Il nostro ventre come quello di Maria
che ha accolto e fatto crescere Gesù.
Le nostre braccia come quelle di Giuseppe
che l'hanno cullato, sollevato, abbracciato e lavorato per lui.
La nostra voce come quella degli angeli
per lodare il Verbo che si è fatto carne.
I nostri occhi come quelli stupiti di tutti coloro
che la Notte Santa l'hanno visto nella mangiatoia.
Le nostre orecchie come quelle dei pastori
che hanno ascoltato attoniti il canto divino proveniente dal cielo.
La nostra intelligenza come quella dei Magi
che hanno seguito la stella fino alla Sua casa
Il nostro cuore come la mangiatoia
che ha accolto l'Eterno
che si è fatto piccolo e povero come uno di noi.
grazie a R.C.

mercoledì 24 dicembre 2008

Attorno al presepe

I cattolici non hanno bisogno di spaccarsi:
sono già divisi... quasi su tutto.
Prima di parlare,
ricordarsi di connettere la bocca al cervello
(e al Vangelo, se possibile!).

Nei presepi allestiti a Genova e Venezia tra i pastorelli è apparsa una moschea che ha provocato discussioni e polemiche. I musulmani: è un segno di pace
La moschea dentro il presepe: insorge la Lega, cattolici divisi
Se nel presepe spunta la moschea, come succede a Genova e a Venezia, le città si dividono, si spacca il mondo cattolico, e insorge la Lega che apre una nuova crociata al grido di "Via la moschea dal presepe!".
"È un'assurdità, una cosa che non ha senso", tuona Don Gianni Baget Bozzo. "Nessun problema e nessuna contrarietà, per me va bene", replica Abdel Hamid Shari, presidente dell'istituto culturale islamico della moschea milanese di viale Jenner. Più cauto il Patriarca di Venezia Angelo Scola: "Nella realizzazione del presepe non ci dovrebbe essere spazio per il sincretismo, ma non ci sono regole rigide per la sua costruzione".
Sono in una parrocchia di Genova e in una scuola di Venezia i casi che fanno gridare allo scandalo. Nella prima, la parrocchia di Nostra Signora della Provvidenza, è stato il parroco, Don Prospero Bonzani, ad avere l'idea, dopo un pellegrinaggio in Palestina in cui ha visto "come stanno veramente le cose", spiega, che cioè "i palestinesi sono stati confinati dagli israeliani in tante prigioni larghe quanto un paese". Di qui l'iniziativa di inserire nel presepe una moschea e un minareto "per indicare l'intenzione di intraprendere il difficile dialogo con il mondo islamico".
Durissime le proteste della Lega. "Un gesto di pura imbecillità e di ossequio vile e strisciante all'invasione islamica", lo definisce l'eurodeputato Mario Borghezio. "Manca solo il kamikaze che cerca di far saltare la capanna col tritolo", incalza il segretario del Carroccio genovese Edoardo Rixi.
A Venezia invece la moschea è sorta nel presepe di una scuola cattolica, l'istituto professionale del Centro italiano femminile, per iniziativa di una bidella bosniaca, Suada Kechman, condivisa dalla direttrice del centro, Valentina Pontini: "Il 40 per cento degli alunni è straniero, è un'utile apertura culturale". Il direttore della Caritas, Monsignor Dino Pistolato, condivide: "È una novità che non mi disturba. Anzi, trovo che sia un bel segno. Cristo viene in terra per tutti, indistintamente". Apprezza anche Padre Alberto Ambrosio, della comunità dei domenicani di Istanbul: "Un'iniziativa molto bella". Inorridisce invece Padre Konrad Friedrich Ferdinand, cappellano della chiesa di san Simeon Piccolo, dove celebra la messa in latino: "È profondamente sbagliato, un intervento che stona. I musulmani non hanno lo stesso concetto di Gesù. Per noi è Dio, per loro no". "Un'esterofilia insulsa", attacca il leghista Alberto Mazzonetto.
Anche Don Gianni Baget Bozzo è più che perplesso sull'iniziativa della moschea nel presepe. E non solo per motivi storici, dal momento che quando Gesù è venuto al mondo, l'Islam non c'era ancora. Ma soprattutto perché, spiega, "è profondamente sbagliato accogliere tutti, e a tutti i costi, nel nome della carità. A volte la carità può diventare violenta - aggiunge - Infatti credo che la cosa non possa far piacere neanche ai musulmani, perché vedersi inseriti nel nostro presepe può significare venire assorbiti da un'altra religione. E siccome la moschea è il simbolo della loro religione, metterla nel presepe potrebbe essere vista come una dissacrazione".
Non sembra turbato invece l'Imam di Milano Hamid Shari: "Ognuno interpreta le cose sacre come vuole. Certo, è vero che la moschea arriva un po' più in là della nascita di Gesù, che anche per noi è una figura sacra, ma se il senso dell'iniziativa è quello di offrire un elemento di convivenza, di pace e di riflessione, allora mi sta bene". "No, non credo che sia un motivo di confusione tra le fedi - aggiunge - ognuno conosce bene la propria, ed è giusto che abbia il massimo rispetto per quella degli altri. Quindi ogni polemica mi sembra fuori luogo. Chi le fa cerca solo di distinguersi e magari spera in questo modo di guadagnare qualche voto".

