mercoledì 31 dicembre 2008

Stile e sostanza

Non ce l'ho col ministro.
Non considero questo l'argomento più importante del giorno.
Non voglio avere come ministri solo "uomini di facciata".
Però credo che l'articolo voglia colpire una mancanza di stile,
una mancanza di rispetto del dolore e delle istituzioni,
che notiamo a tanti livelli.
don Chisciotte

Quando il politico è in vacanza (in tuta). Consigli per un guardaroba (doppio)
Lettera aperta al ministro Frattini: «Chieda in prestito a Chantal un po' di cipria per smorzare l'abbronzatura»
di Lina Sotis
Caro ministro, perché un bel signore dall'aria avvenente ed elegante come lei, con un perfetto phisique du role per fare il ministro degli Esteri si ostina a danneggiare la sua immagine? So che le ferie sono un diritto. Anche per un rappresentante del governo. Anche quando nel mondo scoppiano guerre e crisi terribili. Va bene. Ma dato che la diplomazia mondiale non riesce a rispettare i suoi tempi di vacanza, le vorrei dare qualche consiglio per attrezzarsi alle emergenze. Non è difficile, basta saper fare le valigie.
Prendiamo il caso della Georgia. Durante la crisi con la Russia, in un momento così delicato e difficile per i ministri degli Esteri di tutti i Paesi del mondo, lei si è fatto sorprendere in mutande da bagno alle Maldive. Non si è immediatamente infilato dei pantaloni ed è corso con il primo aereo alla Farnesina perché l'Italia potesse dire la sua, ma si è limitato a cambiare costume da bagno e, fra una nuotata e l'altra, ha lavorato, pare, in conference call. L'evento imponeva di scegliere dalla valigia un completo giacca-pantaloni non troppo estivo e non troppo chiaro, abbinarlo con camicia e cravatta, mettersi alle spalle una bella carta geografica con Russia e Georgia in evidenza e, in piedi accanto alla carta, spiegare scenari e mosse diplomatiche dell'Italia.
Veniamo a Gaza. Dal suo chalet di montagna intutato, sponsorizzato, abbronzato e dichiaratamente in vacanza lei si è limitato a fare un commento per i telespettatori. Le vacanze natalizie, si sa, sono sacre. Ma bastavano solo due minuti per togliere la tuta con marchio, indossare camicia, cardigan scuro e allontanarsi dalle travi di legno della baita, farsi prestare una bella scrivania e piazzarci sopra un mappamondo. E, magari, chiedere anche in prestito a Chantal, la sua compagna, un po' di cipria per smorzare l'abbronzatura. Troppo sole fa male, non è elegante e non trasmette sicurezza a meno che uno non faccia il ministro del Turismo. Lei che ha il phisique du role che tanti suoi colleghi di governo le invidiano, nel 2009 non ci deluda. Visto che ha la responsabilità degli Esteri abbia sempre pronta una faccia da estero-dramma; dato che parla di cose importanti e drammatiche quando parte porti sempre dietro due guardaroba, uno per le vacanze e uno per lavoro.
Quando comunica agli italiani esibisca quello professionale, si faccia vedere consapevole anche nel vestire delle parole che sta dicendo. Basta poco, in fondo. (...)

