venerdì 14 marzo 2008

"Mi mostro, quindi esisto"


Tutto pur di mettersi in mostra. E lo sballo diventa anche un videoclip
«La canna? Me la faccio su YouTube»
I giovani d'oggi e la droga, tutto condiviso sul web:
dalle istruzioni per l'uso al record di sniffata

MILANO – La droga non è più un argomento proibito. Il tabù è stato abbattuto da tempo e tra le nuove generazioni il fenomeno sembra essere stato addirittura svuotato di tutti i suoi significati negativi. Al punto che con la droga oggi ci si può pure fare belli. E nell'epoca della multimedialità i teenager considerano la rete l'elemento naturale in cui muoversi, la nuova vetrina in cui mettersi in mostra e dire: «io esisto». Ma non ci sono solo giovani. C'è di tutto. E sembrano davvero lontanissimi i tempi dei tossicomani alla Cristiana F. di «Noi i ragazzi dello Zoo di Berlino», con il laccio al braccio e l'icona di David Bowie. O i romanzi di Pier Vittorio Tondelli che alla fine degli anni Ottanta aveva affrontato il tema della droga nella provincia emiliana rifiutando la morale borghese.
IL NUOVO LINGUAGGIO – L'avvento di Internet, la possibilità di chattare e di entrare in contatto con gli altri con tutte le piattaforme disponibili, la creazione di profili per incontrare nuovi amici virtuali o reali, ha favorito l'esibizionismo telematico e i video amatoriali sono il biglietto da visita per esporsi senza pudore e creare una community che commenti le proprie «performance». Senza freni inibitori, nella rete si può trovare qualunque cosa: basta rifarsi al gergo universale del mondo giovanile e la chiave di accesso è praticamente immediata.
DROGA ONLINE – La rete è un contenitore infinito e borderline. I principali autori dei video sono giovani e spesso studenti che amano produrre filmati con la droga come protagonista. Per farsi conoscere. Per stabilire dei primati. Per identificarsi in un linguaggio collettivo senza dover provare alcun timore. (...)
E' CULT SNIFFARE IN RETE – Molto diffusi anche i video in cui si riprende l'atto dello sniffare. Sono sospesi tra lo scherzo e la «bravata» e le «piste» che si vedono nei filmati non sono quasi mai di vera cocaina. Ma è l'idea che chi più sniffa più è «cool» a spingere molti nelle loro performance davanti alla videocamera o al videofonino. (...)
Scriveva Dacia Maraini in una poesia: «Il pudore sociale che tu credi naturale, sta rinchiuso come il tuorlo». Magari, la frittata è fatta.

Ricordando Chiara Lubich


Roma 14 marzo 2008
Chiara Lubich, fondatrice e presidente dei Focolarini, e' morta

Fondatrice del Movimento dei Focolari, nato in tempo di guerra e che in poco più di 60 anni ha raggiunto una diffusione mondiale in 182 Paesi.


"Il reciproco servizio, l'amore vicendevole che Gesù insegna con questo gesto sconcertante, è dunque una delle beatitudini insegnate da Gesù. L'evangelista Giovanni ricorda due beatitudini: quella della fede, per la quale chiama beati quelli che credono senza vedere (Gv 20), e quella dell'amore, per la quale sono beati coloro che si amano a vicenda (Gv 13). La Parola di Vita ci invita a godere di questa seconda beatitudine, che si raggiunge comprendendo l'insegnamento di Gesù e mettendolo in pratica. «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». Lavare i piedi... Non c'è dubbio: questo gesto di Gesù è un'illustrazione chiara, concreta ed efficace del comando dell'amore; Gesù vuoi dare ai suoi discepoli un insegnamento di quell'umiltà che è base dell'amore. (…) Gesù, lavando i piedi agli apostoli, diviene l'immagine e la trasparenza del Padre; dice chi è Dio: Dio è amore.«Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». Gesù compie un servizio che, in quell'epoca, esercitavano gli schiavi: lavare i piedi ai padroni, o a cittadini liberi. Con questo suo atteggiamento, egli, Signore e Maestro, mostra chiaramente che non è venuto per essere servito, ma per servire. La lavanda dei piedi, infatti, non è per lui un atto isolato di amore e di umiltà, ma il simbolo di tutta la sua condotta, del suo amore che arriva fino al dono della vita. «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». Proprio perché Gesù è il Signore e il Maestro, il suo esempio diventa norma per i suoi. La comunità cristiana, e quindi ognuno di noi, è invitata a farne la regola d'oro della propria vita. Gesù, poco dopo, lo esprimerà come legge fondamentale della Chiesa: il discepolo deve amare i suoi fratelli come lui stesso ci ha amati (…). Come attualizzare allora questa parola? (…) Imitare Gesù significa comprendere che noi cristiani abbiamo senso se viviamo «per» gli altri, se concepiamo la nostra esistenza come un servizio ai fratelli, se impostiamo tutta la nostra vita su questa base. Allora avremo realizzato ciò che a Gesù sta più a cuore. Avremo centrato il vangelo. Saremo veramente beati".

Chiara Lubich

giovedì 13 marzo 2008

Vergogna a scuola!

Altro che studenti rimbambiti:
qui il problema è che non si sa cosa voglia dire EDUCARE!
Vergognoso!

http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=18339

Un autentico elogio


"Lo stesso si poteva dire anche nella voce e nel suo modo di parlare: quando lo vedevi ti veniva sempre in bocca una parola shakespeariana (di Amleto su Ofelia): aveva una voce tenera, calma, un grande fascino (non solo sulle donne, ma in certi casi anche sugli uomini). Tuttavia in questa voce risuonava la durezza del metallo, quando era necessario. In genere, l'impressione fondamentale che dava padre Pavel era quella di forza, che conosce se stessa e che si domina. E questa forza era anche un qualche carattere primordiale della personalità geniale, a cui era data originalità e autosufficienza, insieme ad un'assoluta semplicità, ad una naturalezza e ad una mancanza assoluta di qualsiasi posa interiore ed esteriore, che è sempre la pretesa di una debolezza interna".

S.N. Bulgakov, in memoria di P.A. Florenskij

Coca quotidiana


6/3/2008 - INCHIESTA/1. FENOMENO IN FORTISSIMA CRESCITA

Coca da pazzi. I consumatori in città sfiorano i 10 mila.
“Sono operai, studenti e top manager”

di MASSIMO NUMA e GRAZIA LONGO
TORINO - Semplice: un quarto della cocaina che entra in Europa passa da Anversa o da Bruxelles. Il rapporto dell’International Narcotics Control Strategy è chiaro: circa 60 tonnellate di cocaina e 30 di eroina entra nel paese ogni anno dal porto di Anversa e dall’aeroporto di Zaventem-Bruxelles. Un fiume di coca che fa dell’Italia un terminale importante, di primo piano. Comandano le ‘ndrine calabresi e il racket africano.
Mète finali, Milano e Torino. Ancora: Roberto Mollica, responsabile dell’Osservatorio dipartimento dipendenze patologiche Asl di Milano, non ha dubbi. Ha terminato uno studio sui dati nazionali. Morale: Nel 2010 i consumatori di cocaina potrebbero aumentare ancora del 40 per cento, rispetto al 2007. Quanti? Tra 800 mila e 1 milione e 100 mila, il 3 per cento degli italiani. Queste sono le premesse. A Torino, c’è ancora una certa cautela a individuare, in un numero preciso, i consumatori abituali. Ma sommando i dati dei denunciati, degli arrestati e dei segnalati (solo per il possesso di stupefacenti), si sfora ampiamente quota 10 mila. Nel 2005, i ricercatori dell’istituto «Negri», analizzando le tracce di cocaina nelle acque del Po, avevano sentenziato: 8 mila consumatori. Tanto per non essere catastrofisti. Sulla strada, spacciano gli africani, spiegano polizia, carabinieri e Finanza. Il ritratto di uno, vale per gli altri. Nome di battaglia, Tyson, gigantesco gabonese di circa 30 anni. Il nome? E chi lo sa. Documenti falsi, impronte abrase. E’ il boss assoluto di Tossic Park. Guida un esercito di pusher, manovra chili di droga pesante. Roba chimica. Cocaina di pessima qualità, tagliata spesso con farmaci. Arrestato più volte, e mille volte uscito. E’ lui il tramite tra i trafficanti e la rete. I tossici, i consumatori occasionali, non lo hanno mai visto. Viveva in un alloggio all’ultimo piano, in un anonimo condominio di via Stradella.
Pericoloso e crudele, con i suoi uomini. Calmo e suadente, con gli inquirenti, le rare volte in cui è incappato in un controllo. E’ uno spacciatore di alto livello, lui. Uno dei suoi tanti «soldati», un senegalese, un musicista, fu preso. Come Malì Senè, senegalese d’origine con mamma nata in Francia, è finito in una cella delle Vallette. Lui, che fa il dj nella discoteca Mercury di via Stradella, fu sorpreso dagli agenti con un migliaio di dosi di cocaina. Cifre e statistiche non bastano. Ci sono le storie. Non c’è un solo settore della società civile, che sfugge alla contaminazione: nella lista nera dei segnalati allo «psico-sbirro» della prefettura, sono caduti, via via: il figlio del magistrato, la top model, l’atleta, il manager, il professionista, il bamboccione che sta per ereditare fortune cospicue, l’attore di soap opera, centinaia, migliaia di signori Rossi qualunque. Donne e uomini. Ragazzi. Pure minori. Un dramma senza nome che, alla fine del tunnel, schianta le famiglie nel profondo.
Altri scenari. Lei è un personaggio del jet set. Quello vero, non quello tarocco. La cocaina che tira è quella buona. Arriva dai narcos calabresi, non dai neri di Tossic Park che vendono droga trash. Principio attivo altissimo, tagli secondo i manuali di chimica. Ha un colore che dà sul rosa, in controluce. La porta a Torino, da Milano, un’irreprensibile coppia di imprenditori, ramo tessuti.
Con ufficio-atelier in pieno centro. Palazzo d’epoca, vicini di casa docenti universitari e antiche famiglie torinesi. La cocaina è nella valigetta 24 ore. Vai a vedere i campionari delle griffe ed esci con la bustina da 20, 30 dosi. Ci vogliono migliaia di euro. Servirà ad animare le feste private, in una villa sulla collina di Moncalieri. Sarà al centro di un vassoio d’argento o di cristallo. I pochi attrezzi necessari vicini. Lei e il suo compagno la offrono, generosi. La regola degli ospiti è una sola: ricambiare alla prossima. Anche per dividere il rischio. E Giuseppe Brignolo, 24. Preso nella sua casa della Crocetta. Aveva 11 chili di cocaina nel garage. Famiglia bene, madre hostess, un lavoro di copertura, quello di titolare di una ditta di soccorso auto. Condannato recentemente, non ha mai voluto collaborare con gli inquirenti. Nulla si sa dei narcos che gli affidarono la droga.

Swingle Singers - Tchaikovsky: 1812 Overture

Meravigliosi!!

mercoledì 12 marzo 2008

Affetto e distanza


Un buon matrimonio è quello nel quale ciascuno fa dell' altro il custode della sua solitudine e gli accorda questa fiducia, la più grande possibile… Una volta che si è compreso e accettato che, anche tra gli esseri umani più vicini, continuano a esistere distanze infinite, può svilupparsi una meravigliosa vita fianco a fianco, se si riesce ad amare quella distanza che permette a ognuno di vedere nella totalità il profilo dell' altro stagliato contro un ampio cielo.

R. M. Rilke

Capacità comunicativa


martedì 11 marzo 2008

dio quattrino

"Quando l'oro parla, l'eloquenza è senza forza"
Erasmo da Rotterdam

lunedì 10 marzo 2008

Baby binge drinkers


10/3/2008
La sbronza dei bravi ragazzi
Bevono fino a stordirsi, ma solo di sabato: sette minorenni su cento si divertono così

di Elena Lisa
MILANO - Un bicchierino di rum e ancora uno. Poi quello di whisky e subito dopo il cognac. Ma meglio il rum, quello dolce, al miele. Uno dietro l’altro. Marta, tredici anni, il sabato sera si diverte così. Sballa con alcuni compagni di classe, una terza media in zona Porta Vittoria, vicino al centro di Milano. Si fa di «calette», piccoli bicchieri di superalcolico che si buttano giù, appunto «si calano» (il gergo è quello usato per le pasticche) in una, al massimo due sorsate. Se la gradazione è troppo alta e il sapore intenso, per continuare a bere si aiuta con un bicchierino identico, pieno di succo di frutta. Così stempera la botta di alcol. Marta è una «binge drinker», beve con l’obiettivo di ubriacarsi una volta a settimana. Mischia drink e lo fa velocemente così lo stordimento arriva prima. Con gli amici ha scelto la serata migliore per farlo: il sabato sera. Ogni sabato del mese. Si ubriaca da settembre e non lo nasconde, perché, racconta, «lo fanno tutti, ma non siamo alcolizzati». I suoi studi, assicura, non ne risentono: «Non lo faccio in settimana perché ho la scuola. Sono la prima della classe. Bevo solo nel weekend quando i miei genitori mi permettono di uscire e di far tardi». «Binge»: baldoria, festa rumorosa, ma anche «attività frenetica». E’ un fenomeno nato nelle università americane, esportato nei college inglesi e ora in voga in Italia. I dati delle indagini evidenziano due fattori a rischio, l’età bassissima di chi lo pratica e lo scopo preciso: non si beve per divertirsi, ma solo per stordirsi. Sono i ragazzi tra gli undici e i diciotto anni a essere sotto osservazione dalle ricerche che si occupano di alcol, dipendenze e salute. E’ in questa fascia d’età che il numero di bevitori è cresciuto vertiginosamente. Il discrimine tra ieri e oggi è proprio questo: i minorenni bevevano anche prima, ma non era necessario «sballare» a tutti i costi. L’ufficialità dei numeri di Osservasalute, Istituto Superiore della Sanità e Istat, fotografa una situazione decisamente nuova per l’Italia e per alcune regioni: Lombardia e Piemonte, insieme a Trentino e Veneto, sono ai primi posti della classifica dei «baby-binge drinkers». E colpiscono le percentuali alte che riguardano le ragazzine. «Usciamo con gli amici e ci divertiamo così. Quando mi ubriaco mi sento libera», spiega Marta che tiene per mano Alessia, la sua migliore amica. Marta è bruna, ha i capelli lunghi, porta jeans a vita bassa, scarpe da ginnastica, piumino nero e borsetta rosa con dei gattini; Alessia è bionda ed è vestita nello stesso modo, con piccole variazioni: «Non servono grandi cifre, a noi bastano 20 euro a settimana. Usciamo solo al sabato e in discoteca non andiamo quasi mai, anche perché non giriamo coi maggiorenni». Di quelli più grandi che ti offrono da bere, oltretutto, è meglio diffidare. «Ti sfidano per vedere quanti bicchierini riesci a farti e poi ti fregano i soldi - è l’esperienza di Matteo, 14 anni, che confessa di ubriacarsi sempre e solo il sabato sera -. Sono al primo liceo, non posso sgarrare e poi ho gli allenamenti di nuoto». Sport, niente fumo, studio e la ciucca del fine settimana: «Per noi è un appuntamento fisso - racconta Marco, quasi 14 anni, capo di una piccola banda che gira nei giardini di corso 22 Marzo, a Milano, e che si fa chiamare "The Legends" -, a volte lo facciamo per scommessa per vedere chi si ubriaca prima». I binge drinker si muovono in gruppo. Ci si ubriaca insieme, si inizia attorno alle dieci, ci si muove a piedi o sui motorini. Si può stare tutta la sera nello stesso discobar o sul marciapiede, o ancora si può girare alla ricerca delle offerte. In alcuni locali i gestori sanno essere anche molto generosi, proponendo due consumazioni a cinque euro. Una ne costerebbe tre. Gli sconti qui sono per tutti, minorenni compresi: «Non possiamo mica controllare le carte d’identità - dice Maurizio Pasca, dirigente della Federazione italiana pubblici esercizi -. Ma sono criminali quei gestori che si accorgono di avere davanti un quattordicenne e gli servono superalcolici. Sarebbe bene che a prestare attenzione fossero prima di tutto padri e madri». Ma il quattordicenne Matteo alla parola genitori si fa una risata: «Quando rientro a casa loro dormono già, non si accorgono di niente».

Vale tutto?!


Dalla serie: "Quando l'ideologia copre tutto, giustifica tutto, aizza a tutto".
Non sono d'accordo, nè sul merito né sul metodo.
Non alleno i ragazzi a giocare a calcio così.
Non educo i tifosi a pensare così la partita.
Non mi piace che la gita dell'oratorio sia stigmatizzata così.
Aspiro ad un altro stile dei rapporti sociali, compresi quelli in campagna elettorale.
Ho altri criteri per dire chi è il migliore.
E con questo, pur dovendo lottare contro me stesso,
cerco di rispettare l'uomo che ha scritto ciò.

