venerdì 7 marzo 2008

Nonni preziosi per i nipoti


7/3/2008 (7:28)

L'estinzione dei nonni-sitter

Nel 2050 ci sarà un anziano ogni tre persone
Costretti a fare da badanti ai vecchi genitori non hanno più tempo per crescere i nipotini

di Marina Cassi
Torino - Oblativi, pazienti, instancabili. Nonni a tempo pieno, sempre pronti. Sono loro che consentono a figlie e nuore di lavorare per vivere, o magari anche di incapricciarsi dell’idea di far carriera. La donna giovane - si fa per dire perchè il primo figlio lo fa oltre i trent’anni, per l’esattezza a 31 e un mese in Italia e a 31 e sei mesi in Piemonte - sta in ufficio come e più del collega uomo.
La società organizza ancora i suoi tempi sul modello fordista mentre predica arcigna che le donne devono diventare madri prolifiche. L’equilibrio andrebbe in mille pezzi se non ci fossero i nonni a surrogare, garantire, educare i nipoti. Il 54 per cento delle donne lavoratrici affida i bambini a genitori o suoceri. Solo 13 anziani su cento non si occupano dei nipoti; per contro, una schiera di indomiti pensionati - pari all’86% del totale - è a districarsi tra pappe e compiti, play station e prime cotte adolescenziali dei nipoti.
Un bel surrogato di Welfare, una bella valvola di sfogo per le famiglie. Peccato che stia per finire e che le dinamiche demografiche siano implacabili: nel 2050 ci sarà un anziano ogni tre persone. Secondo l’Istat il 7,8% della popolazione italiana avrà più di 85 anni; è il 2 adesso. E avrà più di 65 anni il 34%: ora è il 19,5. Non è novità. Non lo è, ma dal Piemonte arriva un allarme: abbastanza in fretta accadrà che i nonni non potranno più occuparsi dei nipoti, perché impegnati a curare i genitori malati.
Lo sostiene l’Ires Piemonte che ha analizzato ed elaborato - in una delle regioni con un altissimo numero di anziani - un modello sul futuro prossimo. Nel 2025 ci saranno 528 mila persone tra i 65 e i 75 anni che dovranno occuparsi di 673 mila ultrasettantacinquenni. Di questi in 256 mila avranno più di 85 anni e 78 mila tra i 90 e i 94 anni. E non è detto che ci sia una seconda soccorrevole generazione di immigrate a curare i nostri anziani; raramente le figlie vivono gli stessi percorsi delle madri. In Piemonte fino al 2015 si avranno più anziani oltre i 75 anni che sopra, da allora però gli over 75 supereranno quelli tra 65 e 74 mentre gli adulti tra i 40 e i 64 anni cesseranno di crescere. E su di loro si scaricherà il diluvio: sostituire i giovani assenti dal mercato del lavoro, curare i più vecchi perdendo per giunta ogni aiuto dalla generazione precedente.
Ma non è solo la bruta dinamica demografica a far temere l’estinzione dei nonni. Il sociologo Luciano Abburrà dell’Ires - che ha analizzato il fenomeno - spiega che «il Piemonte indica una tendenza qui più esasperata, ma comune all’Italia; la differenza può stare solo nella intensità del tempo necessario per arrivare allo stesso risultato». E elenca le concause: «Dei nipoti si occupano soprattutto le nonne; ma nel prossimo futuro ci saranno meno donne in età giovanile a andare in pensione. Adesso ce ne sono che hanno smesso di lavorare sotto i 50 anni o poco sopra».
Già in questi anni ancora abbondanti di nonni - e in una regione dove «gli anziani più giovani» sono per adesso tanti, il 13% tra 55 e 64 anni e il 17 tra 65 e 74 - qualcosa incomincia a incrinarsi. Si parla di generazione sandwich: è quella nata a cavallo degli Anni ‘40, contesa tra l’assistenza ai nipoti e quella ai genitori anziani. Ma inesorabilmente le cose cambieranno in peggio; non accadrà in un attimo, ma accadrà.
Ed è adesso che è necessario attrezzarsi per il futuro. Quei numeri e quelle tendenze non cambieranno, al massimo si ritoccheranno un poco, ma il modello sociale può mutare. Abburrà ha qualche idea e una certezza: «Le società messe di fronte ai problemi cambiano, per forza. Non credo sia necessario inventarsi nulla; basta guardare a che cosa accade negli altri paesi europei».
E racconta che in Italia 66 madri con figli piccoli su cento lavora. E lo fa spesso in settori industriali con un orario a tempo pieno, tra le 36 e le 40 ore alla settimana, ma con una bella fetta che arriva alle 50. E’ chiaro che senza i nonni boccheggiano, anzi annegano. Ma - dice Abburrà - se il part-time superasse l’attuale quota del 24% le cose cambierebbero. E cita l’immortale esempio olandese: «Lì la quota di donne che lavora a tempo parziale è arrivata addirittura al 75%. La società ha fatto questa scelta, ha stipulato un contratto: uno stipendio e mezzo per famiglia, ma in cambio c’è un equilibrio basato sul tempo disponibile per la cura dei figli».

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