mercoledì 19 marzo 2008

san Giuseppe, un padre


"Dietro le spalle Giuseppe udì la voce di Ata: - Oh, Giuseppe, rallegrati! Rallegrati molto. E' un maschio. Hai un figlio maschio. E' nato felicemente. E' tanto bello. Tua moglie ti chiama... - Gli era soltanto sembrato che nella parola «moglie» risuonasse una sorta di rispetto straordinario? Entrò di corsa nella grotta. Il focolare continuava a fumare, il fumo continuava a pungere gli occhi. Attraverso il fumo, come attraverso una nebbia, scorse Miriam china sulla mangiatoia. Proprio là, sotto i musi degli animali aveva sistemato il Neonato. Si chinò. Sulla paglia era adagiato un Bambino, un qualsiasi bambino umano. Aveva le palpebre serrate, come se si sforzasse di non guardare, e la boccuccia socchiusa, come se cercasse qualcosa. Non era diverso dai neonati che aveva già visti. Le piccole mani, livide, strette a pugnetto, non si protendevano verso una spada. Era piccolo e debole. Aveva bisogno di cure. Il bue e l'asino osservavano il Bimbo dall'alto con sui musi un'espressione simile a comprensione bonaria. Il cane si protendeva e leccava la manina levata.— GuardaLo, Giuseppe — sussurrò Miriam. — Come è bello.— Bellissimo — pronunciò in un soffio.— Si chiamerà Gesù... Lo permetti, vero?— Si chiamerà come tu vuoi.— Il nostro Gesù — sussurrò —, nostro Figlio... - Giuseppe infilò le mani sotto il Bimbo e Lo sollevò. Era leggero leggero, pareva che non pesasse più degli stracci che lo avvolgevano. L'antica usanza esigeva che il padre sollevasse il figlio e le ponesse sulle sue ginocchia. Lo sguardo sorridente di Miriam esprimeva il suo desiderio. Compì il gesto tradizionale. E mentre guardava l'Infante adagiato sulle sue ginocchia, provò strani sentimenti. Ancora un attimo prima si ribellava quasi contro il Neonato. Adesso provava vergogna di quei pensieri. Non era nato un gigante pronto alla lotta. Fra le mani sentiva il corpicino delicato, fragile. Le manine del Bimbo si agitavano con il movimento vago dei neonati. Ad un tratto aprì gli occhietti serrati. Vide l'iride scura e le cornee azzurrine. Guardò interrogativamente quegli occhi, ma il Bambino, come un qualsiasi neonato, fissava un punto nello spazio. Continuava a muovere la boccuccia. Si alzò nuovamente, lo pose ancora nella mangiatoia. Miriam lo avvolse in un lembo strappato dalla tunica. Non avevano nulla per vestire il Bambino, erano tanto fiduciosi che avrebbero ottenuto tutto dalle mogli dei suoi fratelli! Timidamente, colmo di una nuova tenerezza, toccò il capo di Miriam chino sulla mangiatoia. — Adesso — disse lui — devi riposarti, dormire. Lui vuole dormire. Ata veglierà. E io non mi allontanerò. Sta' tranquilla, non chiuderò occhio. Veglierò. Miriam volse il viso verso di lui, toccò con il dorso della mano la guancia di Giuseppe.— So che veglierai — sussurrò.— Dunque dormi. — Dormirò. — Già accomodava il capo sulla paglia, allorché chiese: — Lo amerai? — Potrei forse non amarLo? — Hai ragione: non potresti. Né tu, né nessuno... Ma tu — toccò col dito il petto di Giuseppe — devi essere il padre. È il nostro Gesù... Sorrise ancora una volta, e poi chiuse gli occhi. Dopo un attimo dormiva. Giuseppe sedette presso la mangiatoia. Con il capo appoggiato alla mano osservava il Bimbo dormiente. Il fumo continuava a pungere gli occhi. Il cane si era accucciato vicino ai suoi piedi. Nel silenzio si sentiva il respiro delle persone e degli animali. Di tanto in tanto il fuoco scoppiettava".

Jan Dobraczynski, L'ombra del padre. Il romanzo di Giuseppe, 206-207

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