sabato 9 maggio 2009

Scrivere-vivere

«E, chinatosi di nuovo, Gesù scriveva in terra" (cfr Gv 8,1-11).
Ahimé una sola volta il Cristo, stando al Vangelo, ha compiuto questa occupazione che ruba tante ore della mia giornata.
Chi 'vive' non ha bisogno di scrivere...».
Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi, 159
postato sul blog il 27 novembre 2007

Matrimonio

Se la presenza di una persona che ci è cara opera un cambiamento sensibile nel nostro spirito e nel nostro corpo e ci riempie di una gioia e di un’allegrezza che sovente appaiono anche sul nostro volto, quale cambiamento opererà la presenza del Signore in un’anima pura quando le appare in maniera invisibile? (...)
Colui che davvero ama si raffigura continuamente il volto della persona amata e lo guarda con tale gioia nel pensiero che neppure il sonno è capace di distoglierlo da quell’oggetto e il suo affetto glielo fa vedere in sogno. Nelle realtà corporali avviene lo stesso che in quelle incorporee.
Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso V, 54.

venerdì 8 maggio 2009

Scatti dai giardini


su Raivaticano



Sproporzioni

Questione di proporzioni
Un modo intrigante per riflettere, su fatti, argomenti, e comportamenti. Questa volta parliamo di igiene e salute.
Il sito web ARPAKIDS dell'ARPA Sicilia, pubblica periodicamente notizie inusuali sull'ambiente, la natura, gli animali, corredate da spunti e suggerimenti didattici (...).
Il World Watch Institute (WWI), pubblica periodicamente una pagina di spunti di riflessione, chiamati Questione di Proporzioni, che sono una vera e propria provocazione educativa. Argomenti della vita di tutti i giorni sono proposti da un punto di vista globale, evidenziando e paragonando tra loro situazioni che spesso hanno dell'incredibile. (...)
Questa settimana ci interessiamo di un argomento che può sembrare banale, ma che riserva molte spiacevoli sorprese: la disponibilità di servizi igienici e la possibilità di accesso ad una normalissima toilette da parte delle persone. Per noi non è certo un problema importante (...) Ma per moltissime persone non è così semplice. Avere la disponibilità di impianti igienico sanitari veramente degni di questo nome è ancora un privilegio per moltissime persone. Le differenze tra un Paese e l'altro in questo campo sono a volte abissali. Vediamole.
Percentuale di persone che hanno accesso a servizi igienici adeguati:
Negli Stati Uniti : cento su cento
In Canada: cento su cento
In India: il trentatré percento
In Etiopia: tredici persone su cento
In Eritrea e in Chad: soltanto nove persone su cento.
Numero di persone che nel mondo non hanno accesso a servizi igienici adeguati:
Duemiliardi e seicento milioni
Numero di Nazioni in cui più di due terzi della popolazione non ha accesso a servizi igienici adeguati:
Trenta
Di queste: venti sono nella sola Africa.

La toilette, però, è anche sinonimo di carta igienica. (...)
Consumo di carta igienica, per persona e per anno:
Nel Nord America: ventitre chilogrammi, per persona
Nell'Europa occidentale: quattordici chilogrammi
Nell'America Latina: quattro chilogrammi
In Asia: un chilo e ottocento grammi
In Africa: quattrocento grammi per persona.

