venerdì 16 maggio 2008

Invidie


Invidiando
di Massimo Gramellini
Ah, cosa sarebbe il mondo senza l’invidia. Senza i capannelli di scrittori impegnati che nel retropalco della Fiera del Libro parlottavano di Saviano, e chi lo trovava arrogante, chi esibizionista, chi fanatico, chi semplicemente ossessivo, pur di non ammettere che la sua colpa inemendabile è di aver venduto milioni di copie del suo libro sulla camorra, mentre loro faticano a uscire dal cerchio del «salottume» editoriale. Ah, cosa sarebbe il mondo senza quei giornalisti che nei corridoi delle redazioni, talvolta persino davanti alle telecamere, spargono fiele su Travaglio, non perdonando a se stessi di non essere riusciti a diventare Travaglio, cioè uno che vende libri, riempie teatri, buca il video e sa coltivarsi un pubblico di lettori fedeli. E cosa ero io, nel mio piccolo, quando l’invidia mi suggeriva corsivi cattivelli contro Baricco, perché in realtà i riccioli e la scrittura ipnotica avrei voluto averli io. Ora che sono guarito dal morbo, posso permettermi di scrivere che Saviano merita rispetto benché non sia il mio genere (mi piace troppo il lieto fine), che Travaglio è un inquisitore documentato e in buona fede ma ignora l’importanza delle sfumature (la vita vera non assomiglia alla requisitoria di un pm: il male, come il bene, non gioca mai da una parte sola), e che Baricco comincia a perdere i riccioli pure lui. Perciò lo adoro.

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