Sommersi dai bip

Sommersi da milioni di sms. Due miliardi per gli auguri
Oltre il 20% in più del 2007, 40 per ogni italiano. E solo gli inglesi ci battono
di Ettore Livini
(...) Al giro di boa del millennio - tra il 25 dicembre '99 e il primo gennaio 2000 - ne erano partiti 100 milioni. Sembravano tantissimi. Quest'anno solo tra vigilia e giorno di Natale sono stati quasi un miliardo, il 20% in più del 2007.
Uno tsunami di baci e abbracci virtuali destinato ad andare in replica alla mezzanotte (...) quando, tra zamponi e lenticchie, la contabilità delle affettuosità telefoniche - secondo le stime dei gestori nazionali - dovrebbe aggiungere un altro miliardo di sms portando verso il record dei 2 miliardi il totale in questi giorni di vacanza, una quarantina a italiano.
(...) Nel 2008, secondo la società di ricerca Gartner, sono stati spediti 2.300 miliardi di sms, il 19,6% in più dell'anno precedente e 150 volte i 17 miliardi del 2000. In Italia siamo a quota 29,3 miliardi e viaggiamo a una media di 1,4 a testa ogni giorno, lontanissimi dai fenomeni filippini (che ne digitano 15) ma secondi in Europa solo agli inglesi.
Cifre che si traducono in una pioggia d'oro - 60 miliardi l'anno il giro d'affari mondiale - per i gestori. Il motivo? Semplice, gli sms sono di gran lunga uno dei servizi più redditizi nel mondo della telefonia. Le cifre parlano chiaro: un messaggio può essere lungo un massimo di 160 caratteri, pari a 140 byte di spazio. In un kilobyte (prezzo di mercato circa 6 centesimi) ci stanno - anche aggiungendo un po' di spazio per formattazione e spedizione - sei testi. Il prezzo industriale, quindi, è attorno al centesimo mentre quello medio di vendita ai clienti di carte prepagate in Europa è di 7,5 centesimi (13 in Italia, siamo i più cari). Su 7.500 euro incassati dal gestore, insomma, ben 6.500 sono di profitto. Un margine da capogiro che ai colossi della telefonia mobile Usa è costato una class action da parte dei consumatori.
(...) In 16 anni di vita hanno cambiato le abitudini del mondo. Via sms ci si fidanza, si scoprono i tradimenti e alla fine ci si lascia (...). Il tempo ha sbriciolato anche le barriere generazionali: i ragazzi tra i 6 e i 19 anni (l'80% di loro ha almeno un telefonino) restano gli utenti più compulsivi con una media di cinque "invia" al giorno. I loro nonni però stanno recuperando il tempo perduto visto che in cinque anni il numero di ultra65enni che messaggia abitualmente è cresciuto del 33%. Qualcuno - soprattutto tra i giovanissimi - ne abusa. L'American Journal of Psychiatry ha ufficializzato sei mesi fa la nascita della dipendenza dai messaggini (sintomi l'apatia sociale e l'ansia quando si è senza cellulare), misurando stati di assuefazione agli sms superiori a quelli della nicotina. Le sale d'attesa degli ortopedici in tutto il mondo si sono riempite di pazienti affetti dalla neonata "Blackberry thumb", una tendinite che colpisce i pollici dei 40-50enni costretti - dopo anni d'ozio - a una compulsiva ginnastica messaggistica.
La lista delle patologie indirette è ancora più lunga. Se parlare al cellulare mentre si guida è pericoloso, leggere (e soprattutto digitare) un testo è un esercizio al limite del masochismo. Il Rac, l'Automobil club inglese, ha calcolato che la velocità di reazione dell'autista impegnato a pigiare i tasti del suo telefonino si riduce del 35%, più di chi ha fumato marijuana (21%) e persino di chi ha nel sangue una percentuale dello 0,8% di alcol (12%). Il vizio, tra l'altro, è piuttosto diffuso: il 70% degli americani, secondo Osterman Research, non rinuncia a mandare sms nemmeno mentre sta viaggiando in auto. (...). L'ultimo ingresso nell'enciclopedia medica del settore è però il nuovissimo "Sms walking", un fenomeno che solo nel 2007 in Gran Bretagna ha causato 68 mila feriti. Le vittime in questo caso sono i pedoni troppo concentrati nell'invio della loro corrispondenza telefonica per evitare ostacoli improvvisi lungo il percorso (cassonetti, auto in sosta, pali della luce, tombini aperti) o per accorgersi, capita anche a loro, di un semaforo rosso. A Londra i tecnici del Comune hanno addirittura avviato in alcune zone un servizio sperimentale di imbottitura dei lampioni con materassini morbidi, coadiuvato dal disegno di una linea continua a terra per segnalare i pericoli anche a chi - in trance da sms - cammina guardando solo verso il basso. (...)
Gli gnomi della pubblicità, com'era prevedibile, non si sono lasciati sfuggire un canale di comunicazione così importante e trasversale: solo in Italia nel 2007 sono stati spediti un miliardo di testi promozionali via telefono con un giro d'affari di 67 milioni, in aumento del 24% sull'anno precedente. La semplicità d'uso e di contabilizzazione ne ha fatto anche il canale privilegiato della raccolta di fondi per beneficenza, consentendo tra l'altro di raggiungere fasce di donatori che prima, scottati dalle difficoltà burocratiche e dai tempi lunghi, non avevano mai partecipato a iniziative di questo tipo: i bip-bip solidali hanno consentito l'anno scorso di raccogliere per buone cause 21,6 milioni di euro. La sms-mania, e non poteva essere altrimenti, ha contagiato anche l'uomo dell'anno del 2008, Barack Obama. (...) In termini di capillarità d'esecuzione e di costi, però, il risultato si ribalta: un voto costa 1,5 dollari con gli sms, 38 al telefono e 16 con la visita di persona a casa. (...)