giovedì 7 maggio 2009

Ascolto con immutata passione

Quando ero cristiano…
by Mario Domina
Andrebbe aggiunto al titolo: e sottolineo quell’ero, anche se periodicamente mi vengono dei dubbi proprio sul tempo imperfetto. Per una certa fase della mia vita, anche se breve, lo sono stato, certo, e anche in maniera profonda e convinta. Ho bazzicato chiese e raduni, condividendo linguaggi, fedi, convinzioni, speranze. Poi, nell’ultimo quarto di secolo, ho proceduto ad una inesorabile scristianizzazione della mia vita, quasi si trattasse di estirpare erbacce o di eliminare tossine dal mio corpo. Prima ero cristiano, cioè superstizioso, poi sono cresciuto e ho cominciato a ragionare con la mia testa.
Rimane il fatto che non si può uscire dalla propria epoca - è ancora Hegel ad illuminarci con le sue puntuali metafore - più di quanto non si possa cambiar pelle… Come dire: le strutture profonde, e spesso inconsce, della cultura, del linguaggio, del Dasein, ci inchiodano ad un modo di essere del quale non si può disporre a piacimento. Volenti o nolenti, qualcosa di quel complesso che definiamo “tradizione” si è depositato per sempre nelle nostre testoline, e, per quanto noi la rifiutiamo, espungiamo e vomitiamo fuori, un po’ di scorie e di residui restano depositati da qualche parte. E anzi questi “resti” del passato si intrecciano talvolta così inestricabilmente coi nostri vissuti, che non è più possibile reciderli o scrostarli del tutto. In definitiva: non sarei quel che sono senza quella parentesi cristiana. Non dico che sarei migliore, o peggiore; sarei solo diverso.
D’altro canto, non trovo più nemmeno così disdicevole o scandaloso che alcuni elementi del cristianesimo (che è parte importante, anche se non esclusiva, del patrimonio culturale dell’Occidente, e quindi dell’umanesimo planetario) siano entrati a far parte del mio Dna. Ha ragione Lukàcs quando critica Nietzsche (che pure sento vicino per varie questioni) a proposito del suo militante anti-cristianesimo: c’è lì anche, se non soprattutto, una buona dose di anti-socialismo e una profonda avversione per il concetto di uguaglianza.
Viceversa, trovo aberranti non pochi altri elementi che da secoli ci trasciniamo come zavorre (e questa volta Nietzsche ha ragione), e dalle quali pare non ci si riesca a liberare (spero che almeno di questi mi sia liberato davvero).
A tal proposito ricordo che la mia amica Donatella, che non poco avrebbe contribuito all’opera di scristianizzazione, ma che era anche molto cauta e rispettosa delle mie divergenti opinioni di giovane ribelle spiritual-idealista, mi disse una volta all’incirca: “d’accordo, posso capire che tu sia credente; passi che tu sia religioso; vada anche per il cristiano; ma cattolico… questo proprio non lo capisco…”. In effetti il mio rapporto con i preti e con l’autorità ecclesiastica è stata piuttosto problematica. Semplicemente trovavo insopportabile, e drasticamente in contraddizione con il messaggio originario del cristianesimo, che ci fossero nella Sacra Romana Chiesa gerarchie, poteri e tonnellate di ipocrisia: il tutto suonava come molto temporale (ancora!) e troppo poco spirituale per i miei gusti. E poi c’erano stati quei duemila anni di nefandezze… Insomma, non poteva durare a lungo.
Ma non era di cose ecclesiastiche che volevo parlare in questo post “simil-pasquale”, anche perché richiederebbero tempo ed energia ben superiori a quelli che intendo spendervi. Era sulla figura di Gesù, sul caro buon vecchio Gesù Cristo, che volevo dire qualcosa, dato che manca ormai poco all’alba, e sto vegliando sul limitare del suo sepolcro…
Sì, perché mi sono messo in testa che prima o poi devo scrivere qualcosa su di lui. Sarà per quell’aria mitica e ribellistica che promana da certa iconografia tardonovecentesca della quale mi sono imbevuto per anni (sono sempre stato un fervente ammiratore del musical-poi-film Jesus Christ Superstar); o perché le Vite di Gesù hanno sempre un certo fascino (da Hegel a Saramago), anche e soprattutto quando sono dissacranti; o perché, di nuovo, mi toccherà prima o poi fare i conti con il mio passato cristiano…
