sabato 12 luglio 2008

Giorgio Gaber - L'illogica allegria

"Da solo lungo l'autostrada alle prime luci del mattino. A volte spengo anche la radio e lascio il mio cuore incollato al finestrino. Lo so del mondo e anche del resto lo so che tutto va in rovina ma di mattina quando la gente dorme col suo normale malumore mi può bastare un niente forse un piccolo bagliore un'aria già vissuta un paesaggio o che ne so. E sto bene Io sto bene come uno quando sogna non lo so se mi conviene ma sto bene, che vergogna. Io sto bene proprio ora, proprio qui non è mica colpa mia se mi capita così. È come un'illogica allegria di cui non so il motivo non so che cosa sia. È come se improvvisamente mi fossi preso il diritto di vivere il presente. Io sto bene... Questa illogica allegria proprio ora, proprio qui. Da solo lungo l'autostrada alle prime luci del mattino".

Blog de-iphonizzato

Non sopporto le pazzie collettive, specie quelle indotte!

venerdì 11 luglio 2008

Don't Worry, Be Happy con lo strumento Theremin

Il Theremin è stato inventato intorno al 1919 dal russo Leon Theremin e può essere considerato a tutti gli effetti uno dei primi strumenti musicali completamente elettronici.
L'aspetto che rende veramente singolare questo strumento è il suo funzionamento: si suona senza toccarlo!
E' composto fondamentalmente da due antenne, avvicinando e allontanando la mano da un'antenna, disposta verticalmente, si controlla l'intonazione mentre tramite l'altra, disposta orizzontalmente, si controlla il volume. Le due antenne sono montate su un châssis che contiene la circuitazione elettronica
COME SI SUONA:.
Innanzi tutto va chiarito che esistono essenzialmente due modi di impiego del theremin: come strumento per produrre effetti speciali o, per dirla come Clara Rockmore, come vero strumento musicale per suonare vera musica.
Nel primo caso, essendo totalmente liberi dalle convenzioni musicali, l'uso è indicato per creare atmosfere particolari. Usato in questo modo il Theremin ben si sposa con tutto quello che l'elettronica offre alla musica, ad esempio è molto indicato l'uso di processori di segnali quali riverbero, echo, chorus, flanger ecc. E' chiaro che non avendo costrizioni con le regole musicali questo approccio esecutivo è molto più semplice e permette di dare libero sfogo alla fantasia.
Nel secondo caso, trovandoci di fronte di fatto ad uno strumento musicale, il Theremin può essere utilizzato come qualsiasi altro strumento per eseguire qualsivoglia melodia. Il vantaggio di usare un Theremin è che abbiamo a che fare con un strumento dalle potenzialità espressive enormi, che possiede sonorità molto particolari in grado di dare colorazioni originali alla musica che si sta eseguendo ecc. Il rovescio della medaglia è che è uno strumento difficile da suonare, occorre molta costanza ed esercizio per diventare buoni strumentisti.
E’presente un pulsante che permette le regolazioni di variazione della sensibilità delle antenne in modo da permettere di ottenere una dinamica più o meno estesa nonché di variare l'estensione dello strumento. Sono inoltre presenti delle regolazioni che variano le forme delle onde generatrici consentendo quindi di variare anche notevolmente il timbro dello strumento.

Domande


"Il fatto è che noi preti non siamo stati educati a porre delle domande vere, scomode, o si è provveduto a disabituarci. La discussione franca è ritenuta un esercizio ad alto rischio. Il prete viene visto da molti come un fornitore di risposte, non certo come un suscitatore di interrogativi. Lui stesso si arroga questa parte, anzi si assegna, disinvoltamente, per una specie di deformazione professionale, un duplice ruolo: quello del maestro sapiente che interroga e quello del discepolo che risponde con sicurezza, da primo della classe. Quando butta lì una domanda, si può essere certi che quella domanda contiene già la risposta incorporata. Per lo più si tratta di domande artificiose, fasulle, cui corri­spondono risposte scontate, largamente prevedibili. Falsi problemi con annessa la soluzione prefabbricata che non serve a nessuno".
Alessandro Pronzato, La predica, 46

giovedì 10 luglio 2008

Chiesa responsabile


"Dire che la Chiesa è segno e strumento della piena comunione dell'uomo con Dio e dell'unità di tutto il genere umano significa affermare che essa è segno profetico e strumento di una salvezza cui sono destinati tutti gli uomini. Essa è anticipo sacramentale di una salvezza cui sono chiamati tutti. Ciò significa, allora, che la Chiesa si sa costitutivamente aperta a tutti gli uomini e avverte la responsabilità della salvezza di tutti; e che essa è Chiesa solo nella misura in cui porta, responsabilmente, il destino di tutti e si sente intimamente relata a quei tutti che, attraverso la sua mediazione, sono chiamati alla salvezza.
Non è inopportuno osservare, però, che alla radice dei diversi servizi che la Chiesa sa di dover rendere a tutti gli uomini sta proprio la coscienza di una responsabilità nei confronti di tutti. Non si potrebbe infatti comprendere il motivo dei molti servizi da rendere a tutta l'umanità se non si avvertisse di essere Chiesa "per" e "a favore di" tutti e se non ci si sentisse responsabilmente relati a tutta l'umanità cui è diretto il servizio. Alla radice della stessa missione della Chiesa, a ben vedere, sta dunque questa relazione di responsabilità, questo suo esistere per altri e a servizio di tutti. Infatti, che cosa può motivare in profondità la missione della Chiesa, se non la coscienza di essere responsabile dell'umanità intera e la consapevolezza che la sua identità non è data al margine di coloro a cui si annuncia il Vangelo? L'identità, per la Chiesa, non significa separazione dal mondo e dall'umanità, ma essere introdotti in una relazione di responsabilità, di mediazione, di esistenza in loro favore.
Al tempo stesso, il fatto che la Chiesa esprima se stessa come sacramento universale di salvezza dice la relazione della Chiesa a Cristo, unico autore della salvezza di tutti.
Essa perderebbe la sua identità, cesserebbe di essere Chiesa, se si incrinasse quella sua esistenza in favore del mondo che la lega al resto dell'umanità. Ma anche in questo è inscritta la sua umiltà: la Chiesa è qualcosa di unico e particolare in questo mondo, solo nella misura in cui essa esiste a vantaggio del mondo, solo in quanto è relata a questo mondo; e, d'altro canto, sono proprio questo mondo e questa umanità ciò che Dio desidera salvare. Non solo. L'umiltà è inscritta nelle conseguenze estreme cui può portare questa relazione di responsabilità e questo esistere per altri: fino alla sofferenza per l'altro, fino a patire la libertà dell'altro, anche quando si esprime nel rifiuto o nell'indifferenza. Anche allora non è mai lecito alla Chiesa, se vuole essere fedele a se stessa, interrompere la relazione con il mondo e l'umanità.
Essa non può pensare, vivere, agire senza portare sempre con sé e in sé tutto il mondo e tutta l'umanità a favore di cui essa esiste: anche nell'ora del rifiuto e nel momento umiliante dell'indifferenza".
Roberto Repole, Il pensiero umile, 167-171 passim

mercoledì 9 luglio 2008

"Energia" vera?


Energy drink: l'illusione del «su di giri»
Anche la Francia autorizza le bibite con caffeina e taurina.
Ma tra gli esperti europei è polemica
L'energy drink Red Bull sarà venduto anche in Francia, dopo un divieto durato oltre 10 anni. L'etichetta, però, sconsiglierà il consumo a bambini e donne incinte. La bibita, presente in 150 Paesi, contiene caffeina (quella di un caffè) e taurina, aminoacido di trascurabile importanza se assunto in quantità adeguate. I ragazzi, però, scelgono la bevanda per "mettere le ali", come suggerisce la pubblicità: è ormai abitudine nelle discoteche consumare cocktail di bibita e superalcolici. Secondo una recente indagine negli Usa, per esempio, il 25% dei giovani che beve alcol lo associa a energy drink: la caffeina della bibita tiene svegli e contrasta l'effetto sedativo dell'alcol, mantenendo inalterata l'euforia. Il sapore dolciastro del cocktail inoltre facilita l'assunzione di alcol e non ne fa percepire le reali quantità. Nonostante le apparenze, tuttavia, i riflessi sono rallentati e la coordinazione motoria è ridotta.
Il risultato quindi è un'illusione, tanto falsa quanto pericolosa, di lucidità. «Contrastare la cultura degli energy drink è difficile — spiega Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio nazionale alcol dell'Istituto superiore di sanità — perché la diffusione è capillare. Il principio di precauzione dovrebbe valere anche per le sostanze presenti in queste bevande, ma in Italia le scritte sulla lattina non riportano purtroppo indicazioni o avvertenze. In America e in Inghilterra (l'American Dietetic Association e la UK Food Standards Agency) consigliano di non superare i 300 mg di caffeina in particolare alle donne in gravidanza e mettono in guardia rispetto a possibili problemi di aritmia e tachicardia».
Uno studio, presentato pochi mesi fa al congresso dell'American Heart Association, ha infatti dimostrato un incremento significativo della pressione e del battito cardiaco dopo il consumo di due energy drink al giorno per una settimana. Per questi motivi Paesi come la Norvegia e la Danimarca continuano a vietarne la vendita. (...) L'auspicio degli addetti ai lavori è che venga resa obbligatoria la presenza sulle etichette delle avvertenze e delle modalità d'uso. «Non si tratta di una bevanda qualsiasi, — continua Scafato — il contenuto di caffeina è più del triplo rispetto ad una bibita alla cola. Le altre sostanze presenti, se vengono assunte in quantità eccessive, possono avere effetti negativi su alcune persone. Per questo è necessario indicare le dosi da non superare per uomini, donne e, soprattutto, per i giovanissimi. Sarebbe opportuno sconsigliare la bibita alle persone con rischio cardiovascolare, invitare a non eccedere e, come ha sollecitato dalla Società italiana di alcologia, a non miscelare la bevanda con superalcolici».
http://www.corriere.it/salute/nutrizione/08_giugno_08/energy_drink_28a6a132-3549-11dd-901f-00144f02aabc.shtml

martedì 8 luglio 2008

Bocca e orecchie


"Ciò che viene detto non è mai udito come è detto: una volta persuasi di questo, si può andare in pace sulla parola, senza più alcuna preoccupazione d'essere bene o male intesi, senza nessun'altra preoccupaziole se non quella di mantenere la propria parola più vicina possibile alla vita".
Christian Bobin, Il distacco dal mondo, 37

