sabato 27 dicembre 2008

Leggende e realtà

Il quarto dei magi che ritardando giunse in anticipo
di Igor Man
E’ nato il bambino ch’è già nato. Un bambino povero, senza giocattoli, una mangiatoia per culla. È nato nel buio della povertà ma subito ha sparso luce perché gli uomini sapessero dove andare e chi adorare. Tanto tempo è passato da quel momentum ma «sembra ieri» e da allora anno dopo anno si rinnova il mistero chiamato Gesù.
Un miracolo non più idilliaco, difficile da rinnovare; un miracolo antico e tuttavia presente. «La novità vera è Gesù, contemporaneo ad ogni epoca», ipse dixit Giovanni Paolo II al Vecchio Cronista allorché questi fu ricevuto nell’appartamento pontificio il 9 di dicembre del 2001. Era prevista una udienza di routine ma papa Wojtyla, inopinatamente, mi dedicò mezza mattinata. Nel lontano 1949 avevo incontrato Padre Pio, lungamente. E Giovanni Paolo II, insaziabile, mi interrogava sul cappuccino che di lì a poco avrebbe fatto santo. In quella inobliabile occasione parlammo dell’islàm nella prospettiva del «dialogo» che secondo il Papa avrebbe potuto trovare una sorta di «paziente scorciatoia» nella preghiera interreligiosa, dal Papa stesso affidata all’«Onu di Trastevere», cioè alla Comunità (laica) di Sant’Egidio. Ogni anno, cristiani, ebrei e islamici si radunano in una capitale del mondo per riflettere e ragionare sulle religioni monoteiste. Chiude la «tre giorni» la preghiera interreligiosa: si prega fisicamente insieme; ognuno a suo modo, spiritualmente. Il Papa parlava sommesso ma la sua voce si fece alta e forte quando ricordò l’Epifania: «Il racconto dei Magi può, in un certo senso, indicarci una rotta spirituale - disse -: i Magi furono in qualche modo i primi missionari. L’incontro col Cristo non li bloccò a Betlemme ma li spinse nuovamente per le strade del mondo». Giovanni Paolo II, l’ho già scritto, fa pensare al «quarto» dei Magi. Mia madre, russa ortodossa, mi raccontava la incredibile storia, appunto, del «quarto».
Si chiamava Artaban ed era un persiano zoroastriano. Comparsa la stella cometa, si mette in viaggio per raggiungere gli altri tre. A poche ore dall’appuntamento, Artaban si imbatte in un ebreo terribilmente ferito. Soccorre il moribondo, questi guarisce e lo ringrazia rivelandogli che il Messia sarebbe nato a Betlemme. Mancato l’appuntamento con Gaspar, Melkior e Balthasar, il «quarto» vende una delle pietre preziose destinate al Bambinello e allestisce una nuova carovana. Arriva a Betlemme ma in piena strage degli innocenti. Con un rubino salva dalla morte un bimbo corrompendo i centurioni che stavano per sgozzarlo. Passano gli anni e il vecchio Artaban conserva gelosamente l’ultimo suo tesoro: una rarissima perla. Con essa, un giorno doloroso, il «quarto» spera di salvare il Messia dalla crocefissione. Ma sul Golgota un ragazzo lo implora di riscattarlo dalla schiavitù romana e il vecchio re sapiente sacrifica l’ultimo suo bene: la perla. In quel preciso momento «egli si avvede d’essere stato ammesso, per primo, alla presenza del re tanto atteso e cercato, quello vero: Gesù». Qui è stato facile a chi scrive identificare, se così può dirsi, il quarto dei Magi in Giovanni Paolo II.
C’è infatti una morale in questa storia, una morale luminosa come la grotta in cui nasce Gesù di Nazareth. Eccola: Artaban è giunto in ritardo a Betlemme ma è arrivato in anticipo sulla Pasqua di Resurrezione. Tutto muta ma nulla è cambiato e allora diremo, credenti e laici, che Gesù non è solamente dalla parte del Mistero di Dio di fronte all’uomo, ma altresì dalla parte dell’uomo di fronte al Mistero di Dio.

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