Placebo per la solitudine

Sms, placebo da 160 caratteri per la nostra solitudine
di Gabriele Romagnoli
Senza Motivazioni Sacre. Non ci sarebbe stato bisogno del Natale per accorgersi che la comunicazione tramite invio di brevi messaggi al cellulare ha raggiunto vette celestiali. Sono Malattie Sociali, contagi diffusi in tutte le regioni del pianeta.
Indipendentemente dalle condizioni di vita, nella scala delle necessità vere o immaginarie l'acquisto del pane può venire dopo la trasmissione di un "Come va?".
L'sms, più dell'e-mail, ha cambiato il mondo, devastandolo e salvandolo, svelandocelo e lasciandolo uguale a prima. Questo è l'elenco SeMiSerio delle sette principali conseguenze del suo utilizzo.
1. Ha creato e distrutto la maggior parte delle relazioni sentimentali (o qualcosa che loro assomiglia) attualmente esistenti. Senza la possibilità del ricorso all'sms molti corteggiamenti non sarebbero iniziati. Non ne sarebbero seguiti matrimoni o matrimoni spezzati. Un sms scappa anche al più timido, anestetizza la reazione, non espone al ridicolo. Mal che vada, va a finir bene. E qualcosa comincia. O finisce, perché la maggioranza dei tradimenti viene scoperta leggendo un sms altrui. Non ci vorrebbe molto a cancellare tutti quelli che si ricevono, ma è noto che la maggior parte delle azioni si compiono per renderle note e l'sms è non solo la comunicazione più veloce, ma anche la scorciatoia per la fine, il modo per farlo dire a chi non ne è capace. In definitiva, tra unioni che procaccia e altre che disfa, la somma algebrica resta zero.
2. Ha distrutto l'informazione creandone la forma più sintetica, esplosiva e ferale: il twitter, il figlio scemo del blog che già di suo non sempre era un genio. Centosessanta caratteri che vanno online e diventano notizia in tempo reale sono l'ultima frontiera, quella al confine del precipizio, dove nessuno più controlla niente, nessuno elabora niente, tutti sono autori e fruitori e nessuno ha il tempo e lo spazio per fare decentemente l'una o l'altra cosa.
3. Ha sdoganato la via brevis dell'ortografia. Per scritto X. Ch scritto K. Auguri alle maestre, che ci provino a correggere un bambino di 7 anni che scrive "anke". Mostrerà un sms del padre avvocato: "Xkè nn 6 qui?". Tutte le rivoluzioni finiscono così: dai muri di "Kossiga" allo schermo di "Albakiara". Ogni tragedia degenera nel ridicolo che già conteneva.
4. Consente alle coppie vip che un tempo si lasciavano con un fax di risparmiare carta, riducendo la quantità di materia da riciclare
5. Fornisce materiale pregiato alle intercettazioni. Digitando, molto più che parlando, il gap tra persone comuni e presunte personalità straordinarie si abbassa. In attesa della morte la nuova "livella" sociale è l'sms. Anke un bankiere invia caski di banalità. :-)
6. Permette di stabilire chi è la persona più popolare su un aereo. All'atterraggio, non appena i cellulari si riattivano, è quello dalla cui tasca parte il numero più alto di bip, accolti con fasulla irritazione e malcelata soddisfazione.
7. È il placebo alla incurabile solitudine della razza umana. Da Tbilisi a Maputo, da Pechino a Rejkyavik per un anno, dovunque mi trovassi ho scattato immagini di persone sole, sedute sui gradini di una chiesa, nella hall deserta di un aeroporto, in una nicchia della notte, la schiena a un muro, a un bagaglio o a una quinta dell'oscurità. Avevano lo sguardo fisso davanti a sé, una riflesso di luce azzurrina ne illuminava i volti, cercavano con l'impegno di ingannare il fantasma della desolazione, di respingere l'idea che nessuno fosse al loro fianco, nessuno in ascolto. E lo facevano scorrendo quell'ultimo patrimonio che è la rubrica, trovando infine un nome a cui lanciare l'invocazione sotto forma di comunicazione e scrivendo, come se fosse un sos, un sms. Che cosa ne ho fatto di quella ventina di scatti globali? Una notte che ero solo a New York li ho spediti per mms a qualcuno che non era al mio fianco, che non era in ascolto. Manco Mi Scrisse.

martedì 30 dicembre 2008

Ben ci sta!



