sabato 2 maggio 2009

Luoghi comuni?!

Tesoro, adesso parlo io
Gli uomini sopportano ma di rado riescono a farsi ascoltare
Offese, indifferenza, ripicche: catalogo di quello che gli uomini tengono per sé. Ecco alcuni brani del libro "Dimmi, dammi, fammi" (Editrice Aliberti)
Le cose che tu dici e lui non sopporta
Neanche una capocciata di Zinedine Zidane in pieno sterno potrebbe causare danni più devastanti. E se tu non sai nulla della capocciata di Zinedine a Marco Materazzi, tanto peggio per te. Anche se usassi una metafora diversa, l'entrata a gamba tesa di Ringhio Gattuso, il mozzico all'orecchio di Tyson, tu non capiresti ugualmente. E continueresti a dire frasi da killer seriale come questa. Sei peggio di tua madre. Una frase per far male, per colpire basso, per far piangere di disperazione. Neanche a Guantanamo hanno mai detto cose del genere. Ad Abu Ghraib hanno scoperto due soldatesse americane sadiche: una applicava gli elettrodi ai genitali del prigioniero, l' altra gli diceva: Sei peggio di tua madre. Hanno punito solo la seconda. Sei peggio di tua madre è una frase diabolica, scientifica. Prende due piccioni con una sola fava. Colpisce madre e figlio contemporaneamente. Lui si rende conto che essere considerato peggio di sua madre è il punto più basso raggiunto nella sua squallida vita. Che fare? Se lui è pronto e intelligente capisce subito che esiste una buona linea di difesa. E inizia una dotta discussione sul rapporto madre-figlio, riportando a memoria lunghi brani di un saggio di Cesare Musatti, psicoanalista di cui ignora tutto tranne che è citato nelle dispense di «Panorama». Concluderà teorizzando che la frase è intrinsecamente errata perché è noto a tutti i molteplici parenti e amici che sua madre è molto, molto peggio di lui. E così tu rimarrai spiazzata. Rimarrai zitta per circa due minuti chiedendoti se hai vinto o perso. Un consiglio per il futuro: vatti a leggere qualcosina di Musatti.
Le cose che lui vorrebbe e tu non fai
Devi ammetterlo, ci sono alcune cose che ti riescono alla perfezione. Anche cose difficili, cose che richiedono istinto e sincronizzazione dei movimenti. Tu hai capito a che cosa sto alludendo. Mi chiedo: come fai a indovinare sempre qual è il momento giusto per alzarti improvvisamente dalla poltrona e passare lentamente, lentamente, lentamente – dio mio quanto lentamente – davanti al televisore proprio mentre il bomber interista carica il destro, molla un’orribile legna che colpisce l’arbitro, inganna il portiere che si tuffa a destra gettando nella disperazione i difensori laziali che vedono il pallone rotolare inesorabilmente in fondo alla rete e la partita irrimediabilmente compromessa? Come fai a calcolare così esattamente i tempi tanto che appena il tuo culone si è tolto di mezzo, ponendo fine all’eclisse totale di video, ciò che si vede sono venticinque persone impazzite, alcuni che protestano, altri che scappano, altri che urlano di gioia, e non si sa che cosa sia successo, forse goal, forse rigore, forse invasione di campo, forse è finita la partita, forse cartellino rosso, forse è iniziato un documentario su Timor Est. Allora lui urla la sua disperazione.
In qualche ambiente, tipico del disagio sociale di certe periferie metropolitane degradate, la Magliana, Testaccio, via Bianchi, Scampia, luoghi dove un vigile urbano non osa entrare da trent’anni a questa parte, l’ultimo che lo ha fatto è ritornato in dodici comode rate mensili, la scena ha momenti di tensione decisamente più preoccupanti, propedeutici all’omicidio preterintenzionale, roba che non c’è indulto che tenga. Urla la sua disperazione e si dimena. Ti ricorda le tue origini popolari, di quanto gli sia costato toglierti dal marciapiede. È a questo punto che tu ti piazzi davanti al televisore al plasma costato un occhio della testa, ti metti le mani sui fianchi e cominci: «Insomma…» Non sono molto importanti le parole che tu pronunci dopo «Insomma». Lui non le ascolta e d’altronde nessun uomo nelle sue condizioni le ascolterebbe. L’importante è che tu ti renda conto che la parola “insomma” è una specie di parola d’ordine, quasi un comando. Alla parola “insomma”, mentre tu te ne stai lì, bella piazzata davanti al plasma, i tecnici della Rai fanno partire il replay. E così anche la ripetizione rallentata dell’azione misteriosa che si è svolta all’insaputa del pover’uomo è ineluttabilmente perduta. C’è un unico sistema per risolvere casi del genere. Scartata la soluzione, piuttosto brusca, di legarti alla sedia della cucina a sua volta incatenata al termosifone di ghisa, opzione che alcuni giudicano drastica ma che vince su tutte le altre per efficienza e per l’ottimo rapporto costi/ricavi, molti decidono di appendere la televisione al soffitto.
Soluzione un po’ futurista, decisamente scomoda, che richiede fastidiose spiegazioni quando viene gente a cena. E nemmeno tanto sicura. Non si ha idea di che cosa sia capace di inventare una donna pur di frapporre il suo flaccido corpaccione fra il suo uomo e il tiro di uno stronzo di bomber interista deviato da uno stronzo di arbitro che inganna un incolpevole portiere laziale consentendo allo stronzo pallone di rotolare drammaticamente in fondo alla rete consegnando agli stronzi nerazzurri l’immeritato successo. Credetemi: la soluzione migliore è quella della corda. Legata alla sedia della cucina, non resta altro che convincere la donna che si tratta di un raffinatissimo gioco erotico sadomaso che avete letto nella versione originale di Emmanuelle.
Le cose che tu fai e lui non sopporta
Ti chiudi in un dignitoso silenzio. Lui non capisce e comincia a fare domande. Tu continui a sfaccendare, senza rispondere, come se niente fosse. Gli passi l’aspirapolvere sotto le gambe. «Scusa». Leggi con interesse un libro in caratteri cirillici. Quando cominci a parlare col gatto sei all’ultimo stadio. La mossa successiva al dialogo col felino è il lancio del posacenere di peltro. La fase del muso può andare avanti per molto, anche per giorni. Lui ti chiede: «C’è qualcosa che non va?» Tu rispondi con fare svagato, spostando un vaso di fiori dal davanzale al tavolo: «No, niente». E intanto pensi: “C’è qualcosa che non va, c’è tanto che non va, ma devi scoprirlo da solo, brutto pirla”. Lui insiste: «Eppure secondo me c’è qualcosa che non va». Tu dici, spostando il vaso dei fiori dal tavolo al davanzale: «No, veramente, è tutto a posto». E intanto pensi: “Se continua così scoppio a piangere ma non voglio darti questa soddisfazione”.
In questi casi gli uomini si dividono in due categorie. Alla prima categoria appartengono quelli che sanno benissimo che cosa c’è che non va e infatti non insistono troppo quando tu dici: «Niente». E quando cominci a parlare col gatto fanno finta di nulla e accendono la televisione perché «Quelli che il calcio» è un appuntamento che non possono perdere nemmeno quando tu parli col gatto. Alla seconda categoria appartengono coloro che non sanno veramente che cosa c’è che non va. Quando tu rispondi: «Niente», si mettono tranquilli, la fronte torna serena e accendono la televisione per vedere «Quelli che il calcio». Tu a questo punto potrai anche parlare col gatto per quattro giorni di seguito prima che lui cominci a preoccuparsi. Per il gatto.

