sabato 16 agosto 2008

Ricordando frère Roger di Taizé


Tre anni fa veniva ucciso frère Roger di Taizé,
al termine della preghiera serale.
Pochi giorni prima mi aveva abbracciato,
al termine della Messa domenicale.

"Felicità. Chi ti spianerà la via per raggiungere alle sorgenti zampillanti? Solo là e non altrove si sviluppano le forze vive del rischio. Quando ti interroghi dicendo: "Come potrò realizzarmi?", sai di aspirare ad un'esistenza di completezza e non ad una vita inquadrata e senza rischi. Non attardarti in situazioni senza via d'uscita perché vi bruceresti energie vitali. Niente compiacenze con te stesso. Va oltre, senza esitare. E scoprirai che il tuo cuore s'allarga: solo alla presenza di Dio l'uomo si realizza".

"Vivere la Pasqua. Se la pianta non si orienta verso la luce, appassisce. Se il cristiano rifiuta di guardare la luce, se si ostina a guardare solo le tenebre, cammina verso una morte lenta; non può crescere né costruirsi in Cristo. A poco a poco Cristo trasforma e trasfigura tutte le forze ribelli e contraddittorie che ci sono dentro di noi... Piangere sulla nostra ferita ci trasformerebbe in uno strazio, in una forza che aggredisce con violenza noi stessi e gli altri, soprattutto chi ci è più vicino. Una volta trasfigurata da Cristo, la ferita si trasforma in una fonte di energia, in una sorgente da cui scaturiscono le forze di comunione, di amicizia e comprensione. Questa trasfigurazione è l'inizio della risurrezione sulla terra, è vivere la Pasqua insieme a Gesù; è un continuo passare dalla morte alla vita".
frère Roger

Video di presentazione di una settimana a Taizé

Meditazione biblica mensile - agosto 2008

venerdì 15 agosto 2008

Assunta


"Pochissimi sono i vivi e molti i morti in questa vita - poiché morto è colui che non si lascia mai andare e non sa prendere le distanze da sé per un amore o per uno scoppio di risa".
Christian Bobin, Il distacco dal mondo, 59

giovedì 14 agosto 2008

Finezze


Non voglio entrare nel merito della questione,
perché non mi va di strattonare la stampa secondo il mio interesse.
Però voglio riportare l'editoriale de "Il Giornale" di oggi, con alcune domande:
- possibile che tutti ci debbano dare lezioni su ciò che è cristiano e ciò che non lo è?
- ce le devono dare coloro che hanno la penna affilata come un pugnale?
- ce le devono dare quelli che hanno la lingua biforcuta?
- quelli che hanno interesse, perché sono pagati per difendere chi paga?
- dove è finita la possibilità di dire la propria, senza essere schiaffeggiati?
- ci sarà la differenza tra l'articolo di un direttore e quello di un cabarettista scalcagnato?
- veramente non si accorge che quello che dice è un indice rivolto anzitutto verso se stesso?

