sabato 1 novembre 2008

Santi col corpo!

La risurrezione della carne
Nella luce della risurrezione di Gesù possiamo intuire qualcosa di ciò che sarà la risurrezione della carne. In essa l'essere con Cristo si estenderà ad abbracciare la pienezza della persona e la globalità dell'esperienza umana anche nella sua dimensione corporea, così come la risurrezione del Crocifisso nella carne ha portato nella vita eterna la carne del nostro tempo mortale, fatta propria dal Figlio di Dio. L'anticipazione vigilante della risurrezione finale è in ogni bellezza, in ogni letizia, in ogni profondità della gioia che raggiunge anche il corpo e le cose, condotte alla loro destinazione propria, che è quella delle opere dell'amore. Non dobbiamo dimenticare che il cristianesimo, con alterne vicende, ha condotto una dura battaglia per respingere l'impulso al disprezzo del corpo e della materia in favore di una malintesa esaltazione dell'anima e dello spirito. L'esaltazione dello spirito nel disprezzo del corpo, come l'esaltazione del corpo nel disprezzo dello spirito, sono di fatto il seme maligno di una divisione dell'uomo che la grazia incoraggia a combattere e a sconfiggere. La vigilanza consiste nell'esercizio quotidiano dei sensi spirituali, ossia degli stessi sentimenti che furono di Gesù, nella coltivazione della sapienza evangelica che unifica l'esperienza e ci consente di apprezzare i legami fini e profondi del corpo con lo spirito. In tal modo possiamo custodire fin d'ora, in attesa che si compia la promessa della risurrezione della carne, il piacere della libertà del corpo da tutto ciò che è falso e ottuso, laido e volgare, avido e violento. La fede nella risurrezione finale ci aiuta quindi a valorizzare e amare il tempo presente e la terra. La vigilanza cristiana, illuminata dall'orizzonte ultimo, non è fuga dal mondo, bensì capacità di vivere la fedeltà alla terra e al tempo presente nella fedeltà al cielo e al mondo che deve venire. Nella luce della Pasqua, i novissimi - morte, giudizio, inferno, purgatorio, paradiso e risurrezione finale della carne - sono tutte forme dell'essere con Cristo, che è promesso e donato all'abitatore del tempo e si configura a seconda del rapporto che, nella vigilanza o nel rifiuto, si stabilisce tra ogni persona umana e il Signore Gesù.
C. M. Martini, Dalla croce alla gloria, 98-99

A proposito di Santi

Le Caritas parrocchiali e la pastorale giovanile del Decanato di Carate Brianza propongono per giovedì 6 novembre una serata con il Vescovo mons. Bregantini, della diocesi di Campobasso.
Si affronterà il tema: «Una società che tende al privato, può riscoprire dal Vangelo, la gioia della Solidarietà, della Comunità e della Legalità che offrono Speranza». L'appuntamento è alle ore 21,00 presso il CineTeatro Edelweiss di Besana in Brianza





venerdì 31 ottobre 2008

Punti

Richiesta di asilo
di Massimo Gramellini
Da quando ho saputo che la Lega vuol trattare gli immigrati come gli automobilisti, assegnando permessi di soggiorno a punti, sono un po’ preoccupato. Non tanto per gli immigrati, ma per me. Nella proposta si parte da un gruzzolo di 10 punti, concedibile a chi abbia manifestato un buon livello di integrazione sociale e una discreta conoscenza della lingua italiana. Ogni violazione di legge determinerà poi una riduzione dei punti, fino all’azzeramento e alla revoca del permesso.
Ora, mettiamo che questa patente esistenziale si faccia, e che funzioni. Non vorrei che qualcuno decidesse di estenderla agli italiani, inventandosi una cittadinanza a punti subordinata agli stessi requisiti. Il mio livello di integrazione sociale è pessimo, come quello della maggioranza, e peggiora di giorno in giorno: ci guardiamo in cagnesco ai semafori, sui pianerottoli e negli uffici. La discreta conoscenza della lingua italiana rappresenta un altro problema: tuttora perdo minuti preziosi a chiedermi se si dice «avrebbe dovuto» o «sarebbe dovuto» e nel dubbio opto per un salomonico «dovrebbe», cambiando tempo agli altri verbi. Ma come farà a difendere i suoi punti il funzionario ministeriale che sul sito della Pubblica Istruzione (!) ha scritto per tre volte «qual’è» con l’apostrofo? Rimangono le violazioni di legge e lì mettiamoci tutti una mano sulla coscienza e l’altra davanti agli occhi: ciascuno ha il suo elenco, più o meno innocuo. So soltanto che, se passasse la cittadinanza a punti, in breve ci sarebbero sessanta milioni di apolidi e una penisola deserta.