Certo, di Gesù non può non colpire quel suo essere una figura di rottura radicale: la promessa di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, la salvezza, la liberazione, la critica dei vecchi valori e del mondo degli scribi e dei farisei (com’è che questo fatto non turba le coscienze delle attuali gerarchie ecclesiastiche?), quella posa eroica e plastica quando ad esempio rovescia i tavoli dei mercanti nel tempio, quell’amore incondizionato per gli ultimi e i diseredati, per le donne maltrattate, la sua scandalosa relazione con una prostituta, la dolcezza nei confronti dei bambini, la follia di consegnarsi al potere inerme e di morire per… già, per che cosa?
Naturalmente nulla sapremmo di tutto questo, se il concorso storico non avesse pescato nel mazzo delle mille dottrine escatologiche e soteriologiche diffuse in ogni dove a quell’epoca, fissandone una e facendola diventare religione dell’impero romano e poi del mondo occidentale e poi di un pezzo di pianeta. Ometto qui di parlare dell’opera certosina dei “padri della chiesa” e, poi, dei teologi, per costruire tutto quell’apparato concettuale prendendo a piene mani dalla tradizione classica e dalla filosofia greca. Sappiamo bene com’è andata.
Ma tutto questo prescinde, almeno in parte, dalla figura di Gesù. Lui ha una potenza simbolica, per quanto contraddittoria, tutta sua. Un misto di grandezza e di dabbenaggine, di sciatte parabole e di perle di saggezza, di voli pindarici e inconcludenti sostenuti però da una dedizione e da un’ispirazione assoluta. Un eroe romantico e un rivoluzionario ante litteram. Poco importa chi sia stato davvero, se fosse o meno l’ultimo profeta o l’ultimo dei ciarlatani: Gesù Cristo è ancora qui tra noi, e non accenna a tramontare. Tramonteranno le sue chiese, ma lui no.
Forse perché è un ibrido, un giano bifronte: terrestre e celeste, vivente e morente, divino e mortale, carne-sangue e anima, iperuranio e ultimo tra gli ultimi, padrone e servo; forse perché allude costantemente a quell’oltre, al nuovo, ad un compimento delle epoche; o perché è il simbolo della resurrezione (e dunque dell’intramontabile sogno dell’immortalità); io sono la via, la verità, la vita: e chi non lo seguirebbe se fosse davvero così? Dritto, fino alla gloria dei cieli!
O magari, più semplicemente, si sono contratti in quella figura così tanti simboli, significati, metafore, gli si è addossato così tanto materiale iconografico, estetico, letterario, una ipertrofia di elementi millenaria e millenaristica da risultare alla fin fine solo una grande narrazione - una grande illusione - una vuota, inutile e inconcludente icona. Qualcosa che un giorno verrà ricordato come un mito tra gli altri…
E comunque, per quanto mi sforzi di rievocare, non ricordo particolari emozioni o aneliti extraumani quando, in quella breve parentesi della mia vita, ne ingoiavo il corpo, ne leggevo gli insegnamenti o ne commemoravo le gesta. Detestavo il natale - per quel suo crescente “paganesimo” consumistico - non comprendendo l’immenso significato che per noi umani ha la nascita (del resto all’epoca non conoscevo ancora Hanna Arendt); però ero turbato e profondamente commosso dalla passione e dalle cerimonie che accompagnavano il ricordo della sua morte. Il Gesù fragile dell’abbandono, della solitudine, dell’angoscia, della pietà, dell’agonia. Tanto per cambiare: l’alfa e l’omega, e la ricerca del significato di quel che sta nel mezzo.
Ma questo è, tutto sommato, umano, troppo umano: che bisogno c’era di spacciarsi per il figlio di Dio, con tutto quel che ne è seguito in termini di spaccio e di consumo diffuso e persistente di oppiacei?

