di Lietta Tornabuoni
E’ un segno di gratitudine o di saluto, si capisce. Ma, francamente, perché mandare baci o bacetti? Per il bisogno di compiere un gesto fisico, di esprimersi con qualcosa di concreto, come càpita con gli applausi ai matrimoni o ai funerali? Perché le parole (o i silenzi) paiono troppo modesti, poco eloquenti, poco partecipativi? Perché si tende a trasformare gli scarsi riti della vita quotidiana in spettacoli o casini? Perché non si fa caso alla natura leziosa, settecentesca e manierata del bacetto volante? Perché non si riflette sugli usi sciocchi e inutili che chissà come si sono introdotti nel nostro modo di fare?
L’invio (formale) del bacio è uno dei più recenti insieme con gli applausi in chiesa: farne meno non sarebbe male. L’applauso, specialmente a un funerale, ha qualcosa di grottesco. Come se in certo modo si volesse lodare il morto: e per cosa? Perché è morto o per l’insieme della sua vita, per dargli insomma una specie di premio alla terminata carriera di essere umano? Il lancio del bacio, a seconda delle circostanze, è altrettanto lezioso. Tutti e due gli usi perseguono magari inconsapevolmente lo scopo di mettersi in mostra nell’occasione di un raduno sociale. Ma andiamo, su. Se proprio volessimo metterci in evidenza, facciamo piuttosto qualcosa che meriti attenzione, ammirazione.
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