venerdì 14 novembre 2008

In punta di piedi

Inizio e fine, i due misteri della vita
(...) Rimane vero che ogni traccia di vita umana, sia nello stadio incipiente come nello stadio finale, meriti rispetto, attenzione, riverenza. È sufficiente che un essere umano abbia un minimo di «vita», che dia qualche segno di attività permanente vegetativa per essere considerato ancora «in vita». Qui nascono alcune grandi questioni etiche, come quelle sulla liceità di intervenire su un essere umano che vive in tempi prolungati soltanto e unicamente (almeno così appare) il momento vegetativo della propria esistenza. Analoga questione si pone sull'inizio della vita: vi sono casi in cui, pur riconoscendo tutto il rispetto dovuto a un essere umano, la sua presenza possa divenire così pericolosa per gli altri che sia giocoforza toglierla di mezzo? Esistono situazioni in cui un tale vivere diventi così insopportabile e apparentemente immodificabile che non sia lecito portare un giudizio morale su chi vi mette fine? Certamente sarà molto difficile affermarlo con il linguaggio delle leggi come dei principi astratti: essi non riescono a cogliere la complessità degli elementi etici, valoriali e affettivi che entrano in ogni singolo caso particolare, ognuno in qualche modo diverso da ogni altro. Mi pare che solo chi è di fatto giuridicamente, emotivamente e affettivamente coinvolto in tali situazioni possa cogliere qualcosa di tale complessità. (...)
Senza questa premessa di fondo sulla natura dell’uomo e della donna chiamati a partecipare alla vita stessa di Dio, non ci riesce facile spiegare come Gesù abbia ritenuto di minor valore la vita umana fisica, tanto da esclamare: «A voi, che siete miei amici, dico: "Non abbiate paura di quelli che possono togliervi la vita, ma non possono farvi niente di più"» (Luca 12,4) e da esortare a mettere in gioco la propria vita fisica per valori più alti: «Se il seme di frumento non finisce sottoterra e non muore, non produce frutto. Se invece muore, porta molto frutto. Ve l’ assicuro. Chi ama la propria vita la perderà. Chi è pronto a perdere la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Giovanni 12,34-35). C’è quindi una «vita» che trova il suo compimento nella «vera vita». La vita fisica è substrato e premessa di quella «vera vita» che è l’amicizia con Dio. (...)
Sarebbe errato, però, e ci porterebbe fuori strada, il trarre tutte le conclusioni solo da questo «valore assoluto» della vita fisica. Perché esso in tanto sta in quanto è derivato da un valore molto più grande e veramente intangibile, che tocca il mistero stesso di Dio.
card. Carlo Maria Martini

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