martedì 18 novembre 2008

Morte e vita


E' un po' deludente constatare questo modo di affrontare la morte...
Si vede proprio che il panorama culturale non è molto fecondo.
Quello che dici della tua morte, dice quello che sei nella vita.
don Chisciotte
La «Spoon River» dei viventi illustri
Quarantasette italiani si scrivono la lapide
Andreotti la consegna con un biglietto: «Senza fretta»
Alessandra Mussolini si rifiuta: «Ma io so' napoletana»
Una Spoon River autografa (e apotropaica) in cui 47 italiani illustri si autodettano la lapide. È appena uscita per i tipi dell'editore napoletano Tullio Pironti che ne ha affidato la cura alla giornalista di Raitre Elsa Di Gati e s'intitola «Le penultime parole famose». Nella prefazione, l'antropologo Marino Niola avverte: «Ammettiamolo, oggi la morte è decisamente impopolare, soprattutto la propria».
Nonostante questa verità, la Di Gati è riuscita a estorcere epitaffi a gente dall'umorismo inattaccabile come Giulio Andreotti, Tinto Brass, Leo Gullotta e così via, fino a Marina Ripa di Meana e Maria Scicolone. E scrive: «Che abbia ragione Indro Montanelli - «Non ho paura della morte, ma di morire» - oppure Shakespeare per bocca d'Amleto - «Meglio per te un cattivo epitaffio da morto che averli nemici da vivo» - la sostanza poi non cambia: autocelebrare la propria vita, immaginandosi già nell'aldilà, non è uno sport in cui i personaggi di quest'Italia del terzo millennio eccellano. L'aldiqua ci piace assai, e ci restiamo ottimamente». Così molti hanno rifiutato il gioco della Di Gati dal suo amico meridionale Michele Mirabella - «Dio mio» ha risposto - alla napoletana Alessandra Mussolini che ha addotto come giustificazione al diniego l'origine etnica: «Ma io... so' napoletana». Pure la madre lo è, aggiunge la giornalista, ma si è prestata con un oscuro «Mettetemi con la faccia rivolta contro il muro».
In chiusura dell'introduzione, sportivamente, la Di Gati aggiunge un post scriptum con il suo epitaffio: «Morì sopraffatta dagli scongiuri altrui», e quello, che la dice lunga sull'uomo, dell'editore ed ex boxer Tullio Pironti: «Visse in prospettiva».
Barbara Alberti adotta una chiave patologica: «Invece del manicomio sono diventata una scrittrice...». Giulio Andreotti aggiunge - dietro richiesta della curatrice - anche una bozza per il coccodrillo che inizia dalle origini modeste «Appartenne a famiglia modesta (padre insegnate elementare e nonno venditore di cappelli nel piccolo centro laziale di Segni) e continua fino alla «assoluzione» perché «come tanti altri uomini politici è stato coinvolto in «trappole giudiziarie» che ha affrontato serenamente fino alla conclusione...». Il tutto recapitato alla Di Gati con un biglietto che in realtà si offre come il vero epitaffio di Andreotti: «Senza fretta».
All'estremo opposto - si può dire ancora così? - Fausto Bertinotti cita una frase che ascoltò nel 1964 dal vicesegretario della Cgil Ferdinando Santi: «Sono un uomo di grandi ambizioni. E allora vorrei che un giorno un bracciante del Sud o un operaio del nord di questo Paese, pensando a me, possa dire: 'Fernando? Quello era uno dei nostri'. La penso come lui».
Tinto Brass è laconico e manzoniano: «Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza». Lando Buzzanga fa un inno al dubbio mentre Franco Califano non si rassegna: «Faccio un salto dall'altra parte per accertarmi dell'esistenza di Dio, se è tutto vero mi rifarò "vivo"». Humor consuetamente anglosassone per il giornalista Antonio Capranica: «Giornalista ma onesto. Lasciò il mondo sperando / di trovare / altro da raccontare». Carlo Conti, col sorriso fisso «con il quale ha vissuto» si direbbe: «Vivere è bellissimo, ma ora mi riposo un po'. ps: grazie a tutti». Il più sollevato di tutti è Paolo Villaggio: «Finalmente! Non ne potevo più. Non sono mai stato un depresso, ma la colpa è solo vostra».
Classe teatrale per Massimo Dapporto: «Ultima replica». Romanesca, naturalmente, Alba D'Eusanio: «Finalmente me posso fa' na dormita». Familistico Alain Elkan: «Ho amato la mia famiglia». Giovanni Floris, da buon giornalista scrive un coccodrillo di tutto punto che inizia «Voleva solo riuscire a fare il giornalista». Giuliano Giubilei cita Battiato: «Ne aveva avuto di occasioni... perdendole». Mario Monicelli pugnace e impavido: «Non mi preoccupava la sconfitta se la cusa che difendevo era giusta». Previdente Marina Tagliaferri: «La prossima volta voglio leggere il copione prima...».
Infine Teddy Reno esce di scena con una domanda: «Ma Rita dov'è?».

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