Mors et vita


"Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (dal cap. 1 del vangelo di Luca).
Le scosse di terremoto di ieri mi hanno ricordato i giorni natalizi del 2004 con le immagini dello tsunami. Stamattina si celebrerà il funerale di una giovane mamma di Varese. E non sarà l'unico della giornata. Giorni deputati a fare memoria di una nascita saranno segnati per sempre dalla tonalità di eventi tristi.
Mors et vita duello, conflixere mirando: "Ho visto la morte e la vita duellare".
"Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (dal cap. 1 del vangelo di Giovanni).
Vieni, Luce!
don Chisciotte

martedì 23 dicembre 2008

Azzeccatissimo!


Ci fu il "Cogito, ergo sum", cioé "Penso, quindi sono";
passò anche "Mi sento, quindi sono";
mi intriga "Io Ipod, quindi sono"!

Sudditanze

La promozione del cine-panettone
Perché la tv pubblica deve azzerbinarsi a tal punto da mettere a disposizione di "Natale a Rio" ore e ore?

di Aldo Grasso
Non ho nulla contro i cine-panettoni. Li rispetto ma non li vado a vedere; aspetto che arrivino in tv. Magari fra dieci anni. Tanto, fra dieci anni, ci sarà sempre un Marco Giusti che li classificherà come stracult. Basta aspettare. Basta assuefarsi.
Una cosa però non capisco: dove sta scritto che la tv italiana deve azzerbinarsi a tal punto nei confronti del cine-panettone da mettere a disposizione di Natale a Rio ore e ore di promozione? Pippo Baudo ha dedicato ben due domeniche al lancio del film di Neri Parenti. In cambio ha avuto come ospiti i protagonisti del film, da Christian De Sica a Michelle Hunziker (come dire, da George Clooney a Nicole Kidman). Enrico Mentana gli ha dedicato addirittura una puntata di Matrix ma non c'è programma di intrattenimento o tg che non si sia sentito in dovere di favorire il lancio del film. Solo il libro di Bruno Vespa ha ricevuto più promozioni del cine-panettone. Che è già un bel segnale per capire i tempi che corrono.
La giustificazione è sempre la stessa: il cine-panettone usa le tv per promuovere se stesso e le varie trasmissioni usano il cine-panettone per alzare gli ascolti. O, quanto meno, per non perdere audience. Insomma, c'è in atto una sorta di scambio di prigionieri (leggi: spettatori) senza giro di fatture ma, almeno nel servizio pubblico, dovrebbe valere una maggiore prudenza. La tv pubblica che sostiene il cinema commerciale, è il massimo. Non lamentiamoci poi se la Rai, persa una linea editoriale, appiattitasi su modelli commerciali, sta diventando una tv residuale. (...)

