venerdì 21 marzo 2008

Lui per noi


Venerdì Santo - Tradimenti

"Come si può tradire Gesù e la Chiesa? Anzitutto in forme clamorose, cambiando cavallo, mutando ideali in maniera totale, lasciandosi irretire dalla mondanità, dal denaro, dall'ambizione, dall'invidia, dalla sensualità. Penso a tutti coloro che, avendo fatto una promessa solenne di vita e di permanenza nel ministero, se ne sono andati, o sbattendo la porta o silenziosamente. (...) Non pochi preti hanno sbagliato discernimento e allora bisogna aiutarli con grande compassione e con molto amore. Non pochi hanno commesso errori dei quali si sono magari pentiti, ma dai quali però derivano conseguenze irreparabili, e anch’essi vanno aiutati. Altri rinnegano, sbagliando discernimento, una vocazione vera e autentica e, prima o poi, si renderanno conto dell'errore, ritrovando un posto nella Chiesa e nella comunità. (...) Occorre comunque distinguere sempre tra un discernimento sbagliato, che poi è stato corretto, e un errore di prospettiva che indica qualche sbaglio globale nell’impostazione dell'esistenza, pur se, col tempo, potrà venire anch'esso corretto dalla misericordia di Dio. (...)
Mi preme qui ricordare piuttosto i tradimenti di un prete che si esprimono anche senza gesti clamorosi, quando ci si mantiene formalmente sul cavallo buono e però si delude una comunità, lasciandola denutrita e triste: essa cerca fuoco e riceve invece un po' di luce al neon; aspetta un nutrimento sostanzioso e riceve panini di plastica; desidera un esempio di vita coraggioso e vede correttezza formale che magari nasconde compromessi; chiede il Vangelo e riceve analisi, orari di gite, programmi; va in cerca di consolazione, incoraggiamento, motivazioni profetiche e riceve lamentele, rimproveri, scatti di cattivo umore. Ha bisogno di compassione e trova distanza, freddezza, funzionarismo; ma la logica del buon funzionario che si attiene al "politically correct" non basta!
Anche senza la portata tragica del tradimento di Giuda, sono molti i modi di tradire la propria comunità che ci saranno in qualche maniera rimproverati nell'ultimo giorno. E dobbiamo esaminarci continuamente, perché il bene di oggi non dura necessariamente anche domani, l'entusiasmo di oggi non è destinato a perseverare di natura sua e va sempre ripreso, col nutrimento quotidiano della Parola e del Pane del Signore.

C.M. Martini, Le tenebre e la luce, 119-12

giovedì 20 marzo 2008

Battesimo di Martina


Oggi l'Arcivescovo in Duomo ha consacrato gli oli sacri.
Tra i fedeli che riceveranno quest'anno le unzioni,
anche MARTINA,
che sarà battezzata la Domenica di Pasqua,
a San Vittore Olona durante la Messa delle ore 18.
Deo gratias! Ecclesia gratias!

Giovedì Santo - Stola e grembiule


In questo giorno che celebra la consegna dell'Eucarestia
nelle mani dei suoi apostoli,
un testo immortale circa il servizio dei sacerdoti,
"immagini" dello stile di Gesù.

STOLA E GREMBIULE

"Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio.Sì, perché, di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Non c’è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa.Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente, non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore per un giovane prete. Eppure è l’unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo.Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale.Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sacrestie con l’aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso e le pianete di camice d’oro, tra i veli omerali di broccato e le stole a lamine d’argento! - continua - il testo completo su:
don Tonino Bello