DITE QUALCOSA DI CRISTIANO
di Mario Giordano
Se errare è umano e perseverare è diabolico, per Famiglia Cristiana ci vuole l’esorcista. Dopo aver sferrato un attacco contro il governo con toni che al confronto Bakunin è forlaniano, il settimanale ormai più pierino che paolino torna sulle barricate, a soli due giorni di distanza, con un secondo editoriale ancor più estremisticamente bislacco. E dopo aver usato una serie di delicati epiteti, ballando sul baratro del ridicolo («Paese da marciapiede», «presidente spazzino», «peggio dell’Angola», etc.), fa un deciso passo in avanti: scopre il «rischio del fascismo» e giudica l’azione del governo alla pari dei rastrellamenti nazisti nel ghetto di Varsavia. Non stiamo scherzando: se a Ferragosto in redazione non si concedono una pausa, con il prossimo numero forse scopriremo che Berlusconi è stato il mandante delle Fosse Ardeatine e Maroni un kapò ad Auschwitz.
Il direttore del settimanale, che una volta veniva letto come se fosse la voce del vangelo e adesso invece, al massimo, come se fosse la voce di Pecoraro Scanio, ha detto che sono un po’ in crisi con le vendite e che per questo stanno facendo molti tagli. Si sa, sono tempi duri per tutti. Ma se non si decidono a ripristinare l’aria condizionata in redazione sono guai seri: ad agosto il caldo fa sragionare. E così anche i più autorevoli editorialisti finiscono per scrivere su un settimanale cattolico articoli che apparirebbero un po’ forti anche per il manifesto e liberazione. Risultato: uno cerca in edicola una copia di Famiglia Cristiana, si trova tra le mani al massimo una coppia di fatto bertinottiana.
Vi sconsigliamo di comprare il papiro, ma vi riassumiamo il pezzo forte debitamente anticipato alle agenzie. Un articolo di Beppe Del Colle che, per rispondere al vespaio di polemiche suscitate dal primo violento ukaze, accusa i politici di fare dichiarazioni «superficiali e irresponsabili». E, per restare in tema, parla di «rischio fascismo» in Italia e, di fianco, pubblica la storica foto del bimbo ebreo di Varsavia, simbolo della persecuzione nazista, dicendo che è venuta in mente a tutti (proprio a tutti?) quando Maroni ha presentato il pacchetto sicurezza e le norme sui rom. C’è altro da aggiungere? Evidentemente non sono solo i politici a fare dichiarazioni «superficiali e irresponsabili». Anche i giornalisti si difendono bene.
Sarebbe fin troppo facile contrapporre ai vaneggiamenti del settimanale, l’analisi di Newsweek (periodico non certo amico del centrodestra italiano) che parla dei primi cento giorni del governo come «miracolo di Berlusconi». Non ne vale la pena. E non vorremmo nemmeno dare troppa importanza a un editorialista evidentemente vittima del solleone. Ma c’è una cosa che ci preoccupa: è il fatto che, di fronte agli indiscutibili risultati ottenuti dal governo e al disorientamento dell’opposizione, i toni incivili, finora prerogativa del trattorista di Montenero e dei suoi girotonti, sfiorino anche chi, per la sua stessa ragione sociale, dovrebbe rappresentare il volto più moderato e ragionevole del Paese. Non è in questione, naturalmente, il diritto di critica: è in questione la possibilità di un dialogo. Paragonare un governo al nazismo significa alzare un muro, una trincea, una barricata: con i nazisti si può forse parlare? Trattare? Discutere? No, certo. E questo è ingiusto, non solo nei confronti del governo. È ingiusto soprattutto nei confronti della famiglia cristiana, quella vera, che non merita che il suo nome venga usurpato da alcuni orfani del cattocomunismo, sempre meno capaci di fare chiesa e sempre più capaci di fare cappelle. (link all'articolo)

Sito di Famiglia Cristiana

mercoledì 13 agosto 2008

Bisogno di dirsi


Il sito X pubblica sul web storie e confessioni telefoniche degli utenti
C'è chi racconta che vorrebbe uccidere il coniuge, chi sogna di fare spogliarelli...
Paure, speranze, rivelazioni. Il sito che raccoglie i segreti
"XY" aveva un peso sulla coscienza. Anni fa ha spinto la sua migliore amica ad abortire senza dire nulla alla sua famiglia ed ora aveva bisogno di raccontarlo a qualcuno. "YX", che lavora in uno zoo, parla invece del più grande errore della sua vita: un giorno non ha chiuso bene alcune gabbie e solo per un colpo di fortuna alcuni animali feroci non sono riusciti a scappare. Sono solamente due delle centinaia di anonime confessioni raccolte in pochi mesi dal sito X, uno spazio lasciato a disposizione di chi ha una storia e non ce la fa più a tenerla per sé.
Lo slogan del sito X è "Storie vere di persone vere". Gli utenti si registrano, decidono quante informazioni su loro stessi rendere visibili e poi, componendo un numero di telefono statunitense, possono registrare i propri racconti, che vengono classificati in base al contenuto e immediatamente pubblicati. A quel punto tutti li possono ascoltare in streaming da ogni parte del mondo.
Il sito non indica ai visitatori che tipo di interventi effettuare, tanto che vi si possono trovare persino giudizi su ristoranti e numerose esternazioni di stampo politico. Molti però lo hanno ormai trasformato in un vero e proprio confessionale a cui affidare i loro piccoli e grandi segreti. Un modo per dire e non dire, per raccontare al mondo vicende intime della propria vita potendo però contare sull'anonimato garantito dal proprio username. Per confidare ad altri i propri sogni, i misfatti di conoscenti e amici o le proprie debolezze senza temere conseguenze.
E così al sito vengono consegnate dichiarazioni più o meno compromettenti. (...) "XZ", infine, dichiara addirittura che, se avesse la certezza di non essere scoperta, ucciderebbe il marito. Altri parlano delle proprie paure, di temi sicuramente delicati, personali. "ZX" dice che un'idea la terrorizza sin da bambina: morire per un colpo di pistola alla testa. "ZY" racconta uno dei momenti più terribili della sua infanzia, e cioè il tentativo di suicidio della madre. "YZ" rivela invece che un amico, del quale ovviamente non fa il nome, ha problemi con alcool e droga. (...)
L'ascolto di diverse confessioni lascia inevitabilmente un retrogusto amaro. A molte di queste storie raccontate su internet corrisponde infatti qualcuno che non ha una persona in carne ed ossa con cui potersi confidare. E i commenti lasciati dagli utenti non possono certo sostituire una pacca sulla spalla o un abbraccio. (...)
articolo

