sabato 1 marzo 2008

"Clandestini"


“Clandestini”, dopo tre anni il 76% lavora

Tassi di occupazione e istruzione sono paragonabili a quelli degli italiani, ma gli irregolari godono di condizioni abitative deteriori, rivela l’analisi di 38.000 “clandestini” assistiti dal Naga dal 2000 al 2006.
Gli immigrati “clandestini” hanno livelli di istruzione e tassi di occupazione (sebbene non regolare) paragonabili a quelli degli italiani, ma vivono in condizioni abitative lontanissime dagli standard nazionali secondo l’analisi del database dei 38.000 “clandestini” che si sono rivolti al Naga di Milano per ricevere assistenza medica dal 2000 al 2006, condotta da Carlo Devillanova dell’Università Bocconi di Milano insieme a due colleghi dello University College di Londra: Francesco Fasani e Tommaso Frattini.
Anche se sono ovviamente privi di un contratto di lavoro, a tre anni dall’arrivo in Italia il tasso di occupazione dei “clandestini” è del 76%, superiore sia a quello della popolazione italiana (58%), sia a quello della popolazione lombarda (67%). Se si considera l’intero campione (il 70% degli immigrati irregolari, quando compila il questionario Naga, è in Italia da meno di tre anni), il tasso di occupazione si attesta comunque a un notevole 58%, anche se nella metà dei casi il lavoro viene definito “saltuario”. Gli immigrati dall’Africa (sia settentrionale, sia subsahariana) sono i meno occupati.
Il dato sulla condizione lavorativa è in linea con quello sull’istruzione, che risulta paragonabile, se non migliore, a quello nazionale: il 10% dei “clandestini” ha un’istruzione universitaria e più del 50% ha frequentato almeno le scuole superiori.
Si nota una forte correlazione tra istruzione e occupazione, che passa con continuità dal 32,4% degli irregolari analfabeti al 65,6% di chi ha frequentato l’università.
La condizione di clandestino è una delle poche, secondo i dati rilevati dal Naga, che viene alleviata dal fatto di essere donne. Le donne costituiscono il 45% del campione, ma con forte variabilità a seconda della provenienza (si va dall’1% dell’Egitto al 77% dell’Ucraina), sono mediamente più istruite degli uomini, lavorano più spesso (62% contro il 55% maschile) e in modo più permanente (considerano la propria occupazione stabile il 60% delle donne che lavorano, contro il 37% degli uomini). L’età media delle irregolari è un po’ più alta di quella dei maschi: 34 anni contro 32.
La più grande emergenza, mostrano i dati, è abitativa, e anche in questo caso le donne godono di qualche vantaggio, se non altro per la frequente occupazione come collaboratrici domestiche o badanti che consente loro, nel 14% dei casi, di vivere presso il datore di lavoro, una percentuale che scende all’1% per gli uomini. All’8% di uomini (e 4% di donne) senza fissa dimora o che vive in insediamenti abusivi è da aggiungere la gran maggioranza dei “clandestini”, che vive in una situazione di sovraffollamento sconosciuta agli italiani: la media di occupanti per stanza è di 2,2 persone, contro le 0,7 della città di Milano.
Le rilevazioni sembrano confermare che quella di “clandestino” è una condizione transitoria per la gran parte degli immigrati “che, anche quando abbiano trovato un’occupazione”, afferma Pietro Massarotto, presidente del Naga, “devono tuttavia aspettare una sanatoria per potersi regolarizzare. L'analisi dimostra con evidenza come la principale carenza dell'attuale sistema sia costituita da un meccanismo legislativo preconcetto e macchinoso, che impedisce la regolarizzazione dei cittadini immigrati una volta che già si trovino sul territorio italiano. L'approccio restrittivo nega a soggetti di fatto già inseriti di ottenere il permesso di soggiorno, relegandoli nella clandestinità”.
“Della frequente transitorietà della condizione di clandestino dovrebbe tenere conto il decisore politico”, afferma Devillanova della Bocconi. “I provvedimenti presi nei confronti dei “clandestini” e delle loro famiglie sono destinati a ripercuotersi sul loro futuro di regolari”.
Il database di 38.000 “clandestini” su cui è stata condotta la ricerca è uno dei più ampi del mondo. Il Naga, un’associazione di volontariato fondata a Milano nel 1987, fornisce visite mediche a immigrati non in regola con il permesso di soggiorno e perciò non coperti dal Servizio sanitario nazionale. Al momento della prima visita viene chiesto ai “clandestini” di compilare un questionario con dati demografici e socio-economici.