Mail

Guida sicura verso il cestino
di Beppe Severgnini
Guida sicura verso il cestino. Ovvero: come scrivere un'email kamikaze, destinata a schiantarsi nella "posta eliminata". Bastano poche righe, contenenti le espressioni giuste, per garantirsi attenzione nulla e, con un po' di sforzo, anche un certo risentimento da parte dell'ignaro destinario. Qualche esempio, tratto dalle prime righe di email non richieste, ricevute in poche ore. Il numero finale (tra parentesi) indica il tempo di permanenza nella mia "posta in arrivo".
"A Roma il 14 maggio i guru del marketing..." (3") A Roma in maggio sembra accadere di tutto (come a Milano in ottobre), e questo è già un handicap per il mittente/incosciente. I vocabocoli "guru" e "marketing", insieme, funzionano come un colpo di pistola in un branco di gatti: tutti in fuga!
"Gentile Giornalista, in allegato il comunicato stampa in oggetto che spero possa essere di interesse per la sua testata. Non esiti a contattarmi per ulteriori informazioni" (7"). Nessun collega, che io sappia, ha mai contattato l'autore di comunicati-stampa siffatti. Anzi, no: pare sia accaduto, il 30 marzo 2007, ma la notizia non è mai stata confermata.
"Carissimi, sono felice di segnalarvi un appuntamento all'interno del ciclo di incontri..." (2"). "Carissimi" è scritto in blu, "sono felice etc..." in nero: l'evidente copia-e-incolla aumenta la diffidenza, resa elevata dal "ciclo di incontri" (una formazione circolare che l'Alighieri pensava di inserire tra i gironi infernali).
"Invito- Solo per creature straordinarie - Un evento imperdibile - Un'occasione prestigiosa per celebrare..." (4"). "Imperdibile", "prestigioso" e "straordinario" sono tre aggettivi-spia: quando li leggete, allarme rosso! Hanno sostituito "exclusive" e "vip", in voga negli anni Novanta e oggi confinati in discoteche di provincia e villaggi turistici.
"Cari amici, Vi informo che sono aperte le iscrizioni per..." (1"). Le iscrizioni si aprono alla velocità con cui si chiudono certe email: è una sfida continua. Devo dire che quello citato era un caso interessante: si trattava, infatti, di un corso di danza ("Il migliore corsista sarà invitato ad esibirsi in Bulgaria!").
COSTRUIAMO LA SVOLTA - Gentili Dottori, in allegato alla presente Vi inviamo il numero di maggio 2009 (8", lo stupore mi ha indotto a rileggere). "Costruiamo la svolta"?! Solo l'Anas è autorizzata a usare questo linguaggio. E poi: evitare le maiuscole, PERBACCO! Infine: come sanno che siamo tutti "Dottori"? E quelli che, con fatica, sono riusciti a non esserlo?
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Si ringraziano la Casagit, la Farnesina, Auriga, Arts Council, Asa Gray, Ninja Press, Serdica Music e Largo Augusto Multimedia per la gentile collaborazione.

mercoledì 6 maggio 2009

Decidere nella Chiesa

dal Sinodo 47° della Diocesi di Milano (1995)
n. 132
§ 2. La Chiesa è popolo di Dio in cui tutti i fedeli, in virtù del battesimo, hanno la stessa uguaglianza nella dignità e nell'agire, partecipando all'edificazione del Corpo di Cristo secondo la condizione e i compiti di ciascuno. Esiste, quindi, una reale corresponsabilità di tutti i fedeli nella vita e nella missione della Chiesa, perché ognuno partecipa nel modo che gli è proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo.
§ 3. Il fatto che la Chiesa sia popolo di Dio, chiamato a essere realtà di comunione, in cui ogni battezzato è corresponsabile, comporta alcune conseguenze che meritano di essere sottolineate per il momento attuale della vita della Chiesa:
ogni realtà in cui il popolo di Dio si articola e ogni struttura che in esso è presente si devono caratterizzare per essere realtà di comunione e luoghi per l'esercizio della corresponsabilità dei battezzati;
ogni fedele deve sentirsi parte del popolo di Dio e chiamato a collaborare, secondo la propria vocazione, alla vita e alla missione della Chiesa in comunione con tutti gli altri fedeli e a servizio della stessa comunione;
il ministero della presidenza presente nella Chiesa, si deve qualificare, in particolare, come servizio per la comunione tra tutti i fedeli e come impegno a rendere consapevole ogni battezzato della sua chiamata a un'effettiva corresponsabilità nella vita e nella missione del popolo di Dio;
all'edificazione della Chiesa, anche nella cooperazione alle funzioni che ne costituiscono il governo, devono essere chiamati a partecipare tutti i fedeli, ciascuno secondo la propria vocazione e nelle forme precisate dalla disciplina ecclesiale.