mercoledì 19 marzo 2008

san Giuseppe, un padre


"Dietro le spalle Giuseppe udì la voce di Ata: - Oh, Giuseppe, rallegrati! Rallegrati molto. E' un maschio. Hai un figlio maschio. E' nato felicemente. E' tanto bello. Tua moglie ti chiama... - Gli era soltanto sembrato che nella parola «moglie» risuonasse una sorta di rispetto straordinario? Entrò di corsa nella grotta. Il focolare continuava a fumare, il fumo continuava a pungere gli occhi. Attraverso il fumo, come attraverso una nebbia, scorse Miriam china sulla mangiatoia. Proprio là, sotto i musi degli animali aveva sistemato il Neonato. Si chinò. Sulla paglia era adagiato un Bambino, un qualsiasi bambino umano. Aveva le palpebre serrate, come se si sforzasse di non guardare, e la boccuccia socchiusa, come se cercasse qualcosa. Non era diverso dai neonati che aveva già visti. Le piccole mani, livide, strette a pugnetto, non si protendevano verso una spada. Era piccolo e debole. Aveva bisogno di cure. Il bue e l'asino osservavano il Bimbo dall'alto con sui musi un'espressione simile a comprensione bonaria. Il cane si protendeva e leccava la manina levata.— GuardaLo, Giuseppe — sussurrò Miriam. — Come è bello.— Bellissimo — pronunciò in un soffio.— Si chiamerà Gesù... Lo permetti, vero?— Si chiamerà come tu vuoi.— Il nostro Gesù — sussurrò —, nostro Figlio... - Giuseppe infilò le mani sotto il Bimbo e Lo sollevò. Era leggero leggero, pareva che non pesasse più degli stracci che lo avvolgevano. L'antica usanza esigeva che il padre sollevasse il figlio e le ponesse sulle sue ginocchia. Lo sguardo sorridente di Miriam esprimeva il suo desiderio. Compì il gesto tradizionale. E mentre guardava l'Infante adagiato sulle sue ginocchia, provò strani sentimenti. Ancora un attimo prima si ribellava quasi contro il Neonato. Adesso provava vergogna di quei pensieri. Non era nato un gigante pronto alla lotta. Fra le mani sentiva il corpicino delicato, fragile. Le manine del Bimbo si agitavano con il movimento vago dei neonati. Ad un tratto aprì gli occhietti serrati. Vide l'iride scura e le cornee azzurrine. Guardò interrogativamente quegli occhi, ma il Bambino, come un qualsiasi neonato, fissava un punto nello spazio. Continuava a muovere la boccuccia. Si alzò nuovamente, lo pose ancora nella mangiatoia. Miriam lo avvolse in un lembo strappato dalla tunica. Non avevano nulla per vestire il Bambino, erano tanto fiduciosi che avrebbero ottenuto tutto dalle mogli dei suoi fratelli! Timidamente, colmo di una nuova tenerezza, toccò il capo di Miriam chino sulla mangiatoia. — Adesso — disse lui — devi riposarti, dormire. Lui vuole dormire. Ata veglierà. E io non mi allontanerò. Sta' tranquilla, non chiuderò occhio. Veglierò. Miriam volse il viso verso di lui, toccò con il dorso della mano la guancia di Giuseppe.— So che veglierai — sussurrò.— Dunque dormi. — Dormirò. — Già accomodava il capo sulla paglia, allorché chiese: — Lo amerai? — Potrei forse non amarLo? — Hai ragione: non potresti. Né tu, né nessuno... Ma tu — toccò col dito il petto di Giuseppe — devi essere il padre. È il nostro Gesù... Sorrise ancora una volta, e poi chiuse gli occhi. Dopo un attimo dormiva. Giuseppe sedette presso la mangiatoia. Con il capo appoggiato alla mano osservava il Bimbo dormiente. Il fumo continuava a pungere gli occhi. Il cane si era accucciato vicino ai suoi piedi. Nel silenzio si sentiva il respiro delle persone e degli animali. Di tanto in tanto il fuoco scoppiettava".

Jan Dobraczynski, L'ombra del padre. Il romanzo di Giuseppe, 206-207

Mercoledì Santo - Amore impari


"Se l'amore non può essere paritario,
che io sia quello che ama di più".

Whystan Auden

martedì 18 marzo 2008

L'eccesso di Gesù e l'eccesso del discepolo


Dall'eccedenza, che è la sua vita, il suo dare la vita per amore,
Gesù trae anche la regola nostra, la regola del cristiano.
...

Dunque gli uomini pensano secondo misura,
Dio pensa secondo eccedenza.
...

Mentre un'antropologia puramente della proporzione, dell'equilibrio, tenderebbe a intendere maturazione come armonico assestamento dei diversi piani, una vera antropologia cristiana richiede un al di là, un andare oltre.

C. M. Martini, Le tenebre e la luce, 154-158

Martedì Santo - 'A livella

lunedì 17 marzo 2008

St. Patrick Day



Lunedì Santo - Fame


"Il sazio non crede al digiuno, ripeteva mio padre il detto antico. Noi pasciuti del mondo conosciamo la scienza dell'alimentazione, ma del cibo non sappiamo più niente. Chi non sa la fame, non sa il cibo. Fame non è vuoto allo stomaco, non è acquolina in bocca né appetito. Fame è un pieno di sensi e di pensieri accampati intorno a un centro. Fame è vergogna di provarla. Fame è la più offensiva delle mancanze. Fame è il cielo chiuso sulla testa come un coperchio di rame, è il suolo serrato a pugno sotto i piedi. Fame è la stanza in cui i vecchi sono guardati storto per il cucchiaio di niente che portano alla bocca. Fame è Gerusalemme sotto assedio e dentro di lei gli affamati che dicono: "Questa città è la pentola e noi siamo la carne". Fame è nutrirsi solamente in sogno, disgusto di svegliarsi. Fame è sapere che ogni cibo, anche quello acquistato, è dono.
La benedizione ebraica a fine pasto ringrazia Dio: "sheacàlnu mishellò", perché abbiamo mangiato da ciò che è suo. Il pane fresco sulla tavola ha viaggiato migliaia di miglia e di anni per arrivare. Innumerevoli generazioni di contadini hanno selezionato spighe, frantumato chicchi, mescolandoli all'acqua, con lievito e fuoco di fornace per tramandarci pane. È dono di umanità a se stessa, fatto di cielo, terra, acqua e fuoco, è manna. Noi mastichiamo manna come quella assegnata nel deserto, ma non in parti uguali".

Erri De Luca, Alzaia, 48