Tributo a De André - Volta la carta - Le Balentes

Una canzone fresca per iniziare bene una giornata primaverile!

venerdì 1 maggio 2009

Primo Maggio /2

Coro delle Mondine di Novi - Modena 18 aprile 2007

Primo Maggio / 1

Nasce a Bologna l'associazione Primomaggio: un gruppo di psicologi offre sostegno
"Ci si sente rifiutati dalla società. è un momento molto doloroso"
"Perdere il lavoro è un lutto; il nostro aiuto per i disoccupati"
I primi a pensarci sono stati i diretti interessati. "Circa due mesi fa alcuni operai che erano stati licenziati ci hanno chiamato chiedendoci aiuto. Perdere il posto di lavoro è un lutto, ci hanno detto, perché non aiutate anche noi?".
Così Francesco Campione, tra i massimi esperti italiani in tanatologia psicologica, professore universitario a Bologna (è docente di psicologia clinica alla facoltà di Medicina) ha pensato di allargare le maglie dell'associazione Rivivere - che offre sostegno psicologico gratuito alle persone in lutto - e di occuparsi anche di chi è stato licenziato o sta per esserlo.
La nuova costola del progetto Rivivere si chiamerà "Primomaggio", in onore della Festa dei Lavoratori. Un pool di esperti (dieci psicologi) si occuperà gratis di dare sostegno psicosociale a lavoratori licenziati, cassintegrati e a chi a breve non avrà più un occupazione. "Era arrivato il momento di intervenire offrendo un appoggio non solo economico: perdere l'impiego è una tragedia in termini psicologici. Il lavoro è uno strumento sociale collettivo riconosciuto da tutti, un'attività umana che combatte le negatività della vita e dà un ruolo. Non avere più tutto questo per la nostra psiche rappresenta un lutto, una perdita dolorosissima".
Il "programma" di sostegno prevede alcuni incontri individuali, poi un percorso condiviso, gruppi di mutuo aiuto. Sette sedute o poco più per parlare e affrontare, aiutati da esperti, la questione, per cercare una strada e uscire dall'empasse emozionale. "Bisogna aiutare e prevenire. Chi perde l'impiego perde fiducia in se stesso, va incontro alla depressione e all'autolesionismo".
Campione ha chiesto la collaborazione dei sindacati, della Caritas, delle associazioni dei lavoratori stranieri: "Li incontreremo nei prossimi giorni. C'è stata offerta la massima disponibilità da parte di tutti. Sono rimasto stupito dalle risposte positive che ci sono arrivate. E' la prima volta che in Italia si affronta un tema come la perdita di lavoro in questo modo, negli Stati Uniti, già da qualche anno alcuni manager hanno creato dei Job club, strutture che offrono aiuto ai dirigenti licenziati", spiega il professore.
Il servizio "Primomaggio" sarà aperto a tutti: bolognesi e non. "Chi non abita a Bologna potrà chiedere aiuto telefonicamente o per email. Siamo pronti a dare una mano a chiunque ne abbia bisogno, dovunque abiti", conclude Francesco Campione.

