venerdì 28 dicembre 2007

Taizé a Ginevra


Comincia oggi il Pellegrinaggio di Fiducia sulla Terra dei giovani di Taizé a Ginevra.
Un saluto affettuoso a tutti i partecipanti!
La lettera di frère Alois (successore di frère Roger) la trovi qui:

Martiri









In questa giornata dedicata ai Santi Martiri Innocenti,
voglio rendere omaggio a coloro che sono morti
durante il servizio al bene comune nella politica.
Non saranno innocenti, ma a loro è stata presa la vita.



giovedì 27 dicembre 2007

Formazione teologica per laici



Il pensiero unico


Il pensiero unico di Natale

di Lietta Tornabuoni

Ci voleva Natale per capire bene quello che potremmo chiamare (non in senso filosofico, ma letterale) il pensiero unico. Le persone non parlavano che di progetti natalizi («Andiamo da mia cognata, Vengono tutti da noi, A Firenze da mio figlio, Una scappata d’un giorno al paese, Forse Londra o forse no»), di roba da mangiare («Lasagna coi carciofi, affettati, brodo, tacchino»). Parlavano meno dei regali, ridotti in quantità e valore, più fatti che ricevuti, oggetto di mutamenti sociali: anche i doni aziendali (per fortuna, essendo un’abitudine irragionevole oppure corruttrice) sono molto diminuiti, fin quasi a estinguersi. Armani è stato il primo, già anni fa, a mandare a Natale un elegante biglietto di auguri con l’avvertimento che i fondi previsti per i regali sarebbero stati versati all’Unicef, ai bambini miseri d’una zona africana, ad altri enti: poco a poco, la Rai e molte altre aziende ne hanno seguito l’esempio. Gesto utile e generoso, ma perché impiegarvi i soldi destinati ai doni altrui anziché i soldi propri?
Bambine benefiche chiamate Chanel (è l’ultimo trend popolare, insieme con i nomi Giada o Lavinia) spedivano due euro col telefonino. Natale ha impazzato alla televisione e sui giornali, alternato ai delitti di famiglia più atroci, ai crimini più difficili da risolvere: cerimonie religiose, non-notizie, fumetti e film natalizi, apparizioni promozionali di registi e interpreti di film di Natale, concerti di musiche d’occasione, eserciti di persone (anche bimbi piccoli) vestite di rosso con la barba bianca: era già un miracolo che non vestissero da Babbo Natale Giorgino, Magalli o l’inviato a Kabul. Ieri è stato un giorno di pausa, oggi tutto ricomincia finalizzato al Capodanno o addirittura, allo scopo di prolungare il più possibile «le feste», all’Epifania.
Un sospetto, o almeno un dubbio: non sarà che il pensiero unico di Natale funzioni pure in altri momenti dell’anno, non sarà che parliamo tutti delle stesse cose negli stessi identici termini, non sarà che stiamo disimparando a usare la testa?
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=3942&ID_sezione=&sezione
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Babbo Natale sinistramente allegro


Un articolo che non mi convince in tanti passaggi,
ma che ha una buona intuizione di fondo.


"Babbo Natale invece è sinistramente allegro; è persuaso e vuole persuadere gli altri che tutto va bene e andrà sempre meglio; che il nostro mondo, la nostra società, il nostro benessere, il nostro denaro, la nostra democrazia, il nostro teatro quotidiano siano i migliori e gli unici possibili, una crescita destinata ad accrescersi trionfalmente sempre più, una scorpacciata senza limiti garantita da pillole digestive sempre più efficaci, un progresso inarrestabile, uno stadio definitivo e un ordine immutabile, un oggi scambiato per l'eterno. Incubi di pranzi in cui l'obbligato ingozzarsi insinua nell'animo una pesantezza di morte, quintali di biglietti augurali e cassette di vini e di dolciumi che ingombrano la casa dei fortunati destinatari di omaggi con la violenza dell'invasione. Il Natale è la nascita di un bambino, di un salvatore che sarà crocifisso e conoscerà l'estremo abbattimento del Getsemani; la gioia che esso annuncia non è una truffa, perché non nasconde il dolore, il crollo del mondo".