Attesa

«Promessa sposa», cioè fidanzata! Noi sappiamo che la parola fidanzata viene vissuta da ogni donna come un preludio di tenerezze misteriose, di attese. Fidanzata è colei che attende. Anche Maria ha atteso; era in attesa, in ascolto: ma di chi? Di lui, di Giuseppe! Era in ascolto del frusciare dei suoi sandali sulla polvere, la sera, quando lui, profumato di vernice e di resina dei legni che trattava con le mani, andava da lei e le parlava dei suoi sogni.
Maria viene presentata come la donna che attende. Fidanzata, cioè. Solo dopo ci viene detto il suo nome. L'attesa è la prima pennellata con cui san Luca dipinge Maria, ma è anche l'ultima. E infatti sempre san Luca il pittore che, negli Atti degli apostoli, dipinge l'ultimo tratto con cui Maria si congeda dalla Scrittura. Anche qui Maria è in attesa, al piano superiore, insieme con gli apostoli; in attesa dello Spirito (At 1, 13-14); anche qui è in ascolto di lui, in attesa del suo frusciare: prima dei sandali di Giuseppe, adesso dell'ala dello Spirito Santo, profumato di santità e di sogni. Attendeva che sarebbe sceso sugli apostoli, sulla chiesa nascente per indicarle il tracciato della sua missione.
Vedete allora che Maria, nel Vangelo, si presenta come la Vergine dell'attesa e si congeda dalla Scrittura come la Madre dell'attesa: si presenta in attesa di Giuseppe, si congeda in attesa dello Spirito. Vergine in attesa, all'inizio. Madre in attesa, alla fine. E nell'arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l'altra così divina, cento altre attese struggenti. L'attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L'attesa di adempimenti leali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L'attesa del giorno, l'unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L'attesa dell'«ora»: l'unica per la quale non avrebbe saputo frenare l'impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L'attesa dell'ultimo rantolo dell'Unigenito inchiodato sul legno. L'attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia. Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all'infinito.
mons. Tonino Bello, Avvento-Natale. Oltre il futuro, 46-48.
postato sul blog il 19.12.07

lunedì 22 dicembre 2008

Scopri le differenze

Persuasione occulta

Un articolo che non mi convince in tanti passaggi,
ma che ha una buona intuizione di fondo.
"Babbo Natale invece è sinistramente allegro; è persuaso e vuole persuadere gli altri che tutto va bene e andrà sempre meglio; che il nostro mondo, la nostra società, il nostro benessere, il nostro denaro, la nostra democrazia, il nostro teatro quotidiano siano i migliori e gli unici possibili, una crescita destinata ad accrescersi trionfalmente sempre più, una scorpacciata senza limiti garantita da pillole digestive sempre più efficaci, un progresso inarrestabile, uno stadio definitivo e un ordine immutabile, un oggi scambiato per l'eterno. Incubi di pranzi in cui l'obbligato ingozzarsi insinua nell'animo una pesantezza di morte, quintali di biglietti augurali e cassette di vini e di dolciumi che ingombrano la casa dei fortunati destinatari di omaggi con la violenza dell'invasione. Il Natale è la nascita di un bambino, di un salvatore che sarà crocifisso e conoscerà l'estremo abbattimento del Getsemani; la gioia che esso annuncia non è una truffa, perché non nasconde il dolore, il crollo del mondo".
tratto dall'articolo di C. Magris, Babbo Natale falso ottimista, Corriere 24 dicembre 2007

Auguri dalla vita familiare quotidiana

"Avevo una proprietà in Puglia, poi mi sono sposata a sedici anni, ho otto figlie, una di settantadue anni…". "Ho due figli: sono bravi, mi vogliono bene, sono fortunata..." e poi si commuove. "Venga, padre, mi benedica la Madonna…". "Non sto male, prendo mille euro, ma sono sola, i miei figli mi hanno abbandonata…". "Tutti i martedì vado in chiesa alla mattina e con altre signore puliamo la chiesa: le panche, l’altare…". "Mio figlio abita a Pioltello, io lavoravo al palazzo del ghiaccio, sono bisnonna, è bella la chiesa di Pioltello…". "Ma tu sei un Rossi!" – dice esultando, guardando il bambino vicino a me - "sei il figlio di Giovanni: anche tuo padre quand’era piccolo puliva la chiesa con me" e lo riempie di dolci che, associati al Natale che si avvicina, danno un’aria di tradizione e di ricordo dell’infanzia.
Tornando a casa in bicicletta tutti quei volti, quelle parole e quei silenzi mi ritornano in mente. Penso che, di fronte a tutto questo, trattenere qualcosa per me sarebbe non-amore puro.
grazie a A.F.

domenica 21 dicembre 2008

Profezia

Ecco uno scritto del 1992.
Immaginando di scrivere al profeta Samuele,
mons. Tonino Bello azzecca espressioni di sorprendente e sconcertante attualità.