martedì 12 agosto 2008

Conoscere questo mondo

"Per cercare un dialogo proficuo tra la gente di questo mondo ed il Vangelo e per rinnovare la nostra pedagogia alla luce dell'esempio di Gesù, è importante osservare attentamente il cosiddetto mondo postmoderno, che costituisce il contesto di fondo di molti di questi problemi e ne condiziona le soluzioni.

Una mentalità postmoderna potrebbe essere definita in termini di opposizioni: un'atmosfera e un movimento di pensiero che si oppone al mondo così come lo abbiamo finora conosciuto. È una mentalità che si distacca spontaneamente dalla metafisica, dall'aristotelismo, dalla tradizione agostiniana e da Roma, considerata come la sede della Chiesa, e da molte altre cose. Il pensare postmoderno è lontano dal precedente mondo cristiano platonico in cui erano dati per scontati la supremazia della verità e dei valori sui sentimenti, dell'intelligenza sulla volontà, dello spirito sulla carne, dell'unità sul pluralismo, dell'ascetismo sulla vitalità, dell'eternità sulla temporalità. Nel nostro mondo di oggi vi è infatti una istintiva preferenza per i sentimenti sulla volontà, per le impressioni sull'intelligenza, per una logica arbitraria e la ricerca del piacere su una moralità ascetica e coercitiva. Questo è un mondo in cui sono prioritari la sensibilità, l'emozione e l'attimo presente. L'esistenza umana diventa quindi un luogo in cui vi è libertà senza freni, in cui una persona esercita, o crede di poter esercitare, il suo personale arbitrio e la propria creatività.

Questo tempo è anche di reazione contro una mentalità eccessivamente razionale. La letteratura, l'arte, la musica e le nuove scienze umane (in particolare la psicoanalisi) rivelano come molte persone non credono più di vivere in un mondo guidato da leggi razionali, dove la civiltà occidentale è un modello da imitare nel mondo. Viene invece accettato che tutte le civiltà siano uguali, mentre prima si insisteva sulla cosiddetta tradizione classica. Oggi un po' tutto viene posto sullo stesso piano, perché non esistono più criteri con cui verificare che cosa sia una civiltà vera e autentica. Vi è opposizione alla razionalità vista anche come fonte di violenza perché le persone ritengono che la razionalità può essere imposta in quanto vera. Si preferisce ogni forma di dialogo e di scambio per il desiderio di essere sempre aperti agli altri e a ciò che è diverso, si è dubbiosi anche verso se stessi e non ci si fida di chi vuole affermare la propria identità con la forza. Questo è il motivo per cui il cristianesimo non viene accolto facilmente quando si presenta come la 'vera' religione. Ricordo un giovane che recentemente mi diceva: «Soprattutto, non mi dica che il cristianesimo è verità. Questo mi dà fastidio, mi blocca. È diverso che dire che il cristianesimo è bello...». La bellezza è preferibile alla verità.

In questo clima, la tecnologia non è più considerata uno strumento al servizio dell'umanità, ma un ambiente in cui si danno le nuove regole per interpretare il mondo: non esiste più l'essenza delle cose, ma solo l'utilizzo di esse per un certo fine determinato dalla volontà e dal desiderio di ciascuno.

In questo clima, è conseguente il rifiuto del senso del peccato e della redenzione. Si dice: «Tutti sono uguali, ma ogni persona è unica». Esiste il diritto assoluto di essere unici e di affermare se stessi. Ogni regola morale è obsoleta. Non esiste più il peccato, né il perdono, né la redenzione e tanto meno il «rinnegare se stessi». La vita non può più essere vista come un sacrificio o una sofferenza.

Un'ultima caratteristica della postmodernità è il rifiuto di accettare qualunque cosa che sa di centralismo o di volontà di dirigere le cose dall'alto. In questo modo di pensare vi è un «complesso anti-romano». Siamo ormai oltre il contesto in cui l'universale, ciò che era scritto, generale e senza tempo, contava di più; in cui ciò che era durevole e immutabile veniva preferito rispetto a ciò che era particolare, locale e datato. Oggi la preferenza è invece per una conoscenza più locale, pluralista, adattabile a circostanze e a tempi diversi.

Non voglio ora esprimere giudizi. Sarebbe necessario molto discernimento per distinguere il vero dal falso, che cosa viene detto con approssimazione da ciò che viene detto con precisione, che cosa è semplicemente una tendenza o una moda da ciò che è una dichiarazione importante e significativa. Ciò che mi preme sottolineare è che questa mentalità è ormai dappertutto, soprattutto presso i giovani, e bisogna tenerne conto.

Ma voglio aggiungere una cosa. Forse questa situazione è migliore di quella che esisteva prima. Perché il cristianesimo ha la possibilità di mostrare meglio il suo carattere di sfida, di oggettività, di realismo, di esercizio della vera libertà, di religione legata alla vita del corpo e non solo della mente. In un mondo come quello in cui viviamo oggi, il mistero di un Dio non disponibile e sempre sorprendente acquista maggiore bellezza; la fede compresa come un rischio diventa più attraente. Il cristianesimo appare più bello, più vicino alla gente, più vero. Il mistero della Trinità appare come fonte di significato per la vita e un aiuto per comprendere il mistero dell'esistenza umana".

card. Carlo Maria Martini

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lunedì 11 agosto 2008

Supermamme


Agli inglesi non piace più la supermamma Il modello "supermamma" è in declino anche negli Stati Uniti
Studio di Cambridge: per le donne impossibile seguire figli e carriera
(...) Eppure, mentre la cultura delle pari opportunità avanza nei Parlamenti e nelle società, il mito della supermamma è in agonia proprio nei paesi che l’hanno tenuto a battesimo: Gran Bretagna e Stati Uniti. Se ne sono accorti i ricercatori della «Cambridge University», dopo aver confrontato vent’anni di inchieste sui rapporti fra donne, famiglia e lavoro. «È inutile girarci attorno - spiega la sociologa Jacqueline Scott, responsabile dello studio -. Le donne che si danno da fare nel lavoro lo fanno a discapito della famiglia. Se ne sono rese conto loro stesse».
I numeri parlano chiaro: se nel 1994 il 51% delle donne e il 52% degli uomini britannici affermava di credere alla frase «il fatto che una donna lavori non crea disagi alla famiglia», nel 2002 le percentuali si sono abbassate al 46% delle donne e al 42% degli uomini. Negli Stati Uniti il cambiamento è stato anche più drastico: nel 1994 il 51% degli intervistati sosteneva il mito della supermamma, nel 2002 la percentuale è scesa al 38%. Contemporaneamente è calato anche il numero di persone disposte a sottoscrivere la frase: «Per una donna il modo migliore per ottenere l’indipendenza è cercarsi un lavoro». Ma la tendenza sta guadagnando terreno anche negli altri paesi dell’Unione europea, ad eccezione della Germania. (...)
La Fawcett Society, un istituto fondato dalle suffragette inglesi che dal 1866 si batte per la parità dei diritti, riconosce la verità di questa analisi. «Dimostra che il tentativo di mettere le donne al posto degli uomini e gli uomini al posto delle donne è fallito - afferma Kat Banyard, la direttrice - In questo modo le donne non hanno fatto altro che accollarsi due pesi: la carriera e la vita domestica. La verità è che la cultura del lavoro a tempo pieno e la mancanza di flessibilità non fanno altro che tenere imbrigliata la società negli stereotipi di genere». E così le donne si ritrovano davanti al bivio di sempre. «In Gran Bretagna stiamo imboccando la direzione sbagliata dopo 20 anni di successi culturali nel campo delle pari opportunità - continua la professoressa Scott -. Dobbiamo rivedere completamente il nostro modello di welfare affinché lavoro e famiglia tornino ad essere compatibili» (...) qui trovi l'articolo