n. 147
§2 Il parroco, che presiede il consiglio (pastorale parrocchiale) e ne è parte, deve promuovere una sintesi armonica tra le differenti posizioni, esercitando la sua funzione e responsabilità ministeriale. L’eventuale non accettazione, da parte del parroco, di un parere espresso a larga maggioranza dagli altri membri del consiglio potrà avvenire solo in casi eccezionali e su questioni di rilievo pastorale, che coinvolgono la coscienza del parroco e saranno spiegati al consiglio stesso. Nel caso di forti divergenze di pareri, quando la questione in gioco non è urgente, sarà bene rinviare la decisione ad un momento di più ampia convergenza, invitando tutti ad una più matura e pacata riflessione; invece nel caso di urgenza, sarà opportuno un appello all'autorità superiore, che aiuti ad individuare la soluzione migliore.

Ce lo meritiamo?!

Così siamo.
Così siamo stati fatti diventare.
La società italiana, la chiesa italiana.
don Chisciotte

«Gli stranieri, basta vedere la Cnn, non riescono a comprendere la nostra mancanza di indignazione. Ma uno può indignarsi dello specchio? Questo è il Paese dove un qualsiasi piccolo imprenditore conclude un affare di miliardi con una mail e intanto scambia via sms una barzelletta sconcia con un amico, mentre al telefono ordina un mazzo di fiori per il compleanno dell’amante. Alto e basso, serietà e cazzeggio, cinismo e lacrima. In contemporanea. Questa è la bassa grandezza d’Italia e chi la vorrebbe diversa rischia di ritrovarsi all’opposizione di se stesso».
Massimo Gramellini, La Stampa, 6 maggio 2009

Chi volesse leggere l'intero articolo, lo trova qui.

Il fine NON giustifica i mezzi

Ci sono fiori e fiori

«Una ragazza, studiando botanica, impara a conoscere diversi tipi di fiori. Questo è il primo passo. Poi va a fare una passeggiata all'orto botanico e scopre da sola che certi fiori sono davvero belli. Questo è il secondo passo, più elevato. Ma ce n'è ancora un terzo: un ragazzo innamorato le dona dei fiori. Solo adesso i fiori hanno un vero valore. La ragazza li fa seccare e li conserva nel suo diario, perché si sente legata ai fiori da sentimenti indimenticabili.
Anche nell'ambito spirituale è così. A catechismo abbiamo imparato che Dio è il nostro Padre nei cieli: questo è il primo grado. Il secondo possiamo raggiungerlo attraverso la meditazione, quando comprendiamo che senza questa verità l'universo sarebbe solo un meccanismo inanimato, la vita un tumulto di casualità. Grazie alla preghiera giungiamo infine anche al terzo grado. Sperimentiamo che, quando ci rivolgiamo a Dio, egli ci ascolta. La verità sulla paternità di Dio si è così trasformata in materia di dialogo, in rapporto interpersonale e, quindi, in un vero valore».
Tomas Spidlik, Sentire Dio nella brezza del mattino, 43-44