tratto dall'articolo di C. Magris, Babbo Natale falso ottimista, Corriere 24 dicembre 2007

mercoledì 26 dicembre 2007

Amico


Amico: perché sei il legame che unisce, ma non imprigiona.
Amico: perché sei la stella che guida, ma non abbaglia.
Amico: perché sei l'albero che abbraccia, ma non stringe.
Amico: perché sei la brezza che placa, ma non addormenta.
Amico: perché sei sguardo che scruta, ma non giudica.
Amico: perché sei parola che previene, ma non tormenta.
Amico: perché sei fratello che corregge, ma non umilia.
Amico: perché sei un mantello che copre, ma non soffoca.
Amico: perché sei lima che affina, ma non scortica.
Amico: perché sei la mano che accompagna, ma non sforza.
Amico: perché sei il cuore che ama, ma non esige.
Amico: perché sei la tenerezza che protegge, ma non assoggetta.
Amico: perché sei immagine di Dio, appunto per questo.


E. Oshiro

martedì 25 dicembre 2007

AUGURI DISTINTI!


E' qui lo sbaglio: nella pretesa di voler trovare delle formule standard, buone per tutti. Invece, a Natale, non si possono porgere auguri indistinti.
Dire buon Natale a te, Ignazio, che vivi immo­bilizzato da anni, dopo quel terribile incidente stradale che ti ha ridotto a un rudere, è molto di­verso che dire buon Natale a te, Franco, che hai fatta spese pazze per rinnovarti l'attrezzatura scii­stica, e il 25 dicembre lo passerai in montagna, do­ve hai già prenotato l'albergo per la settimana bianca. Tu, Ignazio, la stella cometa del presepe non la vedi neanche, perché non puoi muovere la testa dal guanciale. E, allora, devo descrivertela io, e dirti che essa fa luce anche per te, e assicurarti che Gesù è venuto a dare senso alla tua tragedia e che, nella notte santa, anzi ogni notte della tua vita, egli trasloca dalla mangiatoia per venirti ac­canto e farsi scaldare da te. Tu, Franco, la stella co­meta non la vedi perché non hai tempo per pen­sare a queste cose, e in testa hai ben altre stelle. E, allora, devo provocartene io la nostalgia, e dirti che le lampade dei ritrovi mondani, dove consu­mi le tue notti e i tuoi soldi, non fanno luce suffi­ciente a dar senso alla tua vita.
Dire buon Natale a te, Katia, che il 26 andrai all'altare con Cosimo, è molto diverso che dire buon Natale a Rosaria, che il mese scorso ha fir­mato la separazione consensuale, dopo che Gigi se n'è andato con un'altra. Perché a te, Katia, basterà l'invito a vedere nel presepe la celebrazione nu­ziale suprema di Dio che prende in sposa l'uma­nità, e già ti sentirai coinvolta nel mistero dell'in­carnazione. A te, Rosaria, invece, che per la pri­ma volta le feste le passerai sola in casa, e che non hai voglia neppure di andare a pranzo dai tuoi, oc­correrà tutta la mia discrezione per farti capire che non è molto dissimile il ripudio subito da Gesù nella notte santa. Buon Natale, Rosaria! E buon Natale anche a Gigi, perché, scorgendo nel bam­bino del presepe il mistero della fedeltà di Dio, torni presto a casa.