giovedì 30 aprile 2009

Finezza

Le ciabatte dell'imperatore
di Massimo Gramellini
Hanno destato scalpore le dichiarazioni rilasciate alle agenzie di stampa dalla moglie del leader democratico Franceschini. «Ho letto su un giornale che mio marito sarebbe stato visto domenica notte in una sala da tè, alla festa di compleanno di una ragazza di 100 anni, Rita Levi Montalcini. Che cosa ne penso? La cosa mi ha sorpreso molto, anche perché domenica notte Dario era sul divano di casa in ciabatte e divisa da boy scout, intento a sorbirsi il suo brodino di pollo e a guardare in tv la replica delle avventure di don Milani».
«Vorrei fosse chiaro che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire. Sapesse quante volte gli chiediamo di cambiare canale, di girare non dico su "La Fattoria", ma almeno su Antonella Clerici o i puffi. Lui niente, sostiene che sono programmi osceni, ciarpame senza pudore a sostegno del divertimento dell’Imperatore. E intanto non molla il telecomando. Me lo lascia solo quando viene a trovarlo qualcuno dei suoi amici di sinistra: tutta gente malvestita e maleodorante, come ha giustamente rilevato il sig. Berlusconi, specie da quando si è ritirato Bertinotti, che era l’unico di loro a saper abbinare i calzini alle mozioni. È tale la puzza che, appena quei ceffi se ne vanno, mi tocca spalancare le finestre e chiamare D’Alema per fare un po’ di corrente. Domenica ho aspettato che mio marito finisse di digerire il brodino e gli ho proposto un colpo di vita: andiamo a fare baldoria all’oratorio con don Mazzi e Nilla Pizzi? Non mi ha neanche risposto. Si era addormentato».

Collaboratore della mia gioia

Ieri con i seminaristi del quinto anno siamo andati a far visita al card. Martini:
è sempre l'incontro con un padre! Deo Gratias!

«San Paolo ha visto bene il pericolo che insidia il ministero apostolico: «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia» (2Cor 1, 24). Pietro, nella stessa linea, esorta i presbiteri a non spadroneggiare sulle persone loro affidate, ma a farsi modelli del gregge (cfr 1Pt 5,3).
Come si spiega il fenomeno del drammatico voltare le spalle alla Chiesa in alcuni dei Paesi tradizionalmente «più cattolici»? L'ho chiesto una volta a un sacerdote in Olanda e la sua risposta mi ha fatto molto pensare. "Il prete - diceva - qui era tutto; decideva tutto, perfino nell'ambito del matrimonio e della famiglia. Quando i tempi e l'evoluzione della cultura hanno fatto cadere questa dipendenza, si è passati all'eccesso opposto di un totale rifiuto".
Credo che questo spieghi, almeno in parte, la crisi in cui sono caduti, uno dopo l'altro, paesi come l'Olanda, l'Irlanda e i Paesi Baschi che erano una volta la roccaforte del cattolicesimo. Il distacco dalla Chiesa è cominciato con il distacco dal clero. Per certi versi la Lombardia, in certe sue zone, fa parte di questi paesi di avanguardia dove la Chiesa cattolica è più forte, rispettata, ricca di vocazioni. Bisogna prevenire il fenomeno...
Faccio un piccolo esempio: il modo di gestire i locali e, più in generale, le risorse parrocchiali. La gente deve capire che il parroco non si considera il padrone, come se queste fossero cose sue che egli benevolmente presta o mette a disposizione di altri, ma che si considera semplice «custode dei miei [del Signore] atri» (Zc 3, 7), uno che vigila, certo, sul corretto uso dei beni della Chiesa e discerne, insieme con altri, sul loro migliore impiego, ma che fa sentire alla gente che è cosa di tutti».
Carlo Maria Martini, Dalla Croce la perfetta letizia, 75-76

mercoledì 29 aprile 2009

Finalmente!!

Svelamento

Un adolescente su cinque si mostra in versione «nature». «Morale in pericolo»
Autoscatti osè, nuova moda dei teenager
Polemica negli Usa per la diffusione del «Sexting»: le immagini scambiate con cellulari o diffuse via web
E’ polemica in America sul «Sexting», un termine nuovo, la trasmissione on line, via cellulare ma non solo, dei propri nudi e seminudi. Da un sondaggio del 2008 risulta che un adolescente americano su cinque, maschi e femmine dai 13 ai 19 anni, si mostra a tutti in versione «nature» o discinta, talora ai limiti della pornografia. Lo scambio di queste foto, una forma di esibizionismo sessuale, è in aumento, tanto che le autorità si chiedono se e come fermarlo.
«E’ un fenomeno molto preoccupante - ammonisce Bill Albert della Campagna di prevenzione delle gravidanze minorili - che dall’America si diffonde nel mondo. (...)». L’America si è divisa in due. Parte del pubblico crede che, con le sue immagini titillanti, il «Sexting» sia un rischio per la morale familiare; ma un'altra parte contesta il sondaggio del 2008, che a suo giudizio avrebbe «gonfiato» il fenomeno. David Finkelhor, un sociologo che si occupa di crimini contro i bambini, nota a esempio che il sondaggio fu condotto solo on line: «E’ probabile che vi abbiano risposto gli esibizionisti, i cow boys e le cow girls dell’internet, sessualmente liberi, e non rifletta la condotta della massa».
La Teenage research unlimited di Chicago, che ha svolto il sondaggio, sostiene che sia attendibile. «E’ vero che ci hanno risposto on line, ma i quasi 1.300 adolescenti da noi interpellati erano stati reclutati anche al telefono» ha dichiarato la portavoce Becky Wu. «Al telefono sono molto più reticenti - ha aggiunto - perché, soprattutto se in casa, i genitori o altri potrebbero sentirli. On line si lasciano andare. Teniamo anche conto che comunicano più su internet che in famiglia». Parlando delle teenagers, Becky Wu ha inoltre precisato che il «Sexting» è molto più comune tra quelle dai 16 ai 19 anni, il 22 per cento, che tra le più giovani, «più pudiche», l’11 per cento.
Per David Finkelhor, il punto più debole del sondaggio è la mancata distinzione tra nudi e seminudi: «Il topless femminile sui media è ormai una cosa normale - osserva -, le teenager si limitano a copiare». Ma per Bill Albert della Campagna di prevenzione delle gravidanze minorili, per quanto riguarda le ragazze, nudi e seminudi sono la stessa cosa: «Se scoprissero certe parti in pubblico, la polizia le fermerebbe. Il loro obbiettivo è di essere provocanti. Non a caso in Pennsylvania un procuratore ha minacciato di processare per pornografia una quindicenne e meno che non ritirasse la foto in cui appare seminuda». Il guaio, lamenta Jeanne Pascoe della Università di Berkeley, è che, reclamizzato dalla polemica, il «Sexting» prenderà sempre più piede. Cristo Sims, un suo ricercatore, ha riscontrato una impennata nelle trasmissioni di foto spinte ai computer e ai cellulari degli adolescenti: «Non mi sorprenderei se fossero davvero il 20 per cento o anche di più. E’ un problema che bisognerà affrontare come quello più generale della regolamentazione di internet».

martedì 28 aprile 2009

Divertentissimi!

Operazione trasparenza

I conti in tasca al vescovo. A Como.
Il Settimanale della diocesi pubblica tutti i conti finanziari relativi al titolare, monsignor Coletti. Che esorta i colleghi a fare altrettanto.
L’operazione trasparenza voluta da monsignor Coletti nelle ultime settimane a proposito dei guadagni del clero è stata compiuta con molta serietà. Al punto che chiunque, oggi, è in grado non soltanto di sapere quanto prenda di stipendio il vescovo, ma anche l’ammontare dei risparmi bancari e dei versamenti per il fondo supplementare previdenziale versati dal presule.
"Dopo quasi 44 anni di servizio - scrive monsignor Coletti sul numero del Settimanale pubblicato oggi - i miei risparmi non raggiungono i 40mila euro che considero sufficienti a coprire le spese del mio funerale e a fare qualche elemosina (segnalata con cura nel mio testamento). Ancora per qualche anno, fino al 2011, verserò poi “di tasca mia” una cifra di circa 4mila euro annui per costituire un fondo pensione integrativo, senza il quale finirei per dipendere dalla Diocesi - se sopravviverò a lungo dopo il 75esimo anno - in un modo che ritengo eccessivo. Come recita il contratto di tale fondo integrativo: “in caso di premorte la somma raggiunta sarà destinata all’erede designato”, che nel mio caso è la stessa Diocesi". Lunghissima vita al vescovo, augura un giornale locale, dopo aver letto le parole di monsignor Coletti. Anche per la schiettezza e la sincerità utilizzate per mettere in piazza i propri (piccolissimi) affari. Ma il punto forte della “confessione” del prelato riguarda lo stipendio, inferiore ai 1.800 euro lordi al mese.
"Come campa un vescovo italiano", si chiede lo stesso articolista del Settimanale. Semplice: campa con uno stipendio medio-basso, “arricchito” nel caso di Coletti da una mini-pensione cumulata negli ultimi anni dopo aver raggiunto l’età per il collocamento a riposo. "Posso parlare soltanto per me - scrive il successore di Maggiolini - ma questa è più o meno la condizione di tutti i miei fratelli vescovi. La mia remunerazione, che è calcolata su dodici mensilità (niente tredicesima, quindi, ndr), è costituita in media, con scarse oscillazioni in più o in meno, da 680 euro provenienti dall’Istituto Sostentamento Clero e da 651 euro provenienti dall’amministrazione diocesana. A questi si aggiungono da qualche mese 450 euro di pensione che viene sommata alla remunerazione perché fino a 75 anni, se Dio vuole, continuerò a lavorare". A conti fatti, il vescovo si mette in tasca tutti i mesi 1.781 euro lordi. Con i quali provvede a tutto ciò di cui ha bisogno.
"Mi viene offerto gratis l’alloggio e la spesa della bolletta energetica - spiega il capo della Diocesi lariana - così che, non avendo mogli e figli a carico, devo spendere soltanto per il vitto e il vestiario, stipendiare regolarmente la domestica e mantenere efficiente, assicurata e rifornita la macchina che mi porta in giro per la Diocesi sulla lunghezza di 20-30mila chilometri ogni anno". "Su questi soldi - aggiunge monsignor Coletti nel lungo articolo del Settimanale - pago regolarmente le tasse. Non ne ho merito, perché sono trattenute alla fonte. E sono contento che sia fatto". Ovviamente, un vescovo riceve dai fedeli offerte e donazioni. Monsignor Coletti non fa eccezione, ma spiega: "Ho preso da tempo l’abitudine di tenere conto di tutto ciò che mi viene offerto da singoli e da comunità come dono o ringraziamento per vari servizi, in modo da destinarlo a interventi di sostegno ad attività pastorali diocesane, ai poveri, alle missioni, alle vocazioni e al seminario".

Casa, amara casa

La casa è un bene primario. Per tutti
L’appello del cardinale Tettamanzi il Venerdì Santo: «Chi non ha da tempo un’abitazione dignitosa per sé e la propria famiglia, si sente umiliato nel vedere sorgere esclusive residenze e palazzi di lusso nei quali mai potrà abitare perché troppo costosi»
di Pino Nardi
«Milano ha bisogno di un segno molto forte sulla questione casa. Ma non mi sembra che il Comune sia nelle condizioni di poterlo dare: non ha la volontà, le possibilità e in questo momento non mi pare un soggetto sensibile su questo tema». Lo sostiene Gabriele Rabaiotti, ricercatore presso il Dipartimento di architettura e pianificazione al Politecnico e collaboratore con l’area politiche urbane dell’Istituto per la ricerca sociale. Da oltre un anno è l’ispiratore di quel progetto, sollecitato dai parroci milanesi, della creazione di un’agenzia che consenta di dare garanzie ai proprietari per affitti a prezzo calmierato. Un proposta ben vista dal cardinale Tettamanzi, che l’architetto rilancia come strada per sbloccare un mercato ingessato. Un tema, quello dell’emergenza-casa, rilanciato anche dall’Arcivescovo nell’omelia del Venerdì Santo. Il Cardinale ha sottolineato che una famiglia non riesce a sostenere un affitto e neanche un mutuo, perché i prezzi sono troppo alti. La soluzione è costruire più case, oppure fare in modo che vengano affittate o vendute quelle che già ci sono?
In Italia non c’è un problema di quantità, perché abbiamo 130 case ogni cento famiglie. Nelle città, c’è una media del 10% di sfitto, che non è poco. Quindi la questione è più redistributiva che non espansiva: cioè serve capire in quali modi riuscire a portare oggi il patrimonio non utilizzato verso l’uso socialmente più utile, piuttosto che non costruire nuove case. Abbiamo una città di case senza abitanti e abitanti senza una casa. Il mercato va avanti da anni a costruire e a lasciarle vuote.
Perché?
Perché la casa è un investimento, non è un bene d’uso. Per chi costruisce e chi compra è un investimento, alternativo all’andare in Borsa ad acquistare azioni. Ecco perché poi la casa resta vuota: siccome si ha un’aspettativa di remunerazione, non si affitta a costi contenuti.
Ma quando si tiene una casa sfitta non la si lascia “morire”?
Certo. Nei Paesi d’Europa l’affitto è mediamente al 40% rispetto al patrimonio immobiliare. Da noi è al 20% e sta continuamente diminuendo, perché noi ci appoggiamo alle rendite passive: compriamo e aspettiamo che il bene si valorizzi nel tempo. Se affittassimo, invece, avremmo già messo in tasca un terzo di quell’investimento. Il problema è anche culturale.
Quale contributo potrebbero dare il Comune e le altre istituzioni pubbliche?
Potrebbero sviluppare due linee, tentate in altre città. Il Comune di Torino, per fare in modo che venisse spostato il patrimonio inutilizzato o affittato a costi molto alti, si è introdotto in un mercato calmierato con un assegno di 1.500 euro (l’anticipo della cauzione per i primi sei mesi) dato ai proprietari che accettano affitti concordati a canoni contenuti. È un incentivo, ma a Milano questo non è accaduto. Inoltre nella metropoli lombarda dal 1999 non si aggiorna il canone concordato. Se non lo si fa, nessuno lo applicherà mai.
È troppo basso, insomma...
Esatto. I sindacati inquilini e i proprietari immobiliari sembra che non abbiano interesse ad aggiornare questo canone. I primi perché continuano così a sostenere che servono case popolari; i secondi perché hanno interesse a mantenere i contratti di affitto molto alti e se rendono praticabile il canone concordato è evidente che c’è anche un terzo mercato che sfugge al controllo delle rendite più speculative. Dunque, un interesse congiunto per bloccare la questione.
E l’altra linea di impegno?
Il secondo esempio è che il Comune di Milano ha messo a bando - chiuso qualche mese fa - otto aree pubbliche di sua proprietà destinate a standard e servizi e rese edificabili, a detta del Comune stesso, per massimizzare l’offerta di case in locazione a basso costo. Ebbene, se si guardano i risultati, hanno vinto imprese che hanno proposto meno case in affitto di altre. Allora forse serviva più a dare nuove aree ai costruttori tradizionali - una lobby molto forte a Milano - che non a sviluppare veramente il patrimonio in locazione a basso costo in una città che non ne ha.
I cattolici possono fare qualcosa?
Certo. Il patrimonio di mezzo è fatto anche delle tante case che chi frequenta le parrocchie è riuscito a realizzare, grazie a tempi più fortunati, magari per i propri figli, che però sono oggi in altre città a lavorare. Un patrimonio che resta sfitto o affittato sul mercato in forma speculativa. Un uso più sociale di questo investimento immobiliare, legittimo e giustificato, può però trovare un campo più utile e interessante per essere praticato. Allora perché non proporre di mettere queste case in locazione a costi contenuti?.
Come ha proposto il Cardinale nel Percorso pastorale...
Bisognerebbe realizzare un’iniziativa come il piano nuove chiese. Abbiamo costruito le chiese in periferia, ma lì ci sono anche le case. Serve un bel piano di comunicazione, un’uscita pubblica importante e l’agenzia ipotizzata diventa uno strumento per farlo. Abbiamo le possibilità per dare un segno forte a questa città. Ma bisogna avere più coraggio.

Casa popolare? Come vincere la "lotteria".
Bisogna costruire nuove case popolari a Milano? «Su questo le posizioni sono diverse. Ritengo che se non sviluppiamo l’offerta di mezzo tra quella pubblica (case popolari) e quella privata (il mercato), non usciamo da questa crisi - risponde Gabriele Rabaiotti -. La questione è riuscire a muovere le famiglie che vent’anni fa hanno avuto la casa popolare - perché c’è altra gente che ne ha più bisogno -, accedendo a un mercato calmierato in affitto a costi contenuti, ma non così bassi. Mediamente abbiamo una famiglia su quattro che non ha più i requisiti di reddito per restare in quelle case, ma nessuno le sposta anche perché non c’è l’alternativa. Dove le portiamo, sul mercato? Quindi restano lì e la casa viene ereditata dal figlio. Delle 60 mila case a Milano, tra patrimonio Aler e comunale, togliamo il 25% di chi non ha più diritto, abbiamo 12 mila alloggi che sono quelli che servono per le nuove domande che arrivano sistematicamente ogni sei mesi ai bandi. Ma la mobilità non esiste, perché non c’è un’offerta di case nuove in locazione a costi contenuti». E quindi? «Bisogna avere una visione delle politiche promozionale e non assistenziale. La casa popolare è per i primi 12 mila fortunati e non la prenderà più nessuno. È come vincere la lotteria. Questo non può funzionare, tenendo presente che non ci sono le risorse per farne altre 12 mila. Il Comune, attraverso leggi regionali, ha ripreso la vendita delle case popolari e si sa che ogni tre vendute ne farà una. Altro che costruirne di nuove, stiamo perdendo anche quelle che esistono».