venerdì 29 febbraio 2008

Pietanza scotta


"Grande Fratello una pietanza scotta
Ci sono molte cose che non vanno: dall'idea di avere una famiglia nella casa al cast non in sintonia con la conduttrice
La tv di qualità soffre di qualche pregiudizio nei confronti del Grande Fratello. L'altra sera, quando sul palco dell'Ariston è apparso un branco di pastori tedeschi, Chiambretti ha chiosato: «Tanti cani così non si erano visti neanche al Grande Fratello». Tempi duri per la tv generalista. Il Festival è in crisi. Il Grande Fratello è in crisi. I varietà chiudono. Eh, signora mia non ci sono più gli ascolti di una volta. Il Tramonto dell'Occidente stende la sua ombra anche sull'etere. Guai a cercarne le ragioni tecniche, si passa per sfiziosi (Canale 5, mercoledì, ore 21.19). Eppure nell'edizione di quest'anno del Grande Fratello ci sono molte cose che non vanno, a cominciare da quell'idea strampalata di far entrare nella casa una famiglia. E più in generale da un cast che non è in sintonia con la conduttrice. O viceversa, che è lo stesso.
Si capisce che gli autori, considerati gli inquilini prigionieri della casa, vorrebbero che Alessia Marcuzzi li «sfruculiasse » di più, li costringesse a confessare l'inconfessabile, tirasse fuori le storie che si tengono dentro. Ma questo non accade. Ecco allora l'invenzione della panchina lunga: Il Grande Fratello, giudice inappellabile, fa entrare e uscire chi vuole nella speranza di trovare la formazione giusta.
L'altra sera hanno fatto fuori Andrea e tutti gli ospiti si sono messi a frignare sulla «inutile crudeltà», ma intanto lo hanno fatto fuori. Perché nelle intenzioni degli autori non serviva più: via uno dentro l'altro, stravolgendo un po' le regole del gioco. Cercando di ravvivare con il pepe delle lacrime di coccodrillo una pietanza che appare molto scondita. Questo avviene perché oggi la tv generalista non è più fatta per essere conosciuta (e magari analizzata), ma vissuta: e spiarla, rovistarla, frugarla significa inevitabilmente avvilirla. Nell'avvilimento non c'è posto per l'incanto".

Aldo Grasso 29 febbraio 2008

giovedì 28 febbraio 2008

Lo schermo a pezzi


di MASSIMO GRAMELLINI
"Dopo lunga e sofferta malattia, si è spenta ieri poco serenamente a Sanremo la tv generalista, quella capace di riunire intorno al focolare catodico una nazione intera, anche solo per parlarne male. A certificare il decesso è stato il sommo sacerdote Pippo Baudo, con toni concitati e drammatici, in questo caso adeguati alla straordinarietà del fenomeno, che non è la semplice crisi d’ascolti di una rassegna di canzonette, ma la scomparsa del modello «democristiano» di cultura già entrato in crisi nella scuola: l’idea di un’educazione e di un divertimento uguali per tutti, splendida in teoria, ma che in concreto ha abbassato l’asticella del sapere e del piacere, producendo ignoranza e noia. Ad appassire sulla Riviera dei Fiori sono due fra gli ultimi feticci del secolo scorso: l’Evento Unico di massa e la comunità nazionale. Trattasi di una rivoluzione, sociale e mediatica, con la quale abbiamo già dovuto fare i conti noi della carta stampata. Nessun giornale, nessun romanzo, nessun film e - adesso possiamo dirlo - nessun programma televisivo può ancora avere la pretesa di rivolgersi a una massa indifferenziata di persone. Lo spezzatino ha preso il posto dell’arrosto e non esiste chef in grado di ripristinare l’antico menu. I tentativi di giustificare il crollo di Sanremo con motivazioni meno epocali di questa suonano persino commoventi nella loro inadeguatezza. Qualcuno sostiene che lo spettacolo canoro non attrae pubblico perché sul palco ci sono troppi vecchi. Semmai è vero il contrario: senza Toto Cutugno e Little Tony, che tengono ancorati gli anziani, la fuga dal video avrebbe già assunto i caratteri dell’esodo. Perciò si illude chi pensa di rilanciare l’evento ingaggiando i cantanti che piacciono agli under 50: costoro, infatti, hanno girato per sempre le spalle a trasmissioni del genere, come ha capito a sue spese Piero Chiambretti, le cui battute fosforescenti fanno scompisciare quelli della mia generazione, che non guardano più il Festival, mentre lasciano interdetti gli anziani che continuano a guardarlo. Per qualcun altro la ricetta salvifica consiste nel ridimensionare il carrozzone, accorciando la durata e il numero delle serate. Nessun dubbio che un Sanremo superconcentrato come un dado rallenterebbe la sua fine. Però non riuscirebbe a invertire la tendenza, che è ineluttabile. Infine c’è chi, come Baudo, è convinto che ad aver determinato questa situazione sia l’involgarimento dell’offerta televisiva e, di conseguenza, del Paese. Ieri lo ha urlato in conferenza stampa: «Se io e Chiambretti ci sputassimo addosso, gli ascolti crescerebbero, ma così il pubblico noi lo imbarbariamo, lo fottiamo e abbiamo un’Italia di merda». Non è vero nemmeno questo. Se Baudo e Chiambretti si sputassero addosso gli ascolti crescerebbero, ma per trenta secondi. Poi si ritufferebbero negli abissi. Ormai nemmeno la volgarità garantisce audience, come dimostra il declino del Grande Fratello e degli altri reality show. La rissa, l’insulto, il gesto volgare sono le scosse elettriche che scuotono il cadavere dal «rigor mortis», ma è un’illusione momentanea: sempre di un cadavere si tratta.Il Grande Fratello è stato l’ultimo evento capace di trasformarsi in fenomeno di costume, incrociando l’interesse - anche solo pettegolo - di una comunità variegata. La formula della tv guardona e delle eliminazioni popolari (le famigerate nomination) venne adottata con successo dal Festival di Bonolis, l’ultimo a sfondare l’Auditel, nell’ormai giurassico 2005. Ma in questi ultimi tre anni il mondo dei media è cambiato più che nei precedenti sessanta: si sono diffusi i mille canali di Sky e della piattaforma digitale. Soprattutto è esplosa You Tube, la tv sul computer: è lì che, se proprio voglio farmi del male, posso andarmi a vedere la scena del litigio fra Toto Cutugno e Luzzatto Fegiz al Dopofestival, o il bacio in bocca fra Baudo e la squalificata Bertè. E posso andarmele a vedere gratis, quando e quante volte mi pare, smistandole poi attraverso internet agli interlocutori delle mie nicchie di riferimento: il forum dei tifosi della mia squadra del cuore, il blog degli amici del parmigiano reggiano, il sito dei fanatici di film ugandesi degli Anni 70 e gli altri milioni di rivoli comunitari in cui si è frantumato il mondo dei media. Ancora pochi anni fa, se a una cena dicevi: avete visto giovedì sera da Santoro... sapevi di ottenere una reazione: di disgusto, magari, ma informata. Ora anche Santoro, anche il Festival, e fra un po’ anche la Nazionale, rappresentano l’interesse di comunità specifiche, e alle cene diventa sempre più difficile trovare un argomento comune di conversazione. È un male? No. È un cambio. E come tutti i cambi di stagione va dominato per indirizzarlo al bene. Un’impresa impossibile finché ci si ostinerà a negarlo o a rimpiangere un’epoca che ci commuove nel ricordo, ma che se tornasse non ci piacerebbe più. Non abbiamo un’Italia di m. Abbiamo mille Italie, alcune di m. e altre che invece chiedono spettacoli di qualità. Però li vogliono, appunto, di qualità, come dimostra il successo di Fabio Fazio e dello stesso Baudo extrafestivaliero. Altrimenti preferiscono fare altro. Perché Sanremo è Sanremo, ma noi per fortuna siamo noi".