ALZIAMO I TONI
di Mario Giordano
Ma sì, alziamo un po' i toni. Stracciare il programma è un gesto maleducato? Può darsi. Ma siamo in campagna elettorale, mica al corso di bon ton di Donna Letizia. E se questo gesto davvero ha segnato un cambiamento di passo e un nuovo clima un po' più rovente, evviva: se non altro, così restiamo svegli. Finora, malgrado tutti i nostri sforzi, avevamo avuto qualche difficoltà. Suvvia, diciamocelo: non ne potevamo più di questa atmosfera ovattata, dieci piani di morbidezze. Non ne potevamo più dello scambio di cortesie, ostentazione di fair play. «Caro Silvio», «Caro Walter», smancerie annesse, oh come ci vogliamo bene, trottolini amorosi dudududadada. Non ne potevamo più di quell'odore dolciastro, da deodorante malizia, profumo d'intesa, che permeava e un po' soffocava la scena politica. Il fair play va bene prima della partita, quando ci si stringe la mano, e dopo, quando, terzo tempo o no, si riconosce la vittoria dell'avversario. Ma in campo, santo cielo, no: nessun fair play. In campo ci si mena come fabbri, si fanno tackle e contrasti con grinta, e se è il caso, anche falli e sgambetti ai limiti del regolamento. E alla fine, come sempre, vinca il migliore. Mica il più educato. O il più ossequioso. Anche perché questa coltre perbenista, da ragazzi dell'oratorio in gita premio al santuario, rischia di coprire le peggiori bestialità. (...) Perciò, se proprio dobbiamo scegliere, lo confessiamo: meglio uno scontro scorretto che uno politicamente corretto. (continua)

domenica 9 marzo 2008

Cristiani in Medio Oriente


7/3/2008
Cristiani, Medio Oriente e gli enigmi della Storia
Una presenza tra l’indifferenza dell’Occidente e la minaccia dell’islam

