martedì 25 dicembre 2007

AUGURI DISTINTI!


E' qui lo sbaglio: nella pretesa di voler trovare delle formule standard, buone per tutti. Invece, a Natale, non si possono porgere auguri indistinti.
Dire buon Natale a te, Ignazio, che vivi immo­bilizzato da anni, dopo quel terribile incidente stradale che ti ha ridotto a un rudere, è molto di­verso che dire buon Natale a te, Franco, che hai fatta spese pazze per rinnovarti l'attrezzatura scii­stica, e il 25 dicembre lo passerai in montagna, do­ve hai già prenotato l'albergo per la settimana bianca. Tu, Ignazio, la stella cometa del presepe non la vedi neanche, perché non puoi muovere la testa dal guanciale. E, allora, devo descrivertela io, e dirti che essa fa luce anche per te, e assicurarti che Gesù è venuto a dare senso alla tua tragedia e che, nella notte santa, anzi ogni notte della tua vita, egli trasloca dalla mangiatoia per venirti ac­canto e farsi scaldare da te. Tu, Franco, la stella co­meta non la vedi perché non hai tempo per pen­sare a queste cose, e in testa hai ben altre stelle. E, allora, devo provocartene io la nostalgia, e dirti che le lampade dei ritrovi mondani, dove consu­mi le tue notti e i tuoi soldi, non fanno luce suffi­ciente a dar senso alla tua vita.
Dire buon Natale a te, Katia, che il 26 andrai all'altare con Cosimo, è molto diverso che dire buon Natale a Rosaria, che il mese scorso ha fir­mato la separazione consensuale, dopo che Gigi se n'è andato con un'altra. Perché a te, Katia, basterà l'invito a vedere nel presepe la celebrazione nu­ziale suprema di Dio che prende in sposa l'uma­nità, e già ti sentirai coinvolta nel mistero dell'in­carnazione. A te, Rosaria, invece, che per la pri­ma volta le feste le passerai sola in casa, e che non hai voglia neppure di andare a pranzo dai tuoi, oc­correrà tutta la mia discrezione per farti capire che non è molto dissimile il ripudio subito da Gesù nella notte santa. Buon Natale, Rosaria! E buon Natale anche a Gigi, perché, scorgendo nel bam­bino del presepe il mistero della fedeltà di Dio, torni presto a casa.
Dire buon Natale a te, carissimo Nicola, che mi sei tanto vicino con la tua amicizia, ma anche tan­to lontano con l'ateismo che professi, è molto di verso che dire buon Natale a te, don Donato, che sei rettore del seminario regionale, e, le parole di santità, tu sei bravo a dirmele più di quanto io non sappia fare con te. Perché tu, don Donato, hai un cuore che trabocca di tenerezza, e quando parli del Verbo che scende sulla terra e diventa l'Emmanuele, cioè il Dio con noi, si vede che ci credi a quello che dici, e daresti la vita perché anche gli altri ponessero lo sguardo su quel pozzo di luce che rischia di accecare i tuoi occhi. Mentre tu, Nicola, davanti al presepe resti impassibile, e il bue e l'a­sino ti fanno sorridere, e l'incanto di quella notte ti sembra una fuga dalla realtà, e rassomigli tanto a qualcuno di quei pastori (qualcuno ci deve esse­re pur stato!) che, all'apparizione degli angeli, non si è neppure scomposto ed è rimasto a scaldarsi da­vanti al fuoco del suo scetticismo. Non voglio for­zare la tua coscienza, ma sei proprio sicuro che quel bambino non abbia nulla da dirti, e che que­sto mistero (che tu vorresti confinare tra le favo­le) di Dio fatto uomo per amore, sia completamente estraneo al tuo bisogno di felicità? Auguri, comunque, perché la tua irreprensibile onestà umana trovi nella culla di Betlem la sua sorgente e il suo estuario.
Dire buon Natale a te, Corrado, che vivi nella casa di riposo, e la sera ti lasci cullare dalle nenie pastorali, e te ne vai sulle ali della fantasia ai tempi di quando eri bambino, e la tua anima brulica di ricordi più di quanto i tratturi del presepe non brulichino di pecorelle, e pensi che questo sarà forse il tuo ultimo Natale, e ti raffiguri già il mo­mento in cui Gesù lo contemplerai faccia a faccia con i tuoi occhi... è molto diverso che fare gli au­guri a te, Antonietta, che hai vent'anni e tutti di­cono che non sei più quella di una volta, e l'altro giorno mi hai confidato che non fai più parte del coro e che forse quest'anno non ti confesserai nep­pure. Buon Natale, Antonietta! Pregherò perché tu possa trovare cinque minuti per piangere da so­la davanti alla culla, e in quel pianto tu possa spe­rimentare le stesse emozioni di quando la sempli­ce carta stagnola del presepe ti faceva trasalire di felicità.
Un conto è dire buon Natale a te, Gianni, che stai in ospedale e oggi anche i medici se ne sono andati, e tu non vedi l'ora che arrivi il momento delle visite per poter parlare con qualcuno, e un conto è dire buon Natale a te, Pietro, che in car­cere nessuno verrà a trovare dopo che ne hai com­binate di tutti i colori perfino a tuo padre e a tua madre. Auguri a tutti e due, comunque, e ai vostri compagni di corsia o di cella: Gesù Cristo vi re­stituisca la salute del corpo e quella dello spirito.
Buon Natale a te, Carmela, che sei rimasta ve­dova. A te, Marina, che sei felice perché le cose vanno bene. A te, Michele, che ti disperi perché le cose vanno male. A te, Mussif, e a tutti i profu­ghi albanesi che vivono insieme nella casa di ac­coglienza. A te, Sahìd, che guardi alla televisione gli spettacoli dell'Unicef sui bambini iracheni e slavi decimati dalla fame, e, per un'associazione di immagini non certo molto strana, pensi ai tuoi fi­gli che hai lasciato in Tunisia.
Dopo che l'ho poggiata sull'altare, profumata d'incenso e grondante ancora di benedizioni divi­ne, voglio dare la mano a tutti, sicuro che nessu­no tirerà indietro la sua.
Perché a Natale, felice o triste che sia, fedele o miscredente, miserabile o miliardario, ognuno av­verte, chi sa per quale mistero, che di quel bam­bino «avvolto in fasce e deposto nella mangia­toia», una volta conosciuto, non può più fare a meno nessuno.


mons. Tonino Bello, Avvento-Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 122-126.

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