Martina in salotto

Oggi alle ore 18: WOW!

Non-sense


Ho trovato questo testo di uno psichiatra
e lo pubblico solo per dire come non bisogna scrivere e come si riesce a non dire nulla, nonostante si occupino il tempo e le righe.
Mi restano due domande: quanto mangia male uno che parla così (cfr il noto proverbio)?; fumerà qualcosa prima di scrivere, oppure gli fuma il cervello dopo, visto lo sforzo?

"Il silenzio della tranquillità ci permette di raggiungere il nostro io profondo, ma soltanto la forza delle emozioni è capace di dipingere il quadro della nostra esistenza con quei colori vivaci che permettono all'energia vitale di ognuno di noi di manifestarsi pienamente. Ascoltare le nostre emozioni vuol dire permettere alla nostra mente e al nostro corpo, e in ultima analisi a noi stessi, di essere intelligenti. Proprio con la forza dei fatti che le neuroscienze hanno svelato nell'ultimo decennio, le emozioni sono finalmente uscite dal getto del turbamento fine a se stesso svestendo i panni di sabotatori della ragione per prendere posto nel palco d'onore dell'orchestra decisionale della nostra mente. Soltanto le emozioni sono capaci di evocare tutta la forza delle nostre esperienze passate e soltanto la vitalità emotiva può permetterci di sviluppare l'intuizione che può condurre alla verità ed alla saggezza. Ed è tramite il corpo e le sue sensazioni che possiamo intuire il senso profondo del messaggio emozionale: soltanto ascoltando il nostro "marcatore somatico", rubando le parole ad Antonio Damasio, possiamo trovare le strade giuste sul percorso di una vita vera e saggia.Ascoltare le sensazioni del nostro corpo ci permette quindi di distinguere ciò che aiuta il nostro benessere da ciò che lo ostacola, ci permette di decidere con la memoria delle infinite esperienze della nostra vita passata. Ascoltare il cuore e la pancia e vivere la sensorialità del gusto, dell'olfatto, del tatto e della vista diventano una chiave formidabile ed infallibile per prendere decisioni efficaci; entrare nel vortice del pensiero cercando di soffocare la voce somatica e sensoriale delle nostre emozioni è un razionalizzare che ci priva dell'insegnamento del nostro passato e degli strumenti che milioni di anni di evoluzione hanno plasmato. Preferire la ragione all'emozione ed al nostro corpo vuol dire fidarsi del nostro giovane ed inesperto cervello razionale, dimenticandoci della saggezza millenaria del nostro cervello emotivo con un'unica certezza: quella di fallire. Ecco perché una attenta educazione all'ascolto dei sensi e degli altri segnali del corpo diventa una premessa essenziale per lo sviluppo della saggezza. Ecco perché imparare ad assaporare le onde del mare, vivere i tramonti e le albe, tuffarsi nell'armonia di un Barolo, perdersi nella magia del tartufo, cogliere la bellezza di un fiore ed essere rapiti da un sorriso, diventano premesse indispensabili per una vita intelligente. Soltanto diventando consapevoli dei mille segnali del nostro corpo, soltanto aprendo al mondo i nostri sensi possiamo permettere alla mente di imparare a conoscere noi stessi e la vita... e forse di trovare la chiave magica della felicità".

mercoledì 27 febbraio 2008

Vita nascosta - Nazareth


"Più si dà al Signore e più egli rende. Ho creduto di dar tutto lasciando il mondo ed entrando nella trappa: ho ricevuto più che non avessi donato... Ho creduto ancora di dare tutto lasciando la trappa: sono stato colmato senza misura... Godo infinitamente d’essere povero, vestito come un operaio, come un domestico, in questo umile stato che fu quello di Nostro Signore, e, per un eccesso eccezionale di grazia, d’esserlo così a Nazareth.