di Andrea Riccardi
Discutere dei cristiani in Medio Oriente non è una novità. Lo si è fatto recentemente a Parigi; lo ha fatto a Roma la Comunità di Sant'Egidio pochi giorni fa. Perché? Le comunità cristiane orientali, non sono paragonabili come numero a quelle nate dalla missione in Africa, Asia o America Latina. Eppure rivestono un significato speciale. Sono considerate così rilevanti, tanto che la Santa Sede istituì nel 1917 una congregazione per i cattolici orientali.I cristiani d'Oriente sono però spesso limitatamente sentiti dai loro correligionari italiani, i quali sono più attenti all'impegno missionario o solidale in Africa o in America Latina. La sorte dei cristiani mediorientali appare come un tema remoto e complesso, mentre la nostra opinione pubblica è affamata di semplificazioni. La complessità è una cifra con cui l'Europa guarda a questo parte del «complesso Medio Oriente», come diceva il generale de Gaulle. Ci sono però tre fuochi importanti che hanno richiamato l'attenzione: la Terra Santa, tornata ad essere spazio di grande attrazione per i cristiani europei. Il secondo aspetto è il Libano: dagli anni Settanta fino a tempi recenti, anche attraverso il coinvolgimento dei militari, questo paese ha ricevuto molta attenzione. Certo l'opinione pubblica fa difficoltà a orientarsi sulle vicende libanesi e si è fermata ad una chiave interpretativa della crisi, quella del conflitto tra cristiani e musulmani, che se mai ha avuto una sua validità, certo non l'ha più da anni. Accenno solo al terzo aspetto di attenzione, l'Iraq, su cui la gran parte dell'opinione pubblica nazionale ha respinto la guerra a Saddam Hussein. Ma oggi tutti sappiamo che il dopoguerra irakeno ha visto quasi dimezzarsi l'antica comunità cristiana di quel paese. La politica italiana non ha fatto mai dei cristiani d'Oriente una priorità. Nel pendolo dell'interesse italiano dell'ultimo mezzo secolo, i poli sono stati il mondo arabo, i palestinesi e Israele. Tradizionalmente l'interesse per i cristiani d'Oriente ha avuto qualche punta in chiave antifrancese. Ma è stato solo un passaggio. Tuttavia anche in Italia oggi è divenuto impossibile disinteressarsi del mondo cristiano d'Oriente, perché è divenuto impossibile disinteressarsi del Medio Oriente. I cristiani d'Oriente possono essere una delle chiavi per avvicinarsi alla situazione mediorientale. Per la prima volta, il mondo italiano ha scoperto, a livello di massa, l'Oriente cristiano. E per un insieme di motivi. Innanzi tutto l'islam: dalla crisi petrolifera degli anni Settanta, poi con il terrorismo, infine con i fondamentalismi, ci siamo accorti che l'islam riguarda in modo diretto anche l'Europa. E i cristiani d'Oriente sono quelli che vivono con l'islam. D'altra parte gli europei hanno preso a guardare in modo più interessato alla vita religiosa in genere. L'interesse è accresciuto dal fatto che i cristiani d'Oriente vivono una transizione difficile: il loro numero si assottiglia per l'emigrazione, la loro percentuale si riduce rispetto ai musulmani loro compatrioti, la loro sopravvivenza è a rischio. Un grave errore sarebbe assumere un atteggiamento di aggiornata protezione da potenze cristiane verso i cristiani d'Oriente. E' una storia antica, carica di ambiguità, in cui si è visto l'uso strumentale, da parte delle potenze europee, dei cristiani d'Oriente fino agli albori del nostro secolo. E' una politica che spesso ha condotto a un processo di estraniazione dei