La differenza tra il 4,8 e il 2,9 si spiega pertanto con il fatto che l'inflazione complessiva di famiglie e operai è riferita a una categoria di beni più ampia, e comprende anche quei beni con frequenza di acquisto media e bassa, quali l’abbigliamento, la televisione o il frigorifero. Il dato sull’inflazione dei beni ad alta frequenza di acquisto è importante e da non sottovalutare. Innanzitutto è importante perché aiuta a spiegare uno dei paradossi economici italiani, ossia la differenza tra inflazione effettiva e inflazione percepita. Da diversi anni, e in particolare dall’entrata nell’euro, in Italia gli economisti avevano individuato una notevole differenza tra l’inflazione ufficiale calcolata dall’Istat e l’inflazione «percepita». L’inflazione «percepita» è quella stimata mese per mese dai singoli consumatori sulla base delle loro percezioni al momento del consumo.
Il dato pubblicato ieri aiuta a spiegare questa differenza, in quanto è evidente che un singolo consumatore quando è chiamato a stimare l’inflazione fa istintivamente riferimento al prezzo dei beni acquistati giorno per giorno, e non a quei beni di consumo acquistati, se va bene, una volta l’anno. In altre parole, possiamo oggi dire che hanno ragione sia l'Istat che la massaia. L’Istat ha ragione quando stima l'inflazione al 2,9 per cento con riferimento a un paniere di beni complessivo, indipendentemente dalla frequenza dei consumi. La massaia ha ragione quando dice che, alla luce delle spese quotidiane, l’inflazione è molto superiore al 2,9 per cento ufficiale. Al di là della questione Istat-massaia, il dato di ieri è importante per capire il disagio che si vive in Italia. Come suggerisce il nome stesso, l’indice dei prezzi al consumo di operai e famiglie è costruito avendo come riferimento il paniere di consumo di una famiglia di operai e impiegati, in modo da rappresentare il paniere di consumo del ceto medio.
Nel nostro Paese, oltre a operai e impiegati, e oltre a molte famiglie benestanti, esistono nuclei familiari che vivono con poco più di mille euro al mese. Sono quei famosi nuclei familiari che, come si è spesso detto, «fanno fatica ad arrivare alla quarta settimana». Questi nuclei familiari, composti prevalentemente da pensionati soli e da famiglie monoreddito, destinano fisiologicamente una quota molto rilevante del loro scarso reddito ai beni alimentari e a molti dei beni ad alta frequenza di consumo. Abbiamo ora la certezza che per queste fasce di popolazione l'inflazione è più alta di quella della maggioranza delle famiglie italiane. In altre parole, oltre ad avere un reddito più basso, questi nuclei familiari hanno anche un’inflazione più elevata che, a sua volta, erode il potere d’acquisto del loro basso reddito. Un circolo vizioso.
Il dato non può essere ignorato dalla politica economica. È forse davvero necessario pensare a un intervento di sostegno al reddito. Ma in periodi di vacche magre, come quelli che ci aspettano, si deve pensare a un provvedimento altamente selettivo, in modo da essere destinato esclusivamente a quei nuclei familiari. In realtà in questi giorni si parla di un intervento destinato ad abbassare il prezzo della benzina di qualche centesimo di euro. Questo tipo di intervento va esattamente nella direzione opposta a quello che auspichiamo, anche perché molti di questi nuclei familiari non posseggono nemmeno un’automobile. È anche inutile invocare l’intervento di Mr. Prezzi. Più che Mr. Prezzi, a queste famiglie servirebbe un mitico Mr. Reddito.
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