Su questo sconfortante scenario di bassa pressione morale che va prendendo vigore il progetto della "Grande Riforma" e si affievolisce la fiducia nella tenuta degli antichi pilastri costituzionali che hanno finora sorretto la nostra democrazia.
È triste dirlo: ma tanta gente oggi in Italia invoca disperatamente un re che governi. Smania per delegargli gli ultimi spiccioli di un potere della cui valuta pregiata si è lasciato confiscare. Accarezza nostalgie di un capo che sia forte. Che mostri i muscoli. Che decida per tutti. Che abbia il pugno di ferro, insomma. E siccome a coltivare ideali scopertamente monarchici si può essere fraintesi, ecco allora il ripiego sulla repubblica presidenziale.
Intendiamoci, caro Samuele: io non ce l'ho né con i re, né con i titolari di un presidenzialismo sanguigno. Ma mi lascia scettico il pensiero che si voglia porre riparo al nostro malessere nazionale irrobustendo il capo e non, invece, aiutando la crescita della coscienza democratica.
Per arginare i processi degenerativi in atto occorrono, sì, riforme concrete, ma non tali da prosciugare i poteri della base, garantiti dalla Costituzione, e concentrarli al vertice per delirio di potenza.
È sulle nervature periferiche che bisogna investire i capitali del nostro bisogno di cambiamento. È ai capillari estremi del corpo sociale che occorre assicurare un'abbondante irrorazione vascolare, perché i tessuti siano preservati dalla cancrena e si eviti di mandare in circolo emboli funesti.
Più che scommettere sull'uomo del palazzo, perciò, bisogna scommettere sull'uomo della strada, promovendo un massiccio referendum abrogativo del suo vecchio modo di pensare.
Ogni altro espediente istituzionale, che privilegi sofisticate terapie d'urto sul capo e disattenda le cellule marginali dell’organismo popolare, è destinato al fallimento.
Ce l'ha insegnato la tua esperienza, Samuele.
mons. Tonino Bello, Ad Abramo e alla sua discendenza, 94-95

Tramonto dal Seminario

sabato 20 dicembre 2008

Pronomi

Attenti ai pronomi: tra "io" e "voi", meglio il "noi"
di mons. Mario Delpini
Avvenire - Milano 7 - 09.11.08
I pronomi sono paroline birichine. C’è il pronome "io". Se gli dai spazio non ti salvi più. Ci sono quelli che, di qualunque argomento si parli, hanno sempre da dire: «Anch’io ho visto... quando c’ero io .... Se fossi io... date retta a me: io ho studiato... se volete invitare un personaggio, io conosco ...». Al consiglio pastorale, alle riunione della Caritas, sul sagrato dopo la Messa e in ogni altra occasione, l’io invadente continua a proporsi. Forse uno crede di rendersi utile, di contribuire a rompere il ghiaccio, di mettere a disposizione competenza ed esperienza. Il risultato però è che uno rischia di ridurre tutto a sé e si rende insopportabile. Poi c’è il "voi". "Voi" si usa per dichiarare un’estraneità, un dissenso, talvolta addirittura un’ostilità. «Ma voi della curia...?»; «Voi preti...», «Fate presto voi dal pulpito...»; «Voi che abitate in centro che cosa ne sapete...»; «Voi ci avete abbandonato...». Quando uno dice "voi", per lo più, dà per scontato che le tue ragioni non le capisce. Forse anche dichiara che preferisce stare di fronte a protestare piuttosto che mettersi con te e cercare insieme: «Tanto voi che cosa capite?». Attenti ai pronomi. Io avrei più simpatia per il "noi".

Preghiera all'alba al Sacro Monte di Varese




venerdì 19 dicembre 2008

CapaRezza - Il silenzio dei colpevoli

Su mettiti comodo come in un condom, che scorrono momenti lenti più di un Vic20 Commodore, sulla tela la tua vita intera con un prologo: tua madre che apre le gambe dal ginecologo; poi le tasche deserte di un bimbo povero, ma ingordo di scoperte più di Colombo Cristoforo; il tuo primo rimprovero poco dopo, avevi appiccato un fuoco per gioco come un tedoforo. Da quel giorno la tua lingua é in sciopero, hai detto: "No, non coopero". Però io ti ricorderò che sei stato picchiato da quei balordi e sotto i colpi sordi ti sei detto: "Non discuto". Muto, un concorrente a tempo scaduto, abbattuto come un cane da tartufo che ha perduto fiuto; chiederti di raccontare l’accaduto sarebbe come per Cesare chiedere aiuto a Bruto.

Rit:PARLA, LA VERITÀ É LÀ, NON DEVI NEGARLA
PARLA, CHI TAPPA LA FALLA NON RESTA A GALLA
PARLA, DALLA TUA BOCCA LIBERA LA FAVELLA COME UN FARFALLA CHE SI LIBRA DALLA CALLA.
PARLA, I MUTISMI SONO INASCOLTABILI
PARLA, I TIMORI HANNO TIMONI DEBOLI
PARLA, URLA TERMINI INTERMINABILI
PARLA, PERCHÉ IL SILENZIO É DEI COLPEVOLI.