lunedì 27 aprile 2009

Pane

«Quand'alzo il pane, esalto la carità di Dio e la fatica dell'uomo: porto nel cuore del Signore, che le ricovera e le riposa, le opere del mio popolo laborioso.
L'uomo si è incontrato con Te nel pane, ancor prima che Tu lo facessi per noi nel Pane di vita eterna. Tu celebrasti con lui sotto il sole un primo sponsale: lo volesti compagno nel campo prima che sull'altare. I miei contadini non s'accorgono, allorché seminano, zappano, mietono, delle invisibili braccia che hanno vicino e che lavorano senza tregua, prima e più di loro, anche quando essi dormono o son stanchi e malati.
Il pane eucaristico porta il segno di tutte le comunioni naturali, suggerisce tutte le riconoscenze, è compendio e memoria di tutti i doni».
don Primo Mazzolari, Dietro la croce, 27

La virtus della fantasia

«Che intende fare, padre abate?».
«Cercheremo di compensare la maggiore prudenza che dovremo esercitare in avvenire con un impegno più continuo ed efficace. Si sbagliano se pensano d'intimidirci. Dove si combatte per una causa giusta, non possiamo mancare... O, più umilmente, più in tono con la nostra piccolezza, cercheremo d'usare un po' meglio quella grande facoltà che spesso, purtroppo, ignoriamo; voglio dire la fantasia».
«La fantasia... — riprese l'arciprete come fra sé — La fantasia non ci fa mai stancare della vita perché la riveste sempre di colori nuovi. Che dovremmo dire di Dio? Oh, se nella chiesa si fosse dato più credito alla fantasia, i tempi della nostra giovinezza non si sarebbero richiusi come un gorgo su di noi, vero padre abate? Dio ci visita continuamente col suo amore inventivo, e noi non ce ne accorgiamo...».
«Forse perché abbiamo confuso la fantasia coi fantasmi», aggiunse sorridendo l'abate.
Luisito Bianchi, La messa dell'uomo disarmato, 603

domenica 26 aprile 2009

Proviamo...

Nessun simbolo alle pareti. Il direttore generale: «A disposizione di tutte le fedi e anche di chi non crede»
Una cappella «laica», la sfida dell'ospedale
Alle Molinette una stanza del silenzio. Minacce alla vigilia dell'inaugurazione
La «Stanza del silenzio» (...) «È semplicemente una stanza che dà la possibilità a chiunque, anche a chi non crede, di ritrovarsi nello spirito», spiega Galanzino, sicuro che il progetto funzionerà, e senza intoppi. (...) La sua «stanza silenziosa», ricorda, «è stata realizzata con pochi soldi e con la disponibilità assoluta del cardinale Poletto». La diocesi ha messo a disposizione la cappella del vecchio ospedale dermatologico, quasi mai usata perché alle Molinette è in funzione una chiesa ben più grande. Ed è nella chiesa che hanno trovato posto la madonnina, i crocefissi e gli altri simboli cattolici spostati dall'ormai ex cappella per far posto a pareti con diverse sfumature di azzurro, colore scelto con un sondaggio fra i rappresentanti delle diverse religioni. Scartati all'unanimità il giallo, l'arancio e il rosso, escluso l'affresco dei muri con scene panoramiche («cose che non favoriscono la meditazione»), vietati i simboli di ogni confessione perché nessuna possa prevalere sulle altre. Accesso consentito a tutti, degenti, parenti, amici, personale ospedaliero. Unica concessione ai simboli: i libri sacri dei vari culti, a disposizione in un armadietto all'ingresso della sala. Accanto ai libri anche un registro per scrivere impressioni e suggerimenti, «un modo — dice Galanzino — per monitorare il gradimento di questa iniziativa che è anche la prima, nel nostro Paese, in un ospedale pubblico». A giudicare dalle telefonate arrivate ieri in amministrazione dai vari reparti l'interesse sembra assicurato. Ci scommettono anche le decine di consulenti spirituali da un anno al lavoro, proprio alle Molinette, per garantire «l'assistenza dell'anima» a tutti, musulmani, ebrei, evangelisti, buddhisti, cattolici, ortodossi, induisti...