giovedì 30 ottobre 2008

Donna bella


La vera bellezza
Per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili.
Per avere uno sguardo amorevole, cerca il lato buono delle persone.
Per avere un aspetto magro, condividi il tuo cibo con l'affamato.
Per avere capelli bellissimi, lascia che un bimbo li attraversi con le proprie dita una volta al giorno.
Ricorda, se mai avrai bisogno di una mano, le troverai alla fine di entrambe le tue braccia.
Quando diventerai anziana, scoprirai di avere due mani, una per aiutare te stessa, la seconda per aiutare gli altri.
La bellezza di una donna aumenta con il passare degli anni.
La bellezza di una donna non risiede nell'estetica, ma la vera bellezza in una donna è riflessa nella propria anima. E' la preoccupazione di donare con amore, la passione che essa mostra.
Audrey Hepburn

Insieme almeno la Domenica

Lo studio dell'Accademia Italiana della Cucina
Il pranzo della domenica? Un rito per 8 milioni di italiani
Solo il 5% degli italiani preferisce il ristorante, mentre l'imperativo è: tutti a casa in famiglia
Per otto milioni di famiglie il pranzo della domenica è un rito intramontabile: lo sostiene uno studio dell'Accademia Italiana della Cucina, presentato a Milano, che ha toccato tutte le regioni d'Italia, coinvolgendo le 280 delegazioni dell'Aic e producendo ben 1.834 questionari. Sembra, infatti, che tutte le domeniche il 52% delle famiglie italiane si sieda a tavola per gustare un menu che è lo stesso di 50 anni fa: antipasto di salumi misti, pasta asciutta o ripiena, arrosto, patate e torta di mele. Almeno per un giorno trionfa il tipico e il territorio, dicendo no ai piatti pronti e a quelli surgelati. Solo il 5% degli italiani preferisce il ristorante, mentre l'imperativo è: tutti a casa in famiglia.
Nouvelle cuisine, happy hour, finger food, fast food e cucina molecolare. Quindi vent'anni di sperimentazioni e mode alimentari non sono riusciti a intaccare il rito, tradizionalissimo, del pranzo della domenica. «Sono ben felice - afferma Giovanni Ballarini, presidente dell'Accademia Italiana della Cucina - che la ricerca confermi che il pranzo della domenica è un cerimoniale amato e diffuso. Che non solo resiste alle nuove tendenze alimentari ma rappresenta il più solido presidio della tradizione gastronomica italiana, il baluardo più autentico contro i fast food e il rito attraverso il quale recuperare l'antica tradizione del desco familiare». Ed è il Sud il presidio del pranzo della domenica. Un appuntamento che per i cittadini del meridione rappresenta il momento della condivisione familiare (73%) in misura maggiore rispetto a quelli del Centro (61%) e del Nord (56%). Ma non solo. Al sud il pranzo della domenica rappresenta un appuntamento costante: 6 italiani su 10 lo effettuano ogni settimana contro il 50% dei cittadini del Centro e il 45% di quelli del Nord. Al di là del significativo valore gastronomico le famiglie si incontrano per riaffermare il valore della famiglia e lo spirito di convivialità (63%). Quanto alle ricette, l'82% degli italiani ama gustare piatti strettamente locali, preparati con ingredienti freschi: il 65% non fa uso di surgelati e l'85% ha abolito i piatti pronti. I piatti più consumati? Tra gli antipasti trionfano gli affettati (28%), a seguire crostini (15%) e antipasti di mare (5%). Tra i primi vittoria al fotofinish di pastasciutta (17%) e dei tortellini (16,5%), poi lasagne (12%) e risotto (11%). È il classico arrosto, invece, a dominare tra i secondi (24%). Tra i contorni più presenti le patate (30%), seguite dall'insalata (26%). Ma un pranzo della domenica che si rispetti si conclude con un dolce. Il preferito dagli italiani è la torta (15%) seguita dalla crostata (12%), dalla piccola pasticceria (8%) e dal gelato (7%).