La riconosci quella? É la tua Panda dentro ci sei tu con la coscienza sporca ed un profumo che sa di lavanda; dillo alla fidanzata che ti guarda che c’é un altra che ha la quarta e pratica il tantra. Gli anni ‘90 vanno al rallentatore, un fotogramma infiamma ‘sto proiettore, tuo padre brama un figlio dottore e passi gli anni al Campus come un detenuto a San Vittore. Ammutolendoti credi di restare in piedi, ma non ti chiami Ercolino e quantomeno siedi. Spesso cerchi sieri che offuschino pensieri si, ma non ti eclissi, ti celi dietro veli. Come vedi stenti, ne sprechi di momenti, il silenzio é d’oro e tu lo svendi ai peggior offerenti. Parla fuori dai denti, non ti penti, parla nei parlamenti, mettili sugli attenti. RIT

Fine della proiezione, fatti un’opinione e finirai come i fatti di metadone, il tuo supporto vale molto più di un corto nella rassegna dove regna la rassegnazione. Chi tace soggiace alla volontà del loquace, si beve più cazzate come la guerra di pace, rischi di impazzire più di Aiace. Devi venir fuori dal tuo fondo tipo bronzo di Riace. Invece come una prece ti stai affossando, non favelli come Paggio Fernando distratto da occhi belli. Sembri la principessa Lisa, ma mi sa che non hai cigni per fratelli. Alza il culo e non fare il muto che non sei Charlie, “Stand up for your rights”, come canta Marley. Come il Mosé scateni in me strani tarli, sappi che... ti prendo a martellate se non parli...

Intervento educativo

Una parola sugli autori di questo manifesto:
- non è da uomini non firmare un proprio scritto;
- non è lo strumento adatto affidare il proprio messaggio a volantini appesi alle porte, quasi fossimo per strada o in una dittatura;
- suggerire che per noi insegnanti l'Eucarestia sia quello che è stato descritto in questo testo, significa non aver studiato la teologia che insegnamo nelle nostre aule;
- sarebbe molto debole la considerazione dei "valori della tradizione" se qualcuno li identificasse con pizzi, incensi e affini;
- non è misericordioso non concedere il perdono a chi può essere uscito fuori dalle righe e i processi di piazza non sono i più giusti;
- non è intelligente prendere come paladino chi non ne ha i numeri;
- non è caritatevole trattare così (con sarcasmo, violenza, maldicenza) i propri fratelli di fede e i propri educatori.

Per rilanciare: non può ancora essere presbitero chi - con azioni come queste - dimostra che non sta camminando nella via dell'amore fraterno, nella forma della capacità di condurre nell'unità il popolo di Dio.
don Chisciotte