... spappolato

A rischio «binge drinking»: più di sei bevande alcoliche in un'unica occasione
Istat: «Otto milioni e mezzo gli italiani a rischio alcol»
Ed è allarme giovani: oltre il 17% degli under 15 ha consumato almeno una bevanda alcolica nel 2008
Consumi giornalieri non moderati, «binge drinking» (più di sei bevande alcoliche in un'unica occasione), bevute fuori pasto. Sono quasi otto milioni e mezzo gli italiani a rischio alcol, che bevono più di tre unità alcoliche al giorno (per gli uomini) e più di due (per le donne), secondo il rapporto Istat 2008 su Uso e abuso di Alcol in Italia. Ed è allarme giovani: oltre il 17% degli under 15 ha consumato almeno una bevanda alcolica nel 2008, in particolare il 19,7% dei maschi e il 15,3 delle femmine, mentre già a partire dai 18-19enni i valori di consumo sono prossimi alla media della popolazione, cioè il 74,7% dei maschi e il 58% delle donne.
Per valutare in generale il grado di rischio connesso all'assunzione di bevande alcoliche, oltre a prendere in considerazione il consumo giornaliero non moderato di vino, birra o altri alcolici, si deve tener conto anche degli episodi di ubriacatura concentrati in singole occasioni (binge drinking), che comportano comunque un assunzione di quantità eccessive di alcol. Nel 2008 gli italiani con almeno un comportamento a rischio (consumo giornaliero non moderato o binge drinking) sono 8 milioni e 449 mila, di cui 6 milioni e 531 mila maschi (25,5%), mentre le femmine sono 1 milione 910 mila persone (7%). Se nell'indicatore di rischio si comprende anche l'assunzione di alcolici fuori pasto una o più volte la settimana il numero di persone con almeno un comportamento a rischio salirebbe a 9 milioni e 868 mila, pari al 18,6% della popolazione di 11 anni e più. Di questi 906 mila in età 18-24 anni, 658 mila minori e 3 milioni e 103 mila anziani.
Le differenze maggiori tra i due indicatori si concentrerebbero maggiormente tra i giovani e gli adulti. Le fasce di popolazione in cui i comportamenti a rischio sono più diffusi sono: gli anziani di 65 anni e più (il 46% degli uomini contro l'11,2% delle donne), per un totale di 3 milioni 37 mila ; i giovani di 18-24 anni (il 23,7% dei maschi e 6,8% delle femmine), per un totale di 643 mila; i minori di 11-17 anni (il 18,2% dei maschi e il 12,2% delle femmine), pari a 635 mila persone. Il modello di consumo degli anziani, si legge nel rapporto Istat, è di tipo essenzialmente tradizionale, caratterizzato cioè dal bere vino durante i pasti. Per questo motivo, in queste fasce di popolazione il tipo di comportamento a rischio prevalente è pressoché coincidente con un consumo giornaliero non moderato (45% degli uomini e 10,6% delle donne), soprattutto durante il pasto (64,6% degli uomini e 84,1% delle donne).
I giovani di 18-24 anni rappresentano il segmento di popolazione, dopo gli anziani, in cui la diffusione di comportamenti a rischio è più alta. In particolare il modello di consumo dei giovani vede un elevato peso del binge drinking (22,1% dei maschi e 6,5% delle femmine), che rappresenta la quasi totalità del rischio complessivo. L'OMS raccomanda la totale astensione dal consumo di alcol fino ai 15 anni. Per questo motivo, per i minori di 11-15 anni viene considerato come comportamento a rischio già il consumo di una sola bevanda alcolica durante l'anno. In quest'ottica, le quote di popolazione a rischio sono molto rilevanti e con differenze di genere meno evidenti che nel resto della popolazione: 19,7% dei maschi e 15,3% delle femmine. Anche tra i ragazzi di 16-17 anni il quadro della diffusione di comportamenti di consumo a rischio è piuttosto critico: 14,9% dei ragazzi e 6,8% delle ragazze ne dichiara almeno uno. Inoltre, già a questa età il binge drinking raggiunge livelli prossimi a quelli medi della popolazione: rispettivamente 10,6% per i maschi e 3,9% per le ragazze. L'abitudine al consumo non moderato di bevande alcoliche da parte dei genitori, inoltre, sembra influenzare il comportamento dei figli. Infatti, è potenzialmente a rischio il 22,7% dei ragazzi di 11-17 anni che vivono in famiglie dove almeno un genitore adotta comportamenti a rischio nel consumo di bevande alcoliche. Tale quota, invece, scende al 15% tra i giovani che vivono con genitori che non bevono o che comunque bevono in maniera moderata.