martedì 5 maggio 2009

Risurrezione


L'intervista al card. Martini il giorno di Pasqua

Flash

La vita a fumetti
di Massimo Gramellini
Cos’ha detto Berlusconi all’assemblea della Coldiretti? Boh. Cos’ha fatto Berlusconi all’assemblea della Coldiretti? Ha mangiato una fetta di mortadella avvitandosi un dito sulla guancia: mmm, che buona! Cosa si è deciso al vertice franco-spagnolo dei giorni scorsi? Boh. Cosa è successo al vertice franco-spagnolo dei giorni scorsi? Le modelle di Stato, Letizia e Carlà, hanno sfilato sul tappeto rosso con abiti attillati.
L’immagine era già da tempo l’unica comunicazione che i cervelli riuscivano ancora ad assimilare. Ma ora siamo alla caricatura, pur di rompere la crosta sempre più spessa della disattenzione. E le parole? Brodo ristretto alle dimensioni di un messaggino. «Yes we can», coniato da Obama e copiato da Ahmadinejad, fra qualche anno lo ricorderemo come esempio di prolissità. Il futuro sono gli acronimi: «tvb», ti voglio bene (ma vado di fretta). Provo una tenerezza ammirata per i professori che si ostinano a usare le subordinate e per i giornalisti che sognano di scrivere paginate. Ne conservo centinaia nel cassetto, ritagliate e messe da parte in attesa di trovare quella mezz’ora ininterrotta che mi consenta di leggerle e che una vita modellata sui ritmi degli spot rende tecnicamente impossibile. Com’è un mondo dove gli slogan hanno preso il posto dei discorsi, le barzellette dei racconti e le immagini caricaturali (o ritoccate) di quelle spontanee? Un mondo di persone superficiali, smemorate e facilmente impressionabili. Rimane il mistero di come facciano a passare tutto il giorno al telefonino. Di cosa parlano, se più nessuno è in grado di ascoltarle?

"Faccio la mia cosa" - Frankie Hi Nrg - 1993

«Nella casa la situazione è tesa, confusa, la scena è divisa, è esplosa la moda, la massa si accosta all'Hip-Hop e di "posse" gia' oggi son piene le fosse... Si accusa di vendersi all'incanto chi intanto fa il possibile per render piu' accessibile il messaggio al largo pubblico, a quell'utenza in astinenza di concetti costruttivi la cui assenza crea effetti negativi alla coscienza della grande massa priva di qualunque conoscenza anche la piu' bassa di questo fenomeno mondiale che va sotto il nome di Hip-Hop, filosofia di vita, approccio culturale alternativo alla realtà di ogni giorno: mi guardo intorno, m'informo e torno a raccontare nella forma verbale a me piu' congeniale, quella dell'istinto razionale che mi spinge a commentare, a sottolineare quel che vedo a cui non credo. Usando il rap interferisco e le do e non mi siedo, eccedo la' dove intravedo uno spazio libero d'azione per fare informazione e incominciare a rosicchiare quello che ci viene messo a disposizione dai media, dalla televisione: comunico l'idea e la rima il ritmo sposa... io sono un home-boy e faccio la mia cosa... Sinuosa si snoda la mia rima sopra al ritmo come prosa, si attacca alla tua mente quasi come una ventosa, tatuaggio indelebile dell'anima ritrosa alla disamina che penetro econtamino... Insemino il sistema come un virus oggi andemico, domani epidemico questo è cio' che auspico avvenga: non c'è niente che mi tenga frenato, il contrattacco e' iniziato, partito. Di slancio come un fulmine travalico ogni limite che intralci la mia crescita e pregiudichi il buon fine di questa operazione rimica: uso la metrica come una sciabola tagliente e rapida, affilata come una spada, affiatata come la mia squadra che mi segue ovunque vada: il mio DJ stile, fa ruotare a mille all'ora il vinile intorno al perno, scatena l'inferno sulla terra, dichiara guerra, l'attacco sferra e ti sotterra in un mare di merda... non sono un compagno ma un b-boy in effetto nella casa... e faccio la mia cosa... Una voce virtuale ad elevato volume che si eleva dal piattume culturale, istituzionale, istituzionalizzato dal potere di uno Stato colluso che per anni ci ha illuso e ha fatto danni su danni, ma a pagare siamo sempre e solo noi, e i cocci restano suoi... Come buoi trasciniamo l'aratro, bastonati da un bifolco ma l'unico solco che ho intenzione di tracciare è quello su vinile, la mia ritmica è febbrile, rapida come staffile con cui frusto a sangue chi non segue il mio stile, sputa la bile e non ha niente da dire, traccia un confine tra il rap e il mondo. Io non mi nascondo nel doppio fondo del sistema, studio e affronto il problema, traccio uno schema, dimostro il teorema in forma di poema, secondo il concetto assoluto e perfetto che del mondo tu devi essere la "causa", non l'"effetto", e me ne fotto di chi usa l'Hip-Hop solamente come posa... e faccio la mia cosa...»