Se questa è la celebrazione del sacramento del matrimonio cristiano...
"Non è colpa di nessuno", si dirà.


La medaglia d'argento dei pesi massimi di pugilato alle Olimpiadi di Pechino, Clemente Russo ha sposato la judoka Laura Maddaloni, sorella di Pino Maddaloni. La cerimonia si è tenuta nell'Abbazia di San Gennaro a Ferrari di Cervinara (Av). Gli abiti degli sposi sono stati disegnati da Gianni Molaro, artista-stilista napoletano. Tra i testimoni il fratello della sposa, Pino Maddaloni, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Sidney del 2000. Clemente Russo ha fortemente voluto che fosse il poliedrico artista Molaro, a firmare gli abiti da indossare in quello che ha definito «il giorno più importante della mia vita». Alla vigilia aveva annunciato agli amici: «Sarò un raggio di sole dipinto da Gianni». Lo stilista Gianni Molaro alla vigilia aveva detto: «Clemente? Sarà un vero dandy inglese. Credo che in questo momento di crisi economica internazionale, la creatività ed i sogni possano aiutarci. Sicuramente sarà un matrimonio all'insegna della luminosità ed energia».

Storia animata dei Tre Magi... e della Buona Notizia!

Paternità e maternità responsabili

L'alba del genitore
di Massimo Gramellini
Trecento genitori in coda di prima mattina davanti all’ospedale di Civitavecchia per scoprire se fra i morti dell’ennesima ecatombe notturna ci fosse anche il loro figliolo. Sono l’avamposto di un esercito dell’ansia che annovera centinaia di migliaia di soldati, madri e padri che passano le notti in bianco nell’attesa di un ritorno che le leggi del turbo-consumismo, il quale ci pretende spendaccioni ben oltre l’orario di chiusura dei negozi, hanno spostato negli anni sempre più in là, fino a farlo coincidere con l’alba.
Ai miei tempi (espressione orribile) si entrava in discoteca alle undici e si usciva intorno alle due, riguadagnando la tana in punta di piedi, ma mai abbastanza perché nella stanza di papà non si accendesse e spegnesse la luce: il suo segnale per farti capire che aveva guardato l’orologio, perciò il giorno dopo non avresti potuto turlupinarlo sostenendo che eri rincasato a mezzanotte. Oggi i ragazzi escono all’ora in cui noi rientravamo e impedirglielo significa fronteggiare da soli un’ondata di piena, rappresentata dall’abitudine di una collettività intera. Educare un figlio all’anticonformismo è una contraddizione in termini e un dispendio enorme di tempo e fatica: bisogna motivare il rifiuto e avere la forza di difenderlo. Così molti genitori si riducono a non dormire la notte, riproducendo ironicamente la situazione di quando il pupo era in fasce. L’alba era un mito per noi che la aspettavamo svegli solo a Ferragosto e a Capodanno. Mi chiedo cosa rappresenti ancora per questi ragazzi, per i quali è Capodanno tutto l’anno e quindi non lo è mai.