Analisi e interpretazione

Con l'analisi del fenomeno ci siamo;
la "terapia" è un po' deboluccia.
don Chisciotte
Natale, che stress
Non per tutti le festività sono un momento di gioia. Per alcuni la pausa dal lavoro porta con sé una riflessione sulle aspettative deluse, le ansie e le frustrazioni, la solitudine. Ma bisogna razionalizzare per riprendersi e affrontare con positività il nuovo anno
Strade addobbate e atmosfera di festa. Ed è subito Natale. Ma non per tutti è un momento di gioia, anzi per molti l’attesa festività è accompagnata da una vena di malinconia e tristezza. La depressione natalizia esiste ed è fatta di un senso di vuoto, di pessimismo e causa disturbi dell’umore che coincidono con quelli tipici della depressione clinica.
“Ogni momento di pausa dal lavoro e dalla quotidianità conduce a un momento di riflessione – spiega Silvia Vegetti Finzi, psicoterapeuta docente all'Università di Pavia e scrittrice –. E così, tutte le aspettative deluse, tutte le ansie e lo stress che si accumula durante l'anno trovano spazio nei nostri pensieri proprio durante le feste”.
Le cause e i sintomi della depressione natalizia. La fine dell'anno è il periodo ideale per fare un bilancio. “Proprio in quel momento – continua la Vegetti Finzi -, in una situazione di stasi, viene fuori la nostra vera essenza. Abbiamo sempre un desiderio non realizzato o un dolore legato a un'assenza dolorosa, a un amore che manca, alla morte di un coniuge o di un parente, alla separazione dei genitori. Insomma riemergono tutte quelle situazioni che la fatica e lo stress tendono a esasperare”. E la tristezza che si prova tende a confliggere con l'atmosfera di felicità tipica del Natale che, però, la persona depressa non percepisce. La conseguenza infatti, secondo la psicanalista, è il senso di colpa che non fa che aumentare la malinconia e l'inadeguatezza rispetto agli altri, tanto che si ha perfino difficoltà a stare con la famiglia. “Inoltre la depressione ha conseguenze sull'organismo: mal di testa, disturbi del sonno (o si dorme troppo o pochissimo), difficoltà di concentrazione, agitazione e ansia. Ma anche diminuzione dell'interesse in attività che normalmente portano piacere come: cibo, sesso, lavoro, amici, hobby e divertimenti”.
I soggetti più colpiti. Le persone che soffrono di più lo sbalzo di umore sono gli adolescenti e gli anziani. “Nel caso di un giovane – continua l'esperta – bisogna tener presente che sta vivendo la stagione dei grandi cambiamenti. La tristezza per un rifiuto amoroso o per la separazione dei genitori porta alla mente la stagione della vita in cui il Natale era il momento più atteso, quello in cui non bisognava altro che aspettare i doni”. Anche i nonni soffrono la depressione natalizia. In pochi giorni trovano di nuovo la casa piena di nipoti, di parenti e nel giro di due settimane tutto ritorna com'era. “Un'attenzione particolare la meritano proprio gli anziani – aggiunge la Vegetti Finzi, autrice del volume Nuovi nonni per nuovi nipoti – bisogna cercare di accudirli, di ringraziarli, di farli sentire amati e utili. Specie quando sono soli a causa della morte del coniuge”. Come sopravvivere alla malinconia natalizia. Minimizzare la situazione e le aspettative, valorizzando al massimo la propria situazione. Bisogna difendersi accentuando il razionalismo ma anche condividendo ciò che viviamo con gli altri. “Capire che in fondo la propria situazione è comune anche ad amici e parenti – conclude la Vegetti Finzi – può aiutarci a stare meglio. Non solo, anche dare amore risolleva l'umore. Soltanto amando si riceve amore, anche quando lo vorremmo da chi invece non ci soddisfa”. E così un abbraccio a un nonno, una carezza a un amico, una serata vissuta a ridere e scherzare facendo stare bene gli altri può restituirci la gioia e rende tutti pronti a vivere meglio l'arrivo del nuovo anno. Proprio per questo non è detto che la depressione natalizia sia un male. “Perché superare un momento di tristezza con le proprie forze, può dare quella positività che serve a farci iniziare l'anno che viene al meglio”.

giovedì 18 dicembre 2008

Povere bestie... i padroni


"XXX è un asilo a tutti gli effetti, il primo a Milano, con tanto di educatori professionisti, zona pappa, zona nanna, area giochi, area relax per i massaggi e servizio happening per il compleanno di Fido. Perché con i ritmi frenetici e lo stile di vita moderno dei loro padroni, anche gli amici a quattro zampe soffrono di solitudine, noia e stress. (...) Da XXX i cani vengono trattati come ospiti di tutto rispetto dai sei educatori cinofili che lavorano nella struttura. Vengono accolti in uno spazio di circa 200 metri quadrati, disponibile per massimo 15 o 20 animali e prima del loro primo giorno di scuola, fanno l’inserimento. Non si accettano cani aggressivi o ingestibili, né con problemi sanitari. La giornata dei clienti di questo club esclusivo comincia alle 8, con i giochi di attivazione mentale e attività fisica. Ogni due ore vengono portati fuori per la passeggiata, mentre i pasti sono serviti secondo le indicazioni del padrone (tipologia, marca, quantità e orari). Se hanno sonno possono rilassarsi nell’area riposo, attrezzata con lettini.
Servizi aggiuntivi per gli ospiti
- Presa e consegna: bus dog o taxi dog
- Educazione di Base: metodologia gentile
- Massaggi e reiki: con esperti nel settore
- Attivazione mentale: sviluppa le capacità cognitive del tuo cane ed allenare le sue abilità nel risolvere problemi di crescente difficoltà
- Fotografie e ritratti: fotografi e pittori per un ritratto del tuo cane
- Comportamentalista: se il tuo cane manifesta un problema di comportamento".
grazie a L.M. per la segnalazione

Dimenticanza

Nel nuovo lezionario ambrosiano, ieri è stato letto il Vangelo secondo Luca 1, 1-17; oggi si prosegue con il cap. 1, i versetti dal 19 al 25.
E' stato dimenticato il v. 18: "Zaccaria disse all'angelo: «Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni»".
Una dimenticanza che non fa capire come mai, nella lettura di oggi, l'angelo contesti a Zaccaria di non aver creduto all'annuncio della fecondità del grembo di sua moglie.