lunedì 4 maggio 2009

Diciassette mesi

«La fotografia in bianco e nero sta nel palmo della mano. Ha i bordi dentellati come quelli di una piccola pasta secca. È stata scattata nel 1954. Ho dunque tre anni. Porto un pagliaccetto con un elastico che mi dà fastidio e lo tiro per allentarlo. Con la mano sinistra tengo la mano di mio padre. Indossa una camicia estiva e dei bermuda lunghi. Siamo su una strada di campagna. I nostri sguardi si spingono in lontananza nella stessa direzione e i nostri visi, fra l'incuriosito e il preoccupato, non cercano di piacere a nessuno. Quando ho mostrato quest'immagine a mia madre, ha esclamato: «In quegli anni eri sempre con tuo padre, non lo lasciavi mai».
Ho pensato, senza dirglielo, che era ancora così e che ci voleva ben altro che la morte per dissigillare quelle due mani richiuse con calma una sull'altra. Certo, c'è qualcosa di decisamente diverso e se oggi si potesse fare una foto, con una pellicola sufficientemente sensibile da rimanere impressionata dall'invisibile, essa mostrerebbe le stesse persone che si tengono per la mano, ma con la statura cambiata: attualmente sono l'uomo maturo che lì era mio padre e lui ha l'età che ci dà la morte quando ci irradia con la sua innocenza, in qualunque momento compaia: due o tre anni, poco più o forse meno».
Christian Bobin, Resuscitare, 29

Impar condicio


domenica 3 maggio 2009

Domande

Perché se la First Lady porta acqua agli interessi del marito
può essere usata come immagine,
invece se rischia di oscurarne l'alone di santità
è una questione privata?!
Ma sarà veramente oscurata?!
don Chisciotte

Idea per l'estate

Ex-sintassi

Mi è franata addosso la sintassi
Del cattivo stato della lingua italiana, avvilita dall’ignoranza della grammatica, dalla povertà del lessico, dall’uso scorretto di termini elementari. Sarà che la lingua, parlata e scritta - come ci ricordano gli specialisti - non ubbidisce a rigide prescrizioni, si modifica in base alle trasformazioni indotte dalla storia e dal costume, appartiene in definitiva a chi se ne serve. Ma certe sciatte derive, non arginate da una scuola che appare sopraffatta dagli strumenti della comunicazione mediatica, suonano irritanti e sconfortanti.
E’ il pronome «te» che impazza dai teleschermi, esiliando lo schietto e confidenziale tu, senza essere giustificato da un contesto regionale o dialettale. E’ il congiuntivo imperfetto che sostituisce il presente nelle espressioni esortative («Non mi rompessero le scatole»). Quanto al lessico, capita che si confonda il verbo «schernire» con «schermire», e non si tratta sempre di un errore di battitura. Frequentissimo poi l’uso di «avvallare» al posto di «avallare». Sicché la concessione di una onesta garanzia assume con la doppia «v» il significato di scendere a valle o sprofondare: grazie a questo scambio, nel ridicolo.
Anche i termini stranieri vengono adottati senza necessità e discernimento, compresi quelli appartenenti a lingue vicine alla nostra, di ceppo neolatino. E’ invalsa ad esempio l’abitudine di scrivere «murales», al plurale, invece di «mural» o, volendo tradurlo in italiano, «murale». Più disarmante, tanto da intenerire, la perla che ho scovato nella traduzione dal francese di un articolo di teologia, dove il Concilio di Nicea, nell’originale «Nicée», è stato reso con Nizza. Con una imperturbabilità che, vien da dire, avrebbe accettato anche un Concilio di Saint-Tropez. Qui allo sfondone linguistico si accompagna l’insufficienza storica, l’ignoranza su un avvenimento che ha contrassegnato, e ancora oggi contrassegna, la vicenda cristiana.
Se tanti infortuni accadono a persone scolarizzate, e magari laureate, c’è da mettersi le mani nei capelli; da sentirsi franare addosso secoli di cultura, mentre si affacciano le ombre corrucciate di Dante, Leopardi, Manzoni, Gadda: nomi che hanno fatto la gloria del paese dove il «sì suona».