mercoledì 29 ottobre 2008

Preghiera in campo

È finita con un pareggio, 1-1 in amichevole con la Giordania, la prima partita in casa della nazionale palestinese, a Gerusalemme, finora costretta a giocare solo in trasferta per colpa della tensione a Gaza e Cisgiordania. Per 48 minuti la Palestina è stata in vantaggio, entusiasmando i 6.500 spettatori allo stadio e gli altri piazzati sui tetti delle auto o sui balconi delle case. (nella foto Afp, la preghiera prima del calcio d'inizio).

Servizio e potere

Gli strofinacci della signora Gina
di mons. Mario Delpini
Avvenire - Milano 7- 02.03.08
«Bisognerebbe farle un monumento», diceva spesso il don Luigi. Da vent’anni la signora Gina tiene in ordine la chiesa, si cura delle pulizie, toglie i fiori appassiti. Sempre disponibile, la signora Gina. La signora Gina, però, è anche un po’ bisbetica e, mentre spolvera panche e balaustre, borbotta di quelle che parlano e parlano, «ma se provi a chiedere loro un aiuto, allora si ricordano di essere proprio di fretta!». La signora Gina è anche un po’ fissata: ha i suoi orari, ha i suoi metodi, ha i suoi strofinacci ben sistemati, tra detersivi e smacchiatori, scope e palette. Don Luigi azzarda una proposta: «Signora Gina, lei merita un monumento! Però adesso possiamo cercare chi l’aiuta e possa un domani sostituirla». «Ti dico io - confida tutta offesa la Gina alla sua amica - se dopo tanti anni mi deve trattare così. Cosa sono? Un ferrovecchio?». Gli strofinacci della signora Gina dicono che anche un servizio può diventare un potere, e chi è generoso può finire per pretendere di essere inamovibile. Che si tratti di strofinacci o dell’organo, della segreteria dell’oratorio o del comitato della festa. Disponibili a tutto, non però a collaborare o a farsi da parte.

Tv sadica

La nostra tv si fonda sul sadismo
Ricetta per sconfiggerlo: portare gli spettacoli di seconda serata in prima, anche correndo il rischio della noia
di Aldo Grasso
Domenica, verso le 19.20, mentre Pippo Baudo come e più di un commesso viaggiatore tentava di piazzare l'ultimo film dell'ultima figlia di Tognazzi (ma le colpe dei figli ricadono sul padre?), sulla prima rete della tv svizzera, Michele Fazioli intervistava Umberto Eco (Controluce, TSI1). L'occasione era l'assegnazione del Premio Manzoni, a Lecco. Eco naturalmente ha parlato di Manzoni (l'analista di linguaggi, il regista cinematografico ante litteram, lo psicologo sociale...), di tecniche narrative, di ipotiposi (figura retorica che consiste nel rappresentare una scena con la parola ma in modo così vivido da offrirne l'immagine visiva), del triangolo più o meno amoroso che si instaura tra autore, testo e lettore, di Proust e del suo amore per le canzonette, di tante altre cose. Coi baffi e senza barba, Eco sembra un'altra persona, così il suo interlocutore ha osato ancora stuzzicarlo sulla famosa fenomenologia di Mike Bongiorno.
Eco se l'è cavata con quella che dovrebbe essere la premessa di ogni critica tv: si parla del personaggio non della persona. Ma poi non ha resistito ad alcune considerazioni sulla nostra tv, il cui modello dominante sarebbe La corrida. Il dilettante allo sbaraglio (e per esteso il non famoso, lo sconosciuto che accede alla ribalta, l'anonimo mediocre...) e le peripezie dell'inferiore mettono a nudo il nostro sadismo. La nostra tv si fonda sul sadismo. Per sconfiggere il quale basterebbe una piccola inversione in stile Bbc: portare gli spettacoli di seconda serata in prima, anche a rischio di noia. L'intervista è stata molto interessante anche perché Eco non aveva alcun libro da promuovere. Per questo, come corollario all'avanzamento della seconda serata, vorrei proporre una moratoria: per almeno sei mesi, a tutti gli ospiti che vanno in tv è fatto divieto di promuovere una loro opera, di qualsiasi genere. Senza promozioni, la Vanna Marchi che alberga in tanti presentatori verrebbe infine umiliata.

martedì 28 ottobre 2008

Il saggio


Il giusto, come il legno di sandalo, profuma la scure che lo colpisce.

detto orientale
postato 1 novembre 2007

Finalmente!

