giovedì 22 giugno 2006

Un rene per finanziare viaggio in Italia

Un rene per finanziare il viaggio in Italia
Come un maratoneta stremato dalla fatica che all'ultimo chilometro incontra un ostacolo imprevisto. Così appare la vita di Angela e Andrej a chi se la sente raccontare. E sono ormai parecchi a conoscerla, perché è una di quelle storie che nessuno vuole tenere per sé: condividerla è un modo per stemperare l'angoscia.Non sembra una vicenda di questo secolo. Non ha nulla di europeo, benché si sia sviluppata tra il cuore dell'Europa e i suoi confini, cioè tra l'Italia, la Turchia e la Moldova, che è il paese dove sono nati Angela e Andrej e i loro tre figli: Ivan, di 13 anni, Vasili di 10, Andrej di 6. Tutto cominciò a Menjir, un paese a 120 chilometri da Chisinau, in una delle zone più povere della povera Moldova. Menjir da alcuni anni è diventato famoso. Ha, infatti, un'industria molto speciale: produce organi di ricambio per esseri umani. Reni, specialmente. Nel 2001 Andrej fu assunto. Il contratto prevedeva un viaggio in Turchia, a Istanbul, l'attesa del compratore (si tratta solitamente di facoltosi cittadini europei o israeliani), un breve periodo di degenza in una clinica di lusso, l'asportazione dell'organo e il ritorno a casa. Tutto questo in cambio della bellezza di 2000 dollari. Somma che potrà apparire irrisoria per un intervento che produce una menomazione permanente e una riduzione considerevole dell'aspettativa di vita, ma che è un bel gruzzolo per un bracciante agricolo che, lavorando fino a dodici ore il giorno, quando gli va bene guadagna venti-trenta dollari al mese. Diventato, come una sessantina di suoi compaesani, un odnopochechnik, cioè un "monorene" (l'espressione è entrata nel linguaggio locale e individua con precisione la categoria) Andrej decise di investire metà della somma per finanziare l'emigrazione di Alla, la cognata. Dopo un anno, gli altri mille dollari erano già finiti. E le retribuzioni per i braccianti agricoli era rimaste le stesse, miserabili, del 2001. Inoltre Andrej sentiva che il suo fisico non era più quello di una volta. Fu così che Angela decise di seguire la sorella Alla in Italia. Era il 31 di agosto del 2004. Non è difficile immaginare la soddisfazione mista a rabbia di Angela quando, benché clandestina, trovò il suo primo lavoro come badante per l'astronomica somma di 700 euro al mese. Soddisfazione perché, anche detraendo il necessario per mangiare, dormire, vestirsi, i soldi che avanzavano garantivano ai suoi tre bambini la possibilità di alimentarsi e di studiare. Rabbia nello scoprire che il rene di Andrej valeva meno di tre mesi di un lavoro sottopagato in Italia. Poco più di un anno dopo, nel novembre scorso, Angela lavorava presso una famiglia di un paese della provincia di Pavia e vedeva, anche se in un orizzonte lontano, il traguardo, e cioè la possibilità di una vita normale. Ma si sentì male. Una sofferenza tremenda e improvvisa, la sensazione di non poter più respirare, la paura di morire. Da allora Angela è paralizzata, del tutto inabile al lavoro. Molto probabilmente la sua vita sarebbe già finita se la signora per la quale lavorava non si fosse presa cura del suo caso come se fosse stato quello di una figlia. Angela adesso è in una clinica specializzata, dà lievi segnali di recupero. Ma i medici non sono riusciti a capire che male l'abbia colpita, tanto che c'è chi ipotizza un effetto ritardato ma micidiale delle radiazioni di Chernobyl. Il suo sogno, e per questo chiede aiuto, è essere trasferita in un ospedale vicino a casa.
(4 giugno 2006) www.repubblica.it

martedì 20 giugno 2006

Dipendenza da videogiochi

* La struttura organizza due settimane tra i boschi per guarire. L'abuso delle console ha effetti simili a quello delle droghe
Videogiochi, clinica ad Amsterdam per curare i giovani dalla dipendenza

Cresce il numero di adolescenti che sta anche 16 ore davanti al pc

AMSTERDAM - Due settimane nei boschi fra Olanda e Germania, a contatto con la natura e - soprattutto - lontano dai videogiochi. Un vero e proprio campo di sopravvivenza per chi vive attaccato al joystick: l'idea è venuta alla clinica Smith and Jones di Amsterdam, specializzata nella cura delle dipendenze. Solo dimostrando ai drogati del pc che la vita reale può essere più eccitante di una partita sulla schermo, spiegano gli organizzatori, si può sperare di salvare chi ha fatto del gioco virtuale una malattia. Come gli adolescenti tra gli 8 e i 18 anni che riescono a stare anche 16 ore davanti al computer, fenomeno in preoccupante. Serve dunque un taglio netto con le consolle e una fuga nei boschi, per guarire una dipendenza che, secondo studi condotti dall'Università di Amsterdam, è del tutto simile a quella da droga. E che a questa spesso si intreccia, dando vita a un mix in grado di 'obbligare' i giocatori a stare ore e ore attaccati al computer con l'unico scopo di passare al livello successivo. Pensieri ossessivi, problemi di salute, danni seri alle relazioni personali, a scuola e sul luogo di lavoro: queste alcune delle conseguenze della sindrome da videogame, scatenata soprattutto da giochi violenti e sanguinari. In essi il 'drogato' si identifica, delegando alla vita dei personaggi virtuali le emozioni reali. La Smith and Jones non è la prima struttura a occuparsi di dipendenza da videogiochi. Ne esistono già una dozzina, negli Usa, in Canada e in Cina. Ma la clinica olandese sarà la prima, con il 'ritiro' di metà luglio, a ospitare i propri pazienti. Nella speranza che alberi e boschi li aiutino a creare un rapporto equilibrato con il pc: scopo del campo, spiegano infatti gli organizzatori, non è far abbandonare il computer ai 'drogati'. Alla fine del corso saranno infatti aiutati a riavvicinarsi a esso. Ma finalmente disintossicati. (17 giugno 2006) www.repubblica.it