Il "castigo-segno" per questa incredulità è - per Zaccaria - il mutismo.
Credo che l'attuale difficoltà della Chiesa a comunicare
(paragonabile ad un muto gesticolare senza parole)
sia interpretabile come dovuto alla stessa dinamica.

don Chisciotte

Società an-estetica

I chirurghi: «Per Natale non regalate interventi estetici alle figlie»
Un fenomeno in crescita in tutta Europa: «Ma prima dei 20 anni almeno il seno non va mai ritoccato». Gli specialisti della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica hanno pubblicato un appello contro l'abitudine, che si sta diffondendo, di regalare interventi estetici correttivi alle figlie adolescenti.
Niente chirurgia al seno come «regalo di Natale». L'appello a non cedere alle richieste di adolescenti insoddisfatte del proprio aspetto arriva dai chirurghi estetici della Sicpre (Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica).
Da qualche anno - sottolinea una nota diffusa dalla Sicpre- sempre più ragazze di età inferiore ai 18-20 anni chiedono ai genitori, come regalo di Natale di compleanno, di promozione un intervento di chirurgia estetica.
Il fenomeno riguarda molti Paesi europei - in Germania 100 mila casi nel 2007 - e anche l'Italia, sebbene non ci siano dati precisi, è coinvolta dal problema. In occasione del periodo natalizio gli specialisti hanno voluto intervenire sul fenomeno sottolineando alcuni aspetti da tenere presente.
«Va fatta una distinzione- precisa la nota- fra inestetismi stabili già durante l'adolescenza e che non possono modificarsi da soli (per esempio orecchie a ventola o naso non bello) e caratteristiche che semplicemente non corrispondono ai canoni di moda, che fra l'altro sono suscettibili ancora di trasformazioni oltre i vent'anni, fra cui il volume del seno e la distribuzione del grasso corporeo. Di conseguenza, è evidente che mentre un intervento estetico come la rinoplastica (correzione del naso) può essere ammissibile e utile anche a 16 anni, per il seno o per le liposuzioni il discorso è molto diverso».
«In particolare, -ricordano i chirurghi- sotto i 20 anni l'aumento di seno non va mai praticato: fino a quell'età sono possibili modificazioni spontanee del suo volume dovute alle variazioni dell'assetto ormonale. Anche la riduzione del seno è sconsigliata nella maggior parte dei casi e può essere ammissibile solo in situazioni estreme. Stessi criteri per la liposuzione. Anche la distribuzione e il volume del grasso sono infatti influenzati dall'assetto ormonale. Intervenire chirurgicamente è giustificato solo in casi gravi».
«La chirurgia», chiarisce il professor Carlo D'Aniello, Presidente della Sicpre, «anche quella estetica, è un atto traumatico e mai privo di rischi, per quanto minimi. Quindi, nel dubbio che un inestetismo possa attenuarsi o addirittura sparire, è saggio aspettare. Tanto più che l'adolescenza è un'età di trasformazioni anche psicologiche, e ciò che appare insopportabile a 15 anni può diventare gradevole a 18 o 19. Inversamente, c'è anche il rischio che una correzione chirurgica eseguita troppo presto diventi sgradita col passare degli anni. Insomma, la chirurgia estetica richiede maturità sia fisica sia psichica». In Germania è in discussione da qualche mese la proposta (della Cdu) di vincolare gli interventi al parere favorevole di due diversi chirurghi plastici, mentre altri dicono che basterebbe obbligare a un periodo di riflessione di 6 settimane tra visita e intervento. La Sicpre non entra nel merito né si augura l'introduzione di norme di legge rigide sull'argomento. Però chiede a tutti i genitori e a tutti i chirurghi italiani di tenere conto responsabilmente di queste raccomandazioni. (...)