E' uscito in Italia il nuovo libro-intervista
al card. Carlo Maria Martini



lunedì 27 ottobre 2008

Cuore gretto da sanare

Commento di don Matteo Panzeri su Radio Marconi
“Prima di tutto: il vangelo del giorno”.
Lunedì 27 Ottobre: Lc 10, 13-17
In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. C’era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: “Donna, sei libera dalla tua infermità”, e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: “Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato”. Il Signore replicò: “Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott’anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?”. Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Come avremmo reagito noi di fronte a questa scena? Gesù ha appena sciolto le giunture di una donna immobilizzata da diciotto anni.
Luca ha molta cura nel farci intravvedere il lungo e travagliato calvario di questa donna: ci dice infatti che la sua malattia ha 18 anni; che era inferma; che era curva, cioè ferita nella sua stessa dignità, quella che fa stare a testa alta, costretta nel suo stesso corpo ad una posa innaturale; inoltre, il Vangelo ci dice che proprio “in nessun modo” poteva drizzarsi, quasi a suggerire una definitività formidabile di questo male che la tiene prigioniera .
Gesù si è appena mostrato come via di salvezza per questa donna. Il capo della sinagoga invece sembra non percepire nemmeno ciò che è appena accaduto. E’ strano perché fa quasi compassione la sua formidabile meschinità; ci viene da dire: “poveretto, ma di fronte a questo straordinario evento, lui non sa far altro che lamentarsi per una prescrizione formale trasgredita?”.
E’ il cuore gretto di quest’uomo il vero oggetto della compassione di Gesù, manifestata così mirabilmente nei confronti di questa donna. Potremmo quasi cogliere un parallelo: come il corpo di questa donna era bloccato in una posa innaturale, e in nessun modo poteva essere restituito alla sanità così il cuore di un uomo tanto misero non può che rimanere bloccato nella sua piccineria, nella sua visione limitata, gretta e incapace di rendersi conto delle grandi meraviglie che Dio opera.
Anche oggi noi ci imbattiamo spessissimo in persone dal cuore così misero e così limitato che nonostante ci facciano del male noi quasi abbiamo compassione di loro perché capiamo che se sono capaci di essere così velenosi è perché il loro cuore è talmente bloccato, avvelenato, da farli diventare veri e propri serpenti con gli altri.
Intuiamo, in qualche modo, che la malvagità che intride i loro atti e le loro parole deriva dalla miseria interiore, dalla paura che blocca, svuota e poi essicca il loro cuore.
Come dunque la malattia della donna è un simbolo efficace della malattia di questo capo della sinagoga, così la guarigione della donna è segno eloquente di quanto Gesù è in grado di fare anche nei cuori più meschini.
Come suoi discepoli dunque, siamo chiamati anzitutto a non disperare: anche i cuori più meschini, anche le anime più inguaribili possono essere sanate dallo Spirito che Gesù dona a tutti. E così sarà. (...)

Andare avanti!

Si sono svolti i funerali di don Gian Paolo Gastaldi.
Lo ricordiamo con questo articolo
Il coraggio di don Gianpaolo: «Noi andiamo avanti»
L’11 luglio 2003 l'auto del parroco della Comasina, parcheggiata nel cortile della chiesa di San Bernardo, venne incendiata da alcuni sconosciuti. Un grave gesto intimidatorio (poi ripetutosi nel gennaio 2006) perpetrato da chi, evidentemente, si sentiva infastidito dalle attività della parrocchia. Riproponiamo l’articolo pubblicato sul settimanale “Il nostro tempo di Milano” del 20 luglio 2003

