lunedì 28 gennaio 2008

Eccomi!


Mir zainen do ("Noi siamo qui"): è un canto yiddish dei partigiani del ghetto di Vilna, in Lituania. Noi siamo qui: ci sono momenti in cui le fibre sfilacciate di un popolo si rianimano e nasce nella resistenza all'oppressione una nuova consistenza. Essa comincia sempre con una spe­cie di "eccoci".
Abramo pronuncia il suo, quando Dio lo chiama per mandarlo a sacrificare suo figlio Isacco sul monte Moria. A Dio che lo chiama, risponde: hinnèni, ec­comi. Ridice ancora la sua ardita parola al figlio che gli rivolge la terribile domanda: "Dov'è l'agnello per l'olo­causto?". L'ultimo degli eccomi lo dirà a fiato corto quan­do l'angelo per due volte chiamerà il suo nome, per fer­margli la mano armata sulla gola del figlio. Non aveva mai detto questa parola prima della prova di obbedien­za richiesta da Dio e non la dirà più.
E buono a sapersi che anche Iod/Dio può dire il suo hinnèni alla creatura che lo chiama. Ce lo annuncia Isaia (58, 9): "Allora chiamerai e Iod risponderà. Strillerai e dirà: 'eccomi'". Eccomi è voce dei momenti di verità, quando si è chiamati a rispondere di sé. È il passo avan­ti, lo scatto che fa uscire dai ranghi e porta a uno sbara­glio. È la più bella parola che si possa pronunciare in quei momenti, un dichiararsi pronti, anche se non lo sì è af­fatto. Prima di usarla bisognerebbe allenarsi a pensarla più spesso.
Buona fortuna a chi dovrà pronunciare oggi il suo difficile "eccomi".
Erri De Luca, Alzaia, 40

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