(Cristo) ci ha dato l’esempio: vita nascosta (Nazareth), vita solitaria (i quaranta giorni di deserto), vita pubblica (i tre anni di predicazione). Queste tre vite sono ugualmente perfette, poiché Gesù, sempre ugualmente perfetto in ogni periodo della sua vita, sempre Dio, le ha condotte tutte e tre. Esse sono ugualmente perfette in se stesse, ma per noi non è ugualmente perfetto l’abbracciare l’una o l’altra; è indispensabile abbracciare quella in cui Dio ci vuole.


Per quanto mi riguarda, nulla di nuovo: calma, pace, silenzio, ringrazio Dio di questa vita nascosta, così perduta, così simile a quella di Nazareth. Da parte di Dio nulla mi maanca: ho tutto ciò che desideravo, anzi di più. Continuo a benedire Dio, a sentirmi felice, infinitamente felice, in questa vita di Nazareth che egli mi ha fatto tanto desiderare e che mi ha donato così perfettamente".


Charles de Foucauld

Sinodo sulla Parola


Su Civiltà Cattolica di questo mese è apparso un articolo del card. Martini, in vista del prossimo Sinodo sulla Parola di Dio.

Traspare tutta la sua competenza sul tema, ma soprattutto la sua grande passione per ciò che la Trinità vuole rivelare alla Chiesa!

Il testo si può trovare su:

oppure su

Direttori dello spirito


"I direttori di spirito riflettano e ricordino come lo Spirito Santo, e non essi, è l'agente e la guida principale delle anime, delle quali non tralascia mai ,di prendersi cura; essi invece non sono agenti, ma solo strumenti per guidarle per mezzo della fede e della legge di Dio, secondo lo spirito dato a ciascuna dal Signore. Perciò l'unica loro preoccupazione non deve essere quella di renderle conformi al loro punto di vista e alla loro natura, ma si devono preoccupare di sapere per quale via il Signore le conduce; se non lo sanno, le lascino stare senza disturbarle".

san Giovanni della Croce - Epistolario 3,46

lunedì 25 febbraio 2008

The King' singers "Deconstructing Johann"

Ho avuto l'onore di partecipare ad un loro concerto a Roma: dei veri Re della voce!! Lasciano noi a bocca aperta!

I cristiani e la politica


Dal sito della Comunità di Bose, l'articolo di Enzo Bianchi sull'attuale condizione dei cristiani in politica (apparso ieri su La Stampa).


Puoi trovarlo anche su:

Gadget imperdibile



Rosario Elettronico: disponibili nuove personalizzazioni


Il Rosario Elettronico è un oggetto molto utile per chi viaggia e vuole recitare il Santo Rosario in auto, per casa, per anziani o ammalati. Dovunque si può pregare il Santo Rosario e questo piccolo ma utile accessorio può aiutare a farlo, è possibile scegliere tra il modello con cuffie e quello senza. Sono inoltre disponibili le placchette per le personalizzazioni e pile Duracell linea professionale.

domenica 24 febbraio 2008

Vita slow


10 comandamenti per una vita slow
1) Svegliarsi prima per farsi la barba e fare colazione con tutta calma
2) Non scrivere sms o email con abbreviazioni
3) Evitare di fare due cose contemporaneamente (telefonare e scrivere al computer, per esempio)
4) Evitare di arrabbiarsi in coda
5) Salutate a ringraziate al bar o in ascensore
6) Imparare a dire no a qualche appuntamento anche piacevole, non sovraccaricare l’agenda
7) In vacanza dedicare cinque giorni alla preparazione e alla decompressione dalle ferie
8) Camminare invece di prendere l’auto
9) Leggere i giornali prima di andare a letto, invece di fare zapping in tv
10) Evitare di scappare dalle città tutti i fine settimana

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2008/02_Febbraio/15/pop_comandamenti_lentezza.shtml