lunedì 29 dicembre 2008

Sospetti e certezze

Inchiostro simpatico
di Massimo Gramellini
Fino all’altra sera avevo il sospetto che l’Italia fosse nelle mani di una classe dirigente superficiale e furbastra, simpaticamente ispirata alla famiglia Cesaroni. Ma poi ho visto la puntata di «Report» in cui Colaninno, messo all’angolo da quella judoka della notizia che è Milena Gabanelli, cercava fra i papiri del suo ufficio la clausola statutaria che dovrebbe impedirgli di vendere entro cinque anni l’Alitalia. Cercava e non trovava, lo Steward Maximo, ma ci rideva sopra. Si sa come sono le clausole, specie quelle cresciute nel microclima peninsulare: animaletti infingardi che si nutrono di inchiostro simpatico e il mercoledì si intrufolano fra le pieghe di una legge per amore dei manager («Tanzi, io ti salverò!») e la domenica scappano a gambe levate dagli statuti delle compagnie aeree. Sempre all’insaputa dei legittimi proprietari, naturalmente. E confidando nel disinteresse ostentato dell’opposizione, che non ha tempo per inseguire le clausole, dovendo occuparsi di cose molto più importanti, delle quali ci verrà fornito un elenco appena possibile, cioè mai.
Sì, fino all’altra sera avevo il sospetto che l’Italia fosse nelle mani ecc. ecc., ma adesso non l’ho più, perché il sospetto è diventato certezza. Viviamo momenti in cui uno guarda gli esempi che gli arrivano dall’alto e, per quanto si sforzi di imitarli, non riesce a essere altrettanto approssimativo e cialtrone.

Amicizia

Amico: perché sei il legame che unisce, ma non imprigiona.
Amico: perché sei la stella che guida, ma non abbaglia.
Amico: perché sei l'albero che abbraccia, ma non stringe.
Amico: perché sei la brezza che placa, ma non addormenta.
Amico: perché sei sguardo che scruta, ma non giudica.
Amico: perché sei parola che previene, ma non tormenta.
Amico: perché sei fratello che corregge, ma non umilia.
Amico: perché sei un mantello che copre, ma non soffoca.
Amico: perché sei lima che affina, ma non scortica.
Amico: perché sei la mano che accompagna, ma non sforza.
Amico: perché sei il cuore che ama, ma non esige.
Amico: perché sei la tenerezza che protegge, ma non assoggetta.
Amico: perché sei immagine di Dio, appunto per questo.
E. Oshiro
postato sul blog il 26.12.2007

domenica 28 dicembre 2008

Mestiere?

"Quel giorno in cui questo lavoro smetterà di tormentarti l'anima e di farti venire fredde le mani, forse sarà ora di cambiare mestiere".
Jason Gideon
postato sul blog il 19.11.2007

Non "martiri", non "innocenti"

Griffati ma senza famiglia
di Lorenzo Mondo
Danno fuoco a un barbone, per divertimento, e si scopre che sono ragazzi di buona famiglia. Approfittano d’un corteo di protesta per sfasciare vetrine e saccheggiare negozi. E si scopre che sono ragazzi di buona famiglia. Investono con l’auto un disgraziato sulle strisce pedonali e lo lasciano morire senza soccorrerlo. E si scopre che sono ragazzi di buona famiglia... I luoghi comuni non attentano soltanto alla qualità della scrittura ma anche alla verità. La definizione esprime intanto, in molti casi, un riguardo che non esiterei a definire classista. Perché viene riferita ai figli di professionisti o di gente facoltosa, che occupa buone posizioni nella società. Gli altri vengono per lo più designati come incensurati, come soggetti senza precedenti penali.
Arrivando alla sostanza del problema, quante buone famiglie si accreditano come tali per avere accondisceso a tutti i desideri dei loro rampolli, dotandoli di ogni possibile aggeggio elettronico, vestendoli di scarpe e giubbotti griffati, pascendoli di stadi e discoteche. Senza preoccuparsi del vuoto mentale, e morale, che li pervade. Incapaci di educarli al rispetto di sé e degli altri, tendono perfino a giustificarli e a proteggerli quando si comportano male. Esistono situazioni di speciale disagio giovanile davanti alle quali si può soltanto tacere, e compatire. Esiste una pressione sociale che, forzando le barriere del contesto familiare, influisce negativamente sulle persone più fragili. Ma in troppi casi l’espressione «buona famiglia» avrebbe senso soltanto se fosse usata come un eufemismo (in analogia con il termine buonadonna) e dovrebbe essere sostituita semmai da un «senza famiglia»: una dizione più veritiera e alla fine più comprensiva per i devianti. Mi ha colpito come una sferzata l’osservazione di una madre in difesa della figlia, che aveva partecipato con una banda di coetanei ubriachi alla distruzione dei vetri e degli arredi d’una stazione ferroviaria. Un episodio tutto sommato minore. Sennonché, pur esprimendo rincrescimento per l’accaduto, la signora, quasi a tagliar corto, se ne è uscita con una frase di troppo: «In fondo non ha ucciso nessuno». Veniva la voglia di risponderle, incrociando le dita: «Speriamo che non accada la prossima volta».