«Mentalità mafiosa» e «desolazione civile». Per don Gian Paolo Gastaldi sono questi due gli ingredienti all’origine della miscela esplosiva che ha portato all’attentato incendiario nelle prime ore di venerdì 11 luglio, quando, nel cortile della parrocchia, sconosciuti hanno dato fuoco all’auto di don Gian Paolo, di quella di sua sorella e di quella del viceparroco. Don Gian Paolo è alla Comasina da circa 20 anni ed è parroco di San Bernardo da una decina. Conosce bene dunque la storia e le persone di questo quartiere a nord ovest di Milano. Un quartiere che è stato spesso al centro di tante cronache dei giornali, per gli scontri fra clan malavitosi, per lo spaccio di droga, per la banda Vallanzasca (anche se in realtà il bandito Vallanzasca alla Comasina aveva solo la fidanzata). Come spesso accade, la realtà di un quartiere è molto più complessa, la vita va ben oltre la cronaca nera. E quindi la sinistra fama della Comasina non fa giustizia a chi per tanti anni ha combattuto perché un quartiere di periferia fosse più vivibile. E una di queste realtà è la parrocchia, con decine di genitori, giovani e anziani che si impegnano in una miriade di iniziative di carattere sociale ed educativo a servizio di tutto il quartiere. Rimane però il fatto che qualcuno ha voluto punire i preti e la parrocchia con un attentato. Ed è quindi importante cercare di capire come ciò sia potuto accadere. Forse è il campanello d’allarme che segnala problemi più gravi e ampi.
A distanza di alcuni giorni dall’attentato, quale idea si è fatto delle cause che possono esserne state all’origine? Si è parlato di proteste di alcuni cittadini per il rumore causato dai bambini dell’oratorio feriale, oppure del fatto che abbiate dato fastidio a qualche spacciatore di droga...
Di una cosa sono certo. Il gesto nasce da una cultura mafiosa, ma non perché chi l’ha compiuto è mafioso, ma perché ha una mentalità mafiosa. Quindi dietro questo attentato c’è probabilmente una questione che è diversa dai riferimenti che alcuni hanno fatto alla criminalità organizzata della Comasina.
Si spieghi meglio...
Il problema che sta dietro questo fatto è grave. Questa cultura che potremmo definire violento-mafiosa spinge a compiere gesti con conseguenze più gravi di quanto siano le ragioni che li fanno scaturire. Quindi se uno mi deve dei soldi e non me li dà, lo uccido. Un altro mi offende e io lo accoltello. Ragioni futili, insomma, portano però a gesti gravi. Così penso sia accaduto nel nostro caso. L’oratorio e la parrocchia mi danno fastidio, o perché fanno troppo rumore o per altri motivi, e io brucio le auto dei preti. Il danno che provoco, però, è maggiore rispetto a quello che poteva essere la mia pretesa di giustizia. E questa cultura è alimentata anche dall’assenza delle istituzioni. C’è una completa paralisi delle forze dell’ordine e della giustizia, innanzitutto. È un fatto evidente e ha le sue gravi conseguenze, specialmente sulla microcriminalità. La gente non va neanche più a denunciare danni e furti che subisce. Sia ben chiaro, non sto criticando gli uomini delle forze dell’ordine, che anche qui in quartiere ogni giorno cercano con ogni mezzo di far fronte alle emergenze. Ma il problema è che non vengono dotati degli strumenti necessari e sono sempre troppo pochi rispetto alle esigenze. Ci troviamo in una situazione in cui mancano a livello territoriale le istituzioni: dalle forze dell’ordine, alla scuola, agli uffici comunali o sanitari. In quartiere non è possibile fare un certificato, bisogna andare in Bovisa, ma poi alla Bovisa, come è capitato a me, si trovano gli uffici chiusi per ferie e allora bisogna andare in altri distaccamenti del Comune in altri quartieri. Quel poco che c’era anni fa è stato man mano smantellato. Anche in campo sanitario: in quartiere si possono fare solo prelievi del sangue. E la popolazione del quartiere sta invecchiando. Ma come si fa a pretendere che gli anziani per qualsiasi cosa debbano prendere l’autobus e recarsi in altre parti della città?
E secondo lei questo può spiegare un attentato incendiario alle auto dei sacerdoti?
È il contesto in cui possono maturare gesti così. Di fronte alla mancanza di prevenzione, di fronte al senso di impunità, di fronte alla frustrazione che si prova quando ci si rivolge alle istituzioni per avere giustizia o un servizio quale un banale certificato, la gente è indotta a risolvere i problemi con altri mezzi. Viviamo in un contesto di desolazione civile, che è il terreno ideale in cui possono attecchire una mentalità violenta e mafiosa.
Si è parlato anche del vostro impegno contro la droga...
Il nostro lavoro è di tipo preventivo. Ed è un lavoro quotidiano, attraverso le varie iniziative educative della parrocchia, attraverso l’attenzione verso gli adolescenti. Non abbiamo fatto crociate, ma proponiamo ai giovani un progetto educativo chiaro e fermo, nel quale la droga non ha spazio. È evidente che è un lavoro che può dare fastidio, perché sottraiamo clienti potenziali agli spacciatori. Comunque noi andremo avanti, serenamente come sempre abbiamo fatto.

