giovedì 18 settembre 2008

Non solo brevi

In breve
di Massimo Gramellini
Qualcuno si stupirà che lo scriva proprio io, dal basso delle mie 25 righe, ma stiamo morendo di troppa brevità. Nella civiltà delle immagini alla parola è rimasto un unico ruolo: quello di didascalia. Ormai persino gli sms sembrano comizi. Va un po’ meglio ai cartelli di protesta e ai cori da stadio, eppure la comunicazione contemporanea richiede frasi ancora più brevi, meglio se con riferimenti erotici, capaci di galleggiare per qualche tempo sopra le chiacchiere smozzicate che televisioni, computer e giornali ci rovesciano addosso di continuo. «Yes we can» (Obama). «Pitbull col rossetto» (Sarah Palin). «Ho fatto sesso in tutti gli Stati degli Usa» (questa non è Sarah Palin, ma l’attrice Eva Mendes, ieri). «Presidente, da lei mi farei toccare» (santa Valentina Vezzali, patrona degli arrivisti, mentre fa un fioretto a Berlusconi). Chiunque provi a tessere un ragionamento o ad avventurarsi sul terreno minato della consecutio temporum viene considerato un tipo bizzarro e palloso. Non c’è tempo per ascoltarlo, non c’è voglia, non c’è spazio nei nostri cervelli saturi. Anche del passato si tramandano soltanto i frammenti: «Panta rei», «L’Etat c’est moi», «I have a dream». Gli scrittori sopravvivono sulle carte dei cioccolatini, purché abbiano coniato qualche battuta memorabile: Oscar Wilde e Flaiano surclassano Gadda e Dostoevskij. Ogni frase-slogan viene estrapolata dal contesto e vive una vita propria, spesso antitetica alle intenzioni dell’autore. La morale di tutto ciò? È un discorso lungo. Appena riesco ad accorciarlo, ci incarterò un cioccolatino.

Nessun commento: