lunedì 2 marzo 2009

Insopportabili leccapiedi

Adulo, dunque sono
Dalla politica al lavoro ai sentimenti: elogio della pratica più antica del mondo
di Mirella Serri
Lo fanno gli scimpanzé che offrendo cibo e sesso a volontà sono soliti incensare e arruffianarsi il capo per ottenere favori e benemerenze. E lo fa - da par suo, s'intende - anche Luciana Littizzetto, complice Fabio Fazio in «Che tempo che fa». Quando declama: «Sire Nostro che sei in the sky, Maestà, Nostro Figo Imperiale, Bello tra i Belli, Gran Pacco, Gran Pezzo di Body Art, Sovrano dei Paesi Bassi, Zar di tutte le Russie, Eccelso, Esimio, Ettore di tutte le Troie (intesa come città), Ape Regina...». Con chi ce l'ha la Littizzetto con l’esempio di sperticato elogio di Berlusconi? Con l'adulazione? Con la più utile di tutte le arti, come la definiva lo storico Edward Gibbon? O col peggiore dei vizi, come diceva Niccolò Machiavelli? O con un modello di prostituzione, di grande circo mediatico, di attiva e sottile forma di seduzione? Oggi il mestiere più antico (tra i praticanti c’erano Platone, Tacito e Cicerone) viene rivalutato nell'«Elogio dell'adulazione. Tra l'erudito e il faceto» del sociologo Willis Goth Regier (De Agostini). Spiega Regier che la pratica servile è parte integrante della moderna vita professionale ma se ne giovano pure l'equilibrio e la dinamica socioculturale collettiva. Già, proprio così: chi si genuflette e china la schiena può vivere meglio di tanti altri, facendo però attenzione a non incorrere in errori madornali. Come l'esagerazione. L'eccesso non giova.
Capitò al pittore Hans Holbein: dipinse la non appetibile principessa Anne di Clèves in modo indulgente e di fronte a quel ritratto Enrico VIII decise di convolare a nozze, ma dopo aver incontrato la blasonata in originale prese a pedate l'artista. Di licenziamenti per surplus di piaggeria non se ne ricordano comunque molti, nemmeno quando un solerte senatore propose di incoronare col Nobel per la pace Silvio Berlusconi. Era un enfatico omaggio-boomerang per il presidente del Consiglio, insediato da un anno e tre mesi. Il troppo stroppia e anche Racine fu costretto a riconoscerlo. Al poeta di Bérénice Luigi XIV si rivolse in questi termini: «Ti avrei apprezzato di più se mi avessi elogiato di meno».
La blandizie anche se viscida di amici e nemici svelenisce comunque il clima e rende i rapporti più armoniosi e sereni: è questa la tesi che permette allo studioso americano di considerare la piaggeria un efficace calmiere di spiriti conflittuali e ardenti. Ed è questo l'uso che oggi ne fa Sandro Bondi, il ministro dei Beni culturali nonché facitore di ossequiosi versi che dedica non solo a consanguinei politici ma anche a oppositori veementi: da Michela Vittoria Brambilla, "Ignara bellezza / Rubata sensualità / Fiore reclinato / Peccato d'amore", ad Anna Finocchiaro, "Nero sublime / Lento abbandono / Violento rosso... / Intrepido mistero", a Jovanotti, "Concerto / Vibrazioni dell'anima... / Onde dell'amore". Da don Abbondi - come Dagospia l’ha ribattezzato - ai cerimoniali delle corti dell'Europa imperiale, il passo è breve se si tratta di untuose lusinghe. Napoleone considerava le teste chine «uomini benedetti dal cielo».
Avido di lodi com'era, consumava la vena dei corifei che si libravano sempre nelle stesse formule ripetute fino allo stremo: «Dio della vittoria, Salvatore della patria, Pacificatore del mondo, Arbitro dell'Europa». A raccontare come una moderna corte napoleonica gli ambienti di Saxa Rubra e dintorni è stato Pierluigi Celli, l’ex direttore generale della Rai. Gli elogiatori sono duttili e veloci, non conoscono limiti o confini, nemmeno quelli che li separano dai nemici. Il poeta e filosofo Ralph Waldo Emerson rilevava che l'adulazione favorisce la competizione, e questo è vero anche oggi («Scrive sempre articoli di grande interesse che esprimono la cifra della grande politica», osserva Tremonti, insospettabile estimatore di Prodi). Gli adulatori si modellano abilmente sull'interlocutore: «Dicono all'uomo ricco che è un oratore e un poeta e che, se solo lo volesse, potrebbe essere un pittore e un musicista», osservava Plutarco. Per questo trasformismo molti li hanno disprezzati come striscianti mestatori: Tiberio li odiava, Galba li derideva, Marco Aurelio li ridicolizzava e così faceva a distanza di secoli il Kaiser Guglielmo I. Ma li hanno anche individuati come fonte di consolazione in caso di sconfitta (da Giulio Cesare a Caterina la Grande al ministro Brunetta che si complimenta con Veltroni che «ha trasformato le più cocenti sconfitte in trampolini di lancio»).
L'adulatore che sa far bene il suo mestiere è un valore aggiunto. Lo sanno i potenti con ambizioni artistiche. Per il primo romanzo di Veltroni si sono spesi giudizi come questo: «Racconto di amore e di fede nella forza e nello strazio dei sentimenti». Lo sperimentano in questi giorni politici-scrittori balzati sotto i riflettori, dal neosegretario del Pd Dario Franceschini al neoconsigliere d'amministrazione Rai, Giorgio Van Straten, circondati da nugoli di ammiratori che ne aumentano la statura e li rendono imponenti. Tanti adulatori tanto onore: «È piacevole avere dei parassiti, vuol dire che la qualità del tuo sangue è buona», affermava Aldous Huxley. Nietzsche concordava: «L'uomo è la specie più evoluta che ospita il maggior numero di parassiti». Un corpo senza il suo ruffiano di riferimento non vale niente, sosteneva Talleyrand. Shakespeare era d’accordo: disprezzava gli adulatori e con ciò si lasciava adulare. Oggi ne sono convinti anche nella casa del Grande Fratello. La prosperosa Cristina Del Basso nel confessionale si autoincensa: «Sono una di pelle, una che non ci pensa, percettiva, che va a sensazioni». E suscita il commento della telespettatrice Lilla: «Senza l'adulazione la donna vanitosa non può stare. Un esempio lampante è la tettona alle cui poppe si sono abituati tutti e che nessuno più elogia».
'autoadulazione - di cui erano maestri Cicerone e Franklin - è il grande spartiacque del nostro tempo, avverte Regier. Utilizziamola a più non posso come una crema tonificante per la pelle. Anche se magari va a finire che chi di adulazione colpisce, di adulazione perisce. È capitato a Emilio Fede che anni fa aveva osato dire del suo leader di riferimento «Lo amo». Oggi è stato stritolato dalle lodi di Iva Zanicchi: «Ti voglio bene, a te e alla tua tv così bella, pulita e vera».

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