lunedì 2 febbraio 2009

Lettura sociologica

Un perdono dai frutti avvelenati
di Franco Garelli
Mai come questa volta un gesto di riconciliazione è stato amaro. La revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, fortemente voluta da Benedetto XVI, non soltanto non ha ammorbidito i rapporti tra questa ala ultratradizionalista cattolica e il Vaticano, ma ha innescato una serie di polemiche e rancori che ci dicono quanto gli steccati siano alti e le ferite ancora aperte. Le recenti frasi del vescovo lefebvriano di Rimini sono eclatanti. «Siamo stati scandalizzati dalla preghiera di Benedetto XVI nella Moschea Blu di Istanbul. [...] Il Papa poteva entrare in quel luogo dell’Islam come turista, ma non come Papa e come orante». Pochi giorni prima altri suoi colleghi si erano affrettati a dire che la loro riammissione nella Chiesa non comporta l’accettazione del Concilio Vaticano II, o il ripudio delle accuse che da 50 anni il gruppo di Econe lancia contro Roma e il resto del mondo.
Ai lefebvriani, dunque, non basta un Papa che fa del recupero della tradizione un punto qualificante del suo pontificato; non è sufficiente un Vicario di Cristo che ripristina la possibilità di dire la messa in latino, secondo quel rito di Pio V che richiama la profonda frattura tra i cristiani e gli ebrei, incentrato più sull’idea del sacrificio che della comunione; non va nemmeno bene un Pontefice che li riabilita nella Chiesa togliendo la scomunica loro impartita 20 anni fa da Giovanni Paolo II.
Sconcerto anche nella Chiesa. Ancora, a essi non basta neppure un Papa che fa un gesto gratuito di perdono senza condizioni, sperando che la gratuità sia feconda e inneschi un cammino di avvicinamento delle posizioni. Il perdono del Papa ai vescovi lefebvriani non ha avuto gli effetti sperati. Il porgere la prima guancia da parte del Papa è stato letto dai dissidenti come una resa incondizionata di Roma alle loro pretese tradizionalistiche. Il gesto di riconciliazione, invece di smuovere i cuori, sembra averli induriti e resi consapevoli della debolezza di Roma, nonché della forza della loro tradizione, che sembrano ritenerla più forte della stessa autorità del Pontefice. Chissà, come ha notato qualcuno, se essi credono veramente nell’infallibilità del Papa, quando si pronuncia sulle verità della fede?
È evidente lo sconcerto che questa complicata vicenda produce non soltanto fuori della Chiesa (nei rapporti con le altre confessioni religiose, nell’indebolimento del dialogo ecumenico), ma anche al suo interno. Molti hanno osservato che non c’era un tempo più sbagliato di quello scelto dal Vaticano per questa riconciliazione incompiuta o impossibile, essendo stata resa pubblica nel giorno (il 25 gennaio scorso) in cui convergevano tre circostanze significative: i 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II; l’inizio delle celebrazioni annuali della Shoah; la conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
Riconciliazioni in lista d’attesa. Ma al di là della costante difficoltà della Chiesa di Roma di scegliere i tempi giusti per scelte che coinvolgono il suo essere nel mondo, resta il profondo disagio che la revoca della scomunica ai lefebvriani ha alimentato in molte aree della cattolicità. È il dubbio di quanti si chiedono se davvero valeva la pena ricucire lo strappo con gli ultratradizionalisti, pensando alle molte tensioni e conflitti che questa apertura può produrre negli ambienti ecclesiali. Oppure, è l’interrogativo su quali siano le misteriose ragioni che spingono il Papa a dedicare molte energie a questa difficile impresa, in una Chiesa che è chiamata oggi a misurarsi con sfide e problemi assai più importanti e impegnativi. Inoltre, molti si interrogano sul perché il Vaticano dia grande risalto a questo tipo di riconciliazione, sul perché questa vicenda sia un cruccio personale del Papa, quando altre sensibilità «cattoliche» - situate anch’esse ai margini o fuori della Chiesa - non ottengono altrettanta attenzione dal centro della cattolicità. Perché, ad esempio, la Chiesa di Roma non si impegna con la stessa intensità a riallacciare i rapporti con quei gruppi della teologia della liberazione, con quei credenti progressisti «rei» di avere alimentato un’idea di Chiesa più orizzontale che verticale? Ancora, perché il Vaticano - come ha detto di recente Hans Küng - non propone un atto di riconciliazione anche verso quei cristiani «normali» che non accettano il veto della Chiesa sulla pillola, sul divorzio, sulla contraccezione? Tutti aspetti che possono creare uno scisma strisciante nel «popolo di Dio», anche se non dà adito a pronunciamenti e animi induriti come quelli dei lefebvriani.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Perche non:)