lunedì 7 luglio 2008

Resistere


"Sulla grande piazza era arrivato un famoso profeta. Pare dicesse cose assai interessanti. Un'occasione da non lasciarsi sfuggire. Di fatto, tutti, dopo essersi passata la voce, accorrevano ad ascoltare. Applaudivano, in preda a un entusiasmo incontenibile e contagioso. Un grosso successo. Era il profeta che ci voleva. Diverso dai soliti predicatori barbogi. Col trascorrere del tempo, però, l'uditorio cominciò a sfoltirsi. Sulla piazza, dove prima tutti sgomitavano per accaparrarsi i primi posti, cominciarono a crearsi dei vuoti abbastanza vistosi e preoccupanti. Qualcuno si stancava, altri si infastidivano. Infatti il profeta diceva verità scomode, che disturbavano. Cose che la gente non amava sentirsi dire. Ci fu chi lo insultò, altri lo derisero. Qualcuno addirittura suggerì di chiamare la polizia. I più, però, se ne andarono in silenzio, delusi. Non era quello il messaggio rassicurante che aspettavano. Logica, quindi, la diserzione. Rimasero in pochi. Ma lui, in mezzo a quella dozzina di ascoltatori distratti, che stavano lì più che altro per convenienza, per abitudine, continuava a gridare, anche se mancavano gli applausi (che lui, del resto, come ogni profeta che si rispetti, non aveva mai cercato né gradito), e ogni tanto, invece, si levavano fischi e voci rabbiose di contestazione. Andò a finire che il profeta rimase solo. Un bottegaio, lì vicino, che tra l'altro aveva visto calare la cifra di affari, uscì fuori e lo interpellò: «Perché ti sgoli inutilmente? Non ti accorgi che tutto è inutile, ormai, la tua missione è fallita, la gente si è stufata di te, non vuole più saperne? A chi parli, povero illuso?». Il profeta rispose, con la massima calma: «Vedi, da principio nutrivo la speranza di poterli cambiare, almeno un po'. Per questo dovevo gridare. Adesso, però, mi sono convinto che devo gridare per impedire che siano loro a cambiare me».
Fin qui la parabola. Giovanni Battista, nel buio della prigione di Macheronte, continuò a urlare anche se non serviva a nulla. Anche se fuori, probabilmente, nessuno sapeva nulla. Lui, certo, non aveva paura che Erode lo cambiasse. Temeva, piuttosto, di cedere alla stanchezza, e quindi lasciar mancare una parola "inutile", ma necessaria. Il pericolo più grave che corre il profeta non è quello di venire "convertito" lui dai suoi ascoltatori (specialmente da quelli assenti), ma di dichiarare, rassegnato: «Non serve a nulla. Cosa ci sto a fare?». Il vero profeta non si preoccupa quando mancano gli ascoltatori. E importante che lui non manchi alla parola".
Alessandro Pronzato, La predica, 63-64

domenica 6 luglio 2008

Che bello vivere insieme!