domenica 26 ottobre 2008

Tavole di comunione

Tra il risotto di Attilio e il brasato di Maria...
di mons. Mario Delpini
Avvenire - Milano 7 - 13 luglio 2008
Il risotto dell’Attilio è famoso ed è un piatto tradizionale per la festa patronale. Chi incontra l’Attilio per strada non risparmia elogi. E a lui basta per sentirsi ricompensato di giorni di frenesia e di fatica. La polenta e brasato della Maria è una squisitezza, non può mancare per la festa patronale. Anche per lei abbondano complimenti e gratitudine. Due piatti famosi e due cuochi apprezzati: che cosa si può desiderare di meglio? Eppure, chi sa perché, quando si avvia la macchina dei preparativi si comincia a percepire una tensione: quali fornelli toccano a me? Che cosa si serve per primo? Dove si preparano gli ingredienti? Succede che cuochi e collaboratori si schierano, talora le parole diventano aspre. Il parroco stenta a convincere che si può fare tutto per bene e in pace, che importante è stare insieme, che non è il caso di minacciare dimissioni perché manca un pentolino. Se gli capita di sbagliare una parola o di uscire con una battuta infelice, rischia di scatenare una guerra. Finita la festa, lavati i piatti, ringraziati cuochi e camerieri, il parroco, pregando compieta, si domanda se tra tante discussioni il patrono sia stato contento della festa patronale.

Come un soffio

Non lo conoscevo e non so nulla di lui oltre a quello che dice questo articolo.
Ma riporto questa morte come "portavoce" di tante altre simili,
che lasciano senza voce.
don Chisciotte

L'azzurro era ancora in campo domenica scorsa. Poi un malore
Una carriera di successo, e il coinvolgimento nelle scommesse truccate
Tennis, morto Federico Luzzi, 28 anni, leucemia fulminante
Il mondo del tennis è sotto choc per la scomparsa improvvisa di Federico Luzzi: a soli 28 anni, l'ex azzurro della racchetta è stato stroncato da una leucemia fulminante. Solo domenica scorsa, a Olbia, era sceso in campo, nonostante un mal di testa insistente, per regalare un punto buono alla sua squadra, quella del Tc Parioli. Ricoverato in ospedale, gli era stata diagnosticata in un primo tempo una polmonite: giovedì, però, controlli più approfonditi avevano dato un responso più grave. Prime cure, poi il coma, da cui Luzzi non si è più svegliato.
Era stato il giovane più promettente del vivaio italiano, illuminato prima dalla ribalta della Davis con la scalata della classifica Atp fino al 92esimo posto, macchiato poi dalla squalifica per lo scandalo delle scommesse.
Nato ad Arezzo il 3 gennaio 1980, inizia a giocare a 3 anni e a 10 comincia la carriera juniores. E' campione del mondo under 14 ed europeo under 16, ma colleziona anche diversi titoli italiani. Passa al professionismo nel '99 e nel 2000 ottiene il suo primo risultato di rilievo nel torneo Atp di Kitzbuhel, qualificandosi agli ottavi battendo Guillermo Coria e Fernando Vicente, allora 34/o al mondo. (...)
Meno di una settimana fa era in campo in Sardegna nonostante le condizioni di salute avessero già dato segnali preoccupanti. Eppure Luzzi aveva detto ai compagni che se ci fosse stato bisogno avrebbe stretto i denti dando una mano nel doppio. E solo martedì aveva mandato al capitano della squadra del Parioli una foto di lui a letto con la flebo, ma con un messaggio confortante: "Sto guarendo e se ce la faccio torno in campo presto", aveva scritto. La leucemia invece non gli ha dato scampo, e dopo due giorni di coma l'ex azzurro se n'è andato. (...)