mercoledì 17 dicembre 2008

Nostalgie

Nostalgia canaglia
di Massimo Gramellini
Avete fatto caso a quanti telefonini adottano la suoneria dei telefononi che strillavano nei tinelli della seconda metà del Novecento? È l’ultimo segnale di un fenomeno che si acuisce in tempi di crisi: la nostalgia. Per gli stipendi che consentivano a un impiegato di comprarsi la casa senza fare mutui. Per i comici che facevano ridere senza usare parolacce. Per la persona che non sposammo o che sposammo ma non le assomiglia più. Per le fatiche di una vita in salita che era comunque meno stressante di una in discesa verso l’ignoto. Nei sondaggi i tedeschi dell’Est difendono la memoria della Ddr, in realtà la loro giovinezza trascorsa sotto quel regime. Da noi chi vota Veltroni (pochi, ultimamente) rimpiange Berlinguer. Gli altri hanno già rivalutato la Dc e qualcuno anche i socialisti. Ogni aspetto della vita è pervaso da una polvere che deforma i ricordi, ripulendoli dalle scorie per restituirceli nella magia dell’incanto che non furono. Persino il tifo calcistico è una forma di nostalgia: per il te stesso bambino, ancora capace di provare emozioni assolute.
Adesso dalla Gran Bretagna giunge l’immancabile studio scientifico a certificare quel che in fondo sapevamo già: rimpiangere il passato aiuta ad affrontare meglio il presente. Costretti a nuotare in mare aperto, ci appigliamo allo scoglio dei ricordi per trovare un punto di riferimento e il coraggio di dare un senso al panorama. È un piacevole inganno che da generazioni aiuta gli uomini a vivere. Sembra impossibile, ma fra vent’anni i giovani fan di Di Pietro rimpiangeranno Berlusconi (sempre che non sia ancora lì).

Manca solo di citare la nostalgia in ambito ecclesiale...
c'è la nostalgia classica, quella che ha sempre fatto dire ad alcuni: "Prima era meglio... tutto";
c'è quella più costruttiva: "Poco tempo fa avevamo dei padri... che rimpiangiamo".
don Chisciotte

Criteri di scelta

La vita è fatta di scelte. Con criteri.
La scelta delle due letture del nuovo Lezionario ambrosiano per la Messa di oggi
ha dei "criteri" che non sono certo quelli della comprensione
e della partecipazione del popolo di Dio.

Questi i versetti della seconda lettura:
Inizia la lettura del libro di Ester 1, 1a-1r. 1-5. 10a. 11-12; 2, 1-2. 15-18.

martedì 16 dicembre 2008

Epoca di agonia di nomi

Dalla lettera a Giacobbe
Sì, anche noi, come te, stiamo vivendo un momento decisivo.
Quella notte tu lasciavi per sempre la tua terra antica e ti addentravi rischiosamente nel territorio controllato dal fratello-nemico. Stavi facendo, cioè, il passo più drammatico della tua vita: entrare in un continente sconosciuto. Passavi il tuo Rubicone, insomma.
Ed ecco densificarsi, proprio sulla frontiera segnata dal fiume, il cumulo delle incertezze simbolizzato dalla tua lotta con Dio. Che, in fondo, fu una lotta per il nome.
Tu chiedesti il nome tutta la notte al tuo rivale misterioso, dicendogli ogni volta che l'atterravi: Come ti chiami? Ma lui sgusciava alla presa delle mani viscide e, prendendo il sopravvento, ti ripeteva: Perché mi chiedi il nome? La nostra storia, caro Giacobbe, ti rassomiglia tanto. Anche noi stiamo sperimentando l'oscurità del trapasso.
Giunti a una frontiera decisiva della storia, affrontiamo il guado che ci introduce nel terzo millennio e, come te, viviamo il dramma del nome. Le antiche categorie si rimescolano. I vecchi vocaboli non ci bastano più per indicare gli scenari nuovi sulle cui sponde stiamo per approdare. Lo scontro più vero oggi è con l'ineffabile.
Gli schemi concettuali che avevano finora sorretto la nostra comprensione dell'universo si stanno sfaldando, minacciati come sono dall'onda lunga di una realtà inedita. Sensazioni impreviste straripano da tutte le parti, e le parole di un tempo non le contengono più. Le dighe lessicali cedono sotto l'urto di emergenze che irrompono con la furia di un tornado. E noi, a ogni realtà che pure tocchiamo ma che ed slitta dalle mani, continuiamo a chiedere, sotto lo spasimo della lotta, come facesti tu: Qual è il tuo nome?
È proprio vero: la nostra è un'agonia di nomi. È una crisi di vocabolario. I termini non aderiscono più alle cose e scivolano sulla loro pelle.
mons. Tonino bello, Ad Abramo e alla sua discendenza, 36-37