mercoledì 31 ottobre 2007
La nuova santità
Una nuova spiritualità sembra stia prendendo forma. Questa spiritualità di tipo nuovo intende non abbandonare il mondo al male, ma fare scaturire e quindi valorizzare lo spirituale insito nella creatura. L'uomo liberamente amante e spropriato di se stesso, semplice e spoglio di fronte al tocco dell'eterno, sfugge all'artificioso conflitto tra lo spirituale ed il materiale. L'amore a Dio si umanizza, si fa amore di ogni creatura in Dio. « Tutto è grazia », giacché Dio s'è chinato sull'umano e l'ha inserito negli abissi della Trinità.La tipologia classica della santità porta il marchio di un eroismo da deserto o da chiostro. Collocandosi a una certa distanza dal mondo, tale santità è protesa verticalmente verso il cielo come una guglia di cattedrale. Ai nostri giorni invece l'asse della santità si trova spostato, è più vicino al mondo. In apparenza la sua tipologia e meno vistosa, il suo eroismo resta celato agli occhi del mondo, ma è il frutto d'una lotta non meno reale. La fedeltà alla chiamata del Signore nelle condizioni del mondo fa penetrare la grazia nelle radici stesse di esso, e questa quindi penetra nei solchi stessi della vita umana.La “piccola via” di s. Teresa, quella dei discepoli del padre De Foucauld, delle Chiese che sono poste sotto il segno della Croce, ma che pregano e trasformano silenziosamente l'uomo perché lo amano, questa via è dunque sintomatica della risposta attuale all'appello evangelico. Più umanamente universale, più propensa a una attualizzazione del cristianesimo nel mondo, questa forma di santità raggiunge con la sua interiorizzazione i valori centrali di ogni epoca. Scendendo dalle altezze dei colloqui mistici, essa va a recare aiuto al mondo in pena, si china sulla miseria umana, scende fino agli inferi del mondo moderno. La vita degl'istinti, come pure quella della fisiologia, non ha bisogno di presentare scuse per quello che è. La grazia penetra in tutti i piani dell'esistenza umana; in uno che si dà totalmente a Dio, l'uomo nella sua interezza si trova restituito e reso a Dio. La spiritualità del deserto è rimasta a lungo alla periferia della vita comune. Il mondo di oggi reclama una santità che sia disposta e in grado di rispondere ai suoi problemi con una soluzione vissuta dentro di esso. L'escatologia laicizzata vuol far senza l'eschaton, il fine, e sogna una impossibile comunione di santi senza il Santo, un Regno di Dio senza Dio. Quando i servi di Dio vengon meno al loro compito, questo va a finire nelle mani di forze di vario genere, forze di segno contrario, e il risultato è la confusione. Allora l'ordine evangelico del « cercate il Regno di Dio » (Matteo 6, 33) si secolarizza e degenera nell'utopia di chimerici paradisi terrestri. È un fatto che il cristianesimo dei nostri giorni non è più l'agente condizionante della storia, ma è piuttosto lo spettatore di processi che sfuggono alla sua influenza e che anzi rischiano di porre la Chiesa al di fuori dei destini del mondo. Le riforme sociali ed economiche, la liberazione e l'emancipazione dei popoli e delle classi sociali, tutto ciò viene operato da parte dei fattori di questo mondo, svincolati dalla Chiesa. Attualmente quasi dovunque i cristiani vivono in regimi di separazione fra Stato e Chiesa. La Chiesa non potrà adattarsi a questa nuova situazione se non a condizione di conservare intatto il carattere universale della sua missione, carattere inerente alla sua stessa natura. Il suo teocratismo deve farsi più interiore, esso la chiama a farsi presente dovunque come la coscienza, la cui voce risuona liberamente e chiama alla libertà, al di fuori di ogni secolare imperativo. In tal modo essa ci perderà nelle applicazioni immediate, mancando dei mezzi concreti dello Stato, ma ci guadagnerà in forza morale, derivata dalla sovrana indipendenza che viene ad acquistare la sua parola. In un clima d'indifferenza o di aperta ostilità, la Chiesa, avendo perduto la voce in capitolo, non può appoggiarsi su altro che sulla fede del vero popolo di Dio, liberato e svincolato da ogni sorta di compromessi e di conformismi. La vittoria degli antichi popolatori del deserto era più vistosa del «trionfo» dell'Impero di Costantino: inoltrandosi nei luoghi deserti i monaci abbandonavano l'Impero, protetto fin troppo dall'ombra dei compromessi. Il deserto di oggi, « soggiorno dei demoni », si trova posto nel cuore stesso dei popoli, che «vivono nel mondo senza speranza e senza Dio» (Ejesini 2, 2). I monaci non han più bisogno di lasciare il mondo, e ogni fedele può scoprire la sua vocazione sotto una forma tutta nuova di un monachesimo interiorizzato.La teologia dei fini ultimi esige che il piano dei pensieri sia poggiato sulla croce, poiché non vi è continuità diretta fra essa e la filosofia umana: «Noi annunziamo ciò che mai è penetrato in cuore d'uomo, ma che Dio ha preparato per quei che l'amano» (1Corinti 2, 9). Essa abbraccia la totalità della Rivelazione, mette in luce il mistero dell'uomo escatologico — filius Sapientiae (figlio della Sapienza) — e rende iniziati alla magnifica definizione di ogni cristiano: colui che ama la Parusia (2Timoteo 4, 2). Per tali amanti della Parusia, il tempo che viene è il momento attuale.II Vangelo di s. Giovanni ci riferisce quella parola del Signore che è forse la più grave rivolta alla Chiesa: «Chi riceve colui che io mando, riceve me; e chi riceve me, riceve chi mi ha mandato » (Giovanni 13, 20). Se il mondo, l'uomo, il nostro dirimpettaio, riceve un membro della Chiesa, uno di noi, si trova tosto nel graduale movimento di comunione e non è più estraneo al cerchio sacro della Comunione trina e alla benedizione del Padre. Il destino del mondo è in sospesa aspettativa di fronte all'atteggiamento inventivo della Chiesa, alla sua arte di farsi accogliere. L'inferno non è in dipendenza della collera di Dio, ma forse della carità cosmica dei santi: «Vedere nel fratello il Signore», «sentirsi di continuo appesi alla croce», «fino alla morte non smettere mai di aggiungere fuoco al fuoco».Nell'epistola prima di Giovanni, l'amore di Dio è un cominciamento, esso precede tutto, trascende ogni risposta. Nella sua profondità, l'amore si dimostra come disinteressato, come l'oblazione pura dell'ancella, come la gioia dell'amico dello Sposo, gioia che sussiste da se stessa, come l'aria nella luce del sole, una gioia a priori per tutti.In Giovanni 14, 28, Gesù chiede ai suoi discepoli di essere giulivi di quella immensa gioia le cui radici stanno oltre l'uomo, nell'unica esistenza oggettiva di Dio. E’ proprio da questa gioia limpida e pura che proviene la salvezza del mondo.
PAUL EVDOKIMOV, Sacramento dell’amore, CENS, Milano 1994, 106-109;
originale francese del 1962
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