Dire buon Natale a te, carissimo Nicola, che mi sei tanto vicino con la tua amicizia, ma anche tan­to lontano con l'ateismo che professi, è molto di verso che dire buon Natale a te, don Donato, che sei rettore del seminario regionale, e, le parole di santità, tu sei bravo a dirmele più di quanto io non sappia fare con te. Perché tu, don Donato, hai un cuore che trabocca di tenerezza, e quando parli del Verbo che scende sulla terra e diventa l'Emmanuele, cioè il Dio con noi, si vede che ci credi a quello che dici, e daresti la vita perché anche gli altri ponessero lo sguardo su quel pozzo di luce che rischia di accecare i tuoi occhi. Mentre tu, Nicola, davanti al presepe resti impassibile, e il bue e l'a­sino ti fanno sorridere, e l'incanto di quella notte ti sembra una fuga dalla realtà, e rassomigli tanto a qualcuno di quei pastori (qualcuno ci deve esse­re pur stato!) che, all'apparizione degli angeli, non si è neppure scomposto ed è rimasto a scaldarsi da­vanti al fuoco del suo scetticismo. Non voglio for­zare la tua coscienza, ma sei proprio sicuro che quel bambino non abbia nulla da dirti, e che que­sto mistero (che tu vorresti confinare tra le favo­le) di Dio fatto uomo per amore, sia completamente estraneo al tuo bisogno di felicità? Auguri, comunque, perché la tua irreprensibile onestà umana trovi nella culla di Betlem la sua sorgente e il suo estuario.
Dire buon Natale a te, Corrado, che vivi nella casa di riposo, e la sera ti lasci cullare dalle nenie pastorali, e te ne vai sulle ali della fantasia ai tempi di quando eri bambino, e la tua anima brulica di ricordi più di quanto i tratturi del presepe non brulichino di pecorelle, e pensi che questo sarà forse il tuo ultimo Natale, e ti raffiguri già il mo­mento in cui Gesù lo contemplerai faccia a faccia con i tuoi occhi... è molto diverso che fare gli au­guri a te, Antonietta, che hai vent'anni e tutti di­cono che non sei più quella di una volta, e l'altro giorno mi hai confidato che non fai più parte del coro e che forse quest'anno non ti confesserai nep­pure. Buon Natale, Antonietta! Pregherò perché tu possa trovare cinque minuti per piangere da so­la davanti alla culla, e in quel pianto tu possa spe­rimentare le stesse emozioni di quando la sempli­ce carta stagnola del presepe ti faceva trasalire di felicità.
Un conto è dire buon Natale a te, Gianni, che stai in ospedale e oggi anche i medici se ne sono andati, e tu non vedi l'ora che arrivi il momento delle visite per poter parlare con qualcuno, e un conto è dire buon Natale a te, Pietro, che in car­cere nessuno verrà a trovare dopo che ne hai com­binate di tutti i colori perfino a tuo padre e a tua madre. Auguri a tutti e due, comunque, e ai vostri compagni di corsia o di cella: Gesù Cristo vi re­stituisca la salute del corpo e quella dello spirito.
Buon Natale a te, Carmela, che sei rimasta ve­dova. A te, Marina, che sei felice perché le cose vanno bene. A te, Michele, che ti disperi perché le cose vanno male. A te, Mussif, e a tutti i profu­ghi albanesi che vivono insieme nella casa di ac­coglienza. A te, Sahìd, che guardi alla televisione gli spettacoli dell'Unicef sui bambini iracheni e slavi decimati dalla fame, e, per un'associazione di immagini non certo molto strana, pensi ai tuoi fi­gli che hai lasciato in Tunisia.
Dopo che l'ho poggiata sull'altare, profumata d'incenso e grondante ancora di benedizioni divi­ne, voglio dare la mano a tutti, sicuro che nessu­no tirerà indietro la sua.
Perché a Natale, felice o triste che sia, fedele o miscredente, miserabile o miliardario, ognuno av­verte, chi sa per quale mistero, che di quel bam­bino «avvolto in fasce e deposto nella mangia­toia», una volta conosciuto, non può più fare a meno nessuno.


mons. Tonino Bello, Avvento-Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 122-126.