cristiani dal loro ambiente. Ma la storia dei cristiani arabi o arabofoni è andata in altro senso. Il patriottismo arabo li ha visti protagonisti di tante battaglie nazionali. La Santa Sede, prima con Propaganda Fide e poi con la congregazione orientale, ha lottato per affermare una visione religiosa della vita e degli interessi dei cattolici orientali, sganciata dalla politica delle potenze.C'è un altro uso strumentale, molto diffuso, dei cristiani d'Oriente: quello di vittime di un islam imbarbarito. La storia dei dolori del mondo cristiano orientale è lunga e poco nota. Per limitarci a quella del Novecento, basta pensare al genocidio degli armeni, che ha portato alla trasformazione della composizione etnica e religiosa di intere regioni dell'Anatolia. E' significativo che, con l'allontanarsi degli eventi, non diminuisca l'interesse per quella triste storia che conosce un revival di studi e di memorialistica. Appare sempre più chiaro lo scenario di una strage nazionalista che, per affermarsi in Anatolia, diventò anticristiano, mobilitando con i motivi religiosi il mondo anatolico. Accanto agli artefici maggiori, appare come le potenze dell'intesa non ebbero interesse a garantire la sopravvivenza cristiana in Medio Oriente: l'abbandono degli assiri da parte degli inglesi e il ritiro della Francia dalla Cilicia sono esempi chiari di come tali paesi considerassero i cristiani d'Oriente quantité négligéable. I cristiani non sono solo vittime della storia e di un presente che li spinge ad una posizione di cittadini di seconda categoria; sono anche a loro modo protagonisti del presente. Possono esserlo, nonostante la condizione non sempre piena della loro cittadinanza. La situazione dei cristiani d'Oriente è ricca, complessa, sofferta: nasconde potenzialità grandi. Questi cristiani non sono solo le vittime dell'intolleranza musulmana, ma sono una grande chance per il mondo musulmano, per non essere solo con se stesso. Nonostante il loro numero ridotto, sono organizzati in comunità che hanno una loro vita interna e internazionale: hanno figure di riferimento di spicco, producono una riflessione.Due modeste ma convinte idee ci muovono. La solidarietà cristiana con le Chiese orientali comporta una scambio di doni, di storia, di spiritualità; ma anche la convinzione che i cristiani sul Mediterraneo debbono rinnovarsi: le comunità cristiane, secondo le loro diverse tradizioni, di fronte alle molteplici sfide del mondo contemporaneo, hanno necessità di un ressourcessement. Ma tale rinnovamento non si fa da soli, ma in un quadro di intensa comunione. Forse dovremmo interrogarci meglio su come è stato recepito il Vaticano II dai cattolici orientali, sul rinnovamento copto di Shenouda III, su quello del patriarcato antiocheno. Del resto è difficile isolare i cristiani d'Oriente dalla prossima Chiesa di Cipro, dal patriarcato di Costantinopoli, dalla Chiesa cattolica nel suo complesso.La seconda convinzione è che il mondo musulmano, senza i cristiani, è destinato a un'involuzione verso forme totalitarie: si aprirà il problema delle altre minoranze religiose, etniche, linguistiche. Infatti la presenza dei cristiani, in nome di una bimillenaria tradizione, è quella dell'alterità, la più antica, la più legittima. La scomparsa dell'altro non è soltanto la sua fine, ma anche la fine della base per la convivenza pacifica e per la democrazia.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200803articoli/30835girata.asp