Da Milano arriva la nuova tendenza.
E' il cohousing: trovare persone affini, per acquistare l'appartamento e creare una comunità.
Grazie al web, al marketing
I vicini di casa ora si scelgono, così la comune torna di moda
di Maurizio Bono
Da settimane ne chattano in internet, su un blog dove ciascuno ha messo la sua foto da solo, in coppia o in tre come Daniela, Eleonora e Francesca, universitarie fuorisede. Clicchi e parte il filmato, stile YouTube. Storie di chi dalla vita quotidiana in città vorrebbe un po' di più, e non si rassegna.
Le studentesse dividono già casa, e si trovano bene, ma fuori la città è difficile, tenere le distanze è un abito, sarebbe bello stare vicino a gente disponibile, come loro, a dare un aiuto agli altri e chiedere aiuto quando serve. Ruggiero invece vive coi suoi e vorrebbe indipendenza, ma anche una specie di famiglia allargata perché fa più allegria. Enrico, film maker, trova che la metropoli frantuma le esperienze, ci vorrebbe più socialità.
La designer la butta un po' sul tecnico e parla degli spazi condivisi come in Olanda, l'insegnante riflette su quanto si spreca se non si mette in comune almeno l'auto, la spesa, anche il bucato, perché no, con quello che inquinano i detersivi.
Si sono ascoltati l'un l'altro in rete, si sono scritti e-mail, poi il gran passo: mercoledì tutti insieme, in un bar accogliente per l'aperitivo e per capire faccia a faccia, Chiara dice "a pelle", se vivere insieme potrà funzionare. Arrivano in 50 e si parla di sala da pranzo collettiva, e biblioteca. Nicoletta, che è col marito Gaetano, esita un po' - è pieno di single - ma quando entra una coppia trentenne che ha un'etichetta discografica di musica elettronica e un bambino nel passeggino, butta lì: che ne dite di un nido? Tutti d'accordo, come sulla spesa grossa da fare in gruppo e forse anche su un orto, ma di questo si riparlerà.
Una volta si chiamava comune, ed era un terno al lotto (chi si ricorda il film olandese Together?). Ora si dice cohousing ed è quasi una scienza: scegliersi "prima" i vicini di casa affini, per mettere su insieme una comunità affiatata, con valori condivisi e comodità che non si possono comprare coi soldi. Come farsi prestare lo zucchero, darsi una mano a tenere a turno bambini la sera, mettere a disposizione l'un l'altro le capacità ("Scusate, ma non ci sarebbe un idraulico?"). O anche solo salutarsi in ascensore.
I ragazzi di "Residance" - si chiama così il cohousing in affitto che se tutto va bene costruiranno in un paio d'anni alla Bovisa, periferia innovativa di Milano - sono la punta d'un iceberg. Di progetti con lo stesso spirito ce ne sono in piedi 7 e il primo sarà finito a marzo (una palazzina in condominio in via Ripamonti, "Cosicoh"). I cohousers variano per età, dai ventenni ai formidabili sessantenni che stanno scegliendosi per andare ad abitare in una villa nel verde vicino a Biella (progetto "Acquarius", hanno l'età per ricordarsi il musical): loro condivideranno un campo di golf lì a due passi, tanti salottini per stare in compagnia, miniappartamenti per stare in libertà e un centro medico perché non si sa mai.
Poi ci sono le famiglie sui 40 e i single per vocazione o di ritorno, che ristrutturano una cascina con filanda nel parco del Ticino (hinterland miracolosamente ancora verde) per usare la corte come ludoteca all'aperto e le cantine per gli acquisti solidali di gruppo. Infine gli ecologisti spinti che sognano (molto concretamente) di abitare un palazzo di cinque piani che ha accanto una gigantesca clessidra di tubi d'acciaio e plastica trasparente, collegata con passerelle coperte a ogni piano. Dentro, coltivazioni idoponiche e in terra di alberi da frutto, verdura e fiori da consumare fresca in piena metropoli. Si chiamerà "Urban farm", il progetto c'è già e l'ha fatto l'architetto Bruno Viganò studiando l'arca che alla Columbia University stanno usando per testare un habitat autosufficiente adatto a Marte.
Milano non è proprio Marte ma può dare gli stessi sintomi: aria poco respirabile e vita sociale a tolleranza zero. Così se chiedi come mai il rinascimento del cohousing oggi sia così massicciamente milanese, ti dicono che qui ce n'è più bisogno, e infatti una ricerca del Politecnico che ha dato inizio a tutto, nel 2005, su 3000 intervistati selezionati per età (media) e cultura (alta) aveva identificato una disponibilità all'impresa di quasi il 50%.
L'altra ragione però è che dietro al movimento delle nuove comuni c'è anche un nuovo stile, che porta l'impronta di una "agenzia per l'innovazione sociale" (Innosence, nata come gestore di fondi etici) e del dipartimento Indaco del Politecnico di Milano (Innovazione per la sostenibilità). Sono loro a fiancheggiare discretamente gli autorganizzati del cohousing fornendo un protocollo apparentemente complicato (dal primo incontro alla carta delle regole di ogni comunità) che finora ha sempre evitato equivoci e liti da comuni d'antan.
Qualcosa, almeno nel caso degli affitti calmierati per Residance, ce lo mette perfino il Comune, anche se quasi nessuno lo sa, la giunta preferisce propagandare la sua faccia feroce dei blitz contro gli immigrati. Ma così piano piano un pezzetto speciale di città si trova, si sceglie e va a vivere insieme. E chissà, anche per la manciata di comuni pioniere sopravvissute e per una dozzina di cohousing solitari potrebbe essere la svolta.
http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/vicini-di-casa/vicini-di-casa/vicini-di-casa.html