The Blues Brothers - "Ho visto la luce!"

Un piccolo saggio della Veglia prima della Messa di Mezzanotte a Lurago M.

lunedì 24 dicembre 2007

Fortune della vita - 10


Stamattina alle sette

ad est luci d'alba

ad ovest luna piena

a nord silenzio

a sud silenzio

in basso terra

in alto cielo

Prenatalizia - 7


"Non so che libro scriverò domani, perché non so che uomo sarò. Per il momento, vorrei che la mia vita fosse come un fiore che continua ad aprirsi, con un profumo sempre più grande. Vorrei imparare a piangere, vorrei arrivare a capire meno perché rifletterei sempre di più, vorrei leggere libri che siano belli come un prato, e posare il mio sguardo sulla luce scritta, vorrei giungere alla morte più fresco di un neonato, e morire con lo stupore dei neonati quando li si fa emergere dall'acqua".


Christian Bobin, La luce del mondo, 188

domenica 23 dicembre 2007

Letture



"Ci sarà sempre qualcosa che mi mancherà, perché so leggere;


non vedrò mai più il mondo come lo vedrebbe un illetterato"




Christian Bobin, La luce del mondo, 139

Prenatalizia


Le famiglie che si radunano per la celebrazione della Pasqua settimanale, cioè per la messa domenicale, sono davvero fortunate, o, meglio, benedette. Trovano nella chiesa dove la comunità si raduna un luogo dove il peso della settimana può farsi più lieve: sanno che nel calice del vino si aggiunge un po' d'acqua.
Sono le loro lacrime, le lacrime di tanti che hanno passato giorni di dolore, di fatica, di nervosismo, di umiliazione.
Le lacrime si mescolano con le forti grida e le lacrime del Figlio di Dio: diventano la forza di una nuova alleanza. Senza la Domenica non possiamo vivere, benedette quelle famiglie che sanno accogliere il dono della Domenica senza lasciarsi trascinare dalle mode che ne vorrebbero fare una occasione di dispersione, di consumo, di frenesia di esperienze.
La convocazione comunitaria è profezia di una possibile fraternità dentro la città, nel cuore dei paesi: la messa della Domenica è la grazia di un incontro con fratelli e sorelle nella fede che ritessono la trama di rapporti che rischia di essere lacerata dall'individualismo e dalle paure, dalle pigrizie e dalla suscettibilità. È bella la messa della Domenica! Deve essere bella la chiesa, devono essere belli i canti e le parole: deve essere una festa.
I cristiani devono sentirsi nelle condizioni di invitare amici e conoscenti alla messa della Domenica: venite anche voi, è così bello e così necessario! La preghiera condivisa è una insuperabile esperienza spirituale. Si condivide la preghiera con tutti, con tutta la comunione dei santi.
Talora la fede fragile, distratta, problematica di uomini e donne del nostro tempo trova una imprevedibile intensità quando avverte d'essere dentro la grande preghiera della Chiesa: anche le parole ridotte a formule consunte possono diventare fuoco quando uno riesce a intuire come hanno vissuto la confidenza in Dio e il cammino della fede, proprio con quelle stesse parole, la santa nonna o il beato Cardinal Schuster, Madre Teresa o Padre Pio, Teresina di Gesù o il mio vecchio parroco, Carlo de Foucauld o mio papà.
La preghiera condivisa può essere un aiuto nei cammino della fede anche per i genitori. L'incanto con cui un bambino accende una candela o si prepara a ricevere la prima comunione, la concentrazione con cui il figlio presta servizio all'altare sono come una rivelazione della verità e serietà della presenza di Dio. La mamma e il papà che portano in chiesa il figlio per una scadenza che sembra imposta dall'età e dalla tradizione sono talora introdotti alle domande più serie, e tra tutte le cose importanti possono intuire che una sola è quella necessaria...


card. D. Tettamanzi, I giorni di Gerusalemme, 18-19