mercoledì 8 aprile 2009

Consolazioni

Dalla Lettera pastorale 2000-2001 “La Madonna del Sabato santo”

del card. C.M. Martini

«Come opera la consolazione che viene dalla fede? Essa assume forme diverse e una di queste – di cui c’è tanto bisogno oggi – può essere chiamata la “consolazione della mente”. Di che cosa si tratta? E’ un dono divino molto semplice, che permette di intuire come in un unico sguardo la ricchezza, la coerenza, l’armonia, la coesione, la bellezza dei contenuti della fede. Un teologo contemporaneo, Hans Urs von Balthasar, la chiamava “percezione della forma” (“Schau der Gestalt”), intuizione del legame che unisce tra loro tutte le verità di salvezza e ne svela la proporzione e il fascino. Di fronte all’evidenza della sofferenza e della morte, che tende a schiacciare il cuore, tale intuizione si pone come una grazia dello Spirito santo che fa risplendere talmente la “gloria di Dio” da illuminare con la luce della verità anche gli angoli più tenebrosi della storia. E’ la grazia di percepire la gloria di Dio che si manifesta nell’insieme dei gesti con cui il Padre si dona al mondo nella storia di salvezza e, in particolare, nella vita, morte e risurrezione di Gesù. E’ il dono di presagire dietro e sotto gli eventi della fede le vestigia del mistero della Trinità.

Si ha la “consolazione della mente” (o “consolazione intellettuale”) quando i gesti e le parole riportate nelle Scritture si collegano con altri gesti e parole della rivelazione: chi riceve tale grazia sente che ogni pietruzza del mosaico illumina quelle vicine e si compone con le più lontane in un disegno convincente e sfolgorante. Allora non si rimane più bloccati nella preghiera di fronte all’uno o all’altro dei momenti singoli della storia di salvezza, incapaci di vedere la relazione e il concatenamento di un singolo fatto o parola con tutti gli altri; la mente avverte di essere inondata di luce, il cuore si dilata, la preghiera zampilla come da una fresca sorgente.

(…)

Ciascuno di noi, quando riceve questa grazia, anche soltanto qualche accenno di essa, vive qualcosa di simile a ciò che vissero i tre discepoli sul monte della Trasfigurazione. Contemplando Gesù con Mosé ed Elia e sentendoli parlare dell’ “esodo” di Gesù a Gerusalemme (cf Lc 9,21) essi intuiscono i profondi legami che intercorrono tra i mille episodi narrati nelle Scritture e colgono la forza di unità che li mette insieme e li porta a compimento nella Passione e Risurrezione del Signore. E’ un’apertura degli occhi e del cuore, che dà un senso profondo di appagamento e di pace. Allora anche le ombre e le tragedie di questo mondo si rivelano come attraversate dalla luce di amore, di compassione e di perdono che viene dal cuore del Padre.

Si percepisce qualcosa della verità delle Beatitudini, il cuore si apre alla speranza di giustizia, alla visione

della vittoria dei poveri e degli oppressi di questa terra.

Un santo che ha goduto di questa grazia in maniera straordinaria così la descrive: “Il rimanere con l’intelletto illuminato in tal modo fu così intenso che gli pareva di essere un altro uomo, o che il suo intelletto fosse diverso da quello di prima. Tanto che se fa conto di tutte le cose apprese e di tutte le grazie ricevute da Dio, e le mette insieme, non gli sembra di aver imparato tanto, lungo tutto il corso della sua vita, fino a sessantadue anni compiuti, come in quella volta sola” (Ignazio di Loyola, Autobiografia, n. 30).

(…)

Se la “consolazione della mente” comporta una illuminazione dell’intelletto e una “apertura degli occhi” (cf Lc 24,31), la “consolazione del cuore” (cf Lc 24,32) – o “consolazione affettiva” – consiste in una grazia che tocca la sensibilità e gli affetti profondi inclinandoli ad aderire alla promessa di Dio, vincendo l’impazienza e la delusione. Quando il Signore sembra in ritardo nell’adempimento delle sue promesse, questa grazia ci permette di resistere nella speranza e di non venir meno nell’attesa. E’ la “speranza viva” di cui parla Pietro (cf 1Pt 1,3), è la “speranza contro ogni speranza” di cui parla Paolo a proposito di Abramo (cf Rom 4,18), il quale “per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento” (Rom 4,20-21).

(…)

La percezione di una forza che ci ha accompagnato in momenti duri, anche quando non la sentivamo e ci sembrava di non possederla, è una esperienza vissuta da tutti noi. Ci pare a volte di essere abbandonati da Dio e dagli uomini, e però, rileggendo in seguito gli eventi, ci accorgiamo che il Signore aveva continuato a camminare con noi, anzi a portarci sulle sue braccia. Ci succede un po’ come a Mosè sul monte Oreb: egli riuscì a vedere qualcosa della gloria di Dio, che desiderava tanto contemplare (“Mostrami la tua gloria!”, Es 33,18) solo quando era già passata (cf Es 33,19-22).

Una tale consolazione opera in noi e ci sostiene efficacemente, pur senza una consapevole illuminazione della mente e una percepita mozione degli affetti del cuore; essa opera dandoci la forza di resistere nella prova quando tutto intorno è oscurità. La chiamo “consolazione sostanziale” perché tocca il fondo e la sostanza dell’anima, ben al di sotto di tutti i moti superficiali e consci; oppure “consolazione della vita” perché i suoi effetti si esprimono nella quotidianità permettendoci di stare in piedi nei momenti più duri (“resistere nel giorno malvagio”, Ef 6,13), quando la mente sembra avvolta dalla nebbia e il cuore appare stanco.

Fai il download dell’intera Lettera Pastorale nella nostra sezione Testi.

Nessun commento: