lunedì 30 marzo 2009

Malati ad hoc

Bisogna saper distinguere da caso a caso
Allarme degli esperti: «Viviamo una vita troppo medicalizzata»
Si usano cure per situazioni che molti reputano patologiche ma in realtà sono fisiologiche
(...) A riaccendere la miccia sulle polemiche dell’eccesso di «malattie», è un articolo apparso in apertura del sito della BBC online nel quale Tim Kendall, Joint Director del National Collaboration Centre for Mental Health e uomo chiave per le decisioni sanitarie del governo britannico, esprime in un'intervista la sua preoccupazione circa la «esondante» medicalizzazione della società. Nel Regno Unito, notoriamente, si è molto attenti alle spese, comprese quelle che lo Stato deve sostenere per la sanità pubblica, ma - fa notare Kendall - che al 10 per cento dei bambini britannici sia stato diagnosticata una malattia mentale, che, sempre per i sudditi di Elisabetta II, siano state fatte 34 milioni di prescrizioni di antidepressivi nel 2007 e che il 10 per cento dei ragazzini americani prenda una medicina contro la sindrome da iperattività , alimenta il sospetto che qualche esagerazione ci sia. «Se si consulta il manuale di riferimento degli psichiatri americani» fa notare Kendall nell’intervista alla Bbc, «si ha l’impressione che qualunque tipo di comportamento umano sia virtualmente patologico». L'esperto inglese vuole quindi denunciare una tendenza a «cercare di creare nuove categorie di malattia, non di rado laddove c’è, o ci sarà, un farmaco che potrebbe essere utilizzato al bisogno». Esempi? L’articolo della Bbc ne cita alcuni, come la «sindrome delle gambe senza riposo», piuttosto che la «fobia sociale», o alcuni disturbi della sfera sessuale femminile.
Su queste, ma anche su diverse altre condizioni, il dibattito sull’opportunità di cure è acceso da tempo, e sono disponibili montagne di studi pronti a dimostrare l’esistenza, la gravità e la diffusione di ciascuna di esse. Nondimeno, però, esistono spesso dubbi sul fatto che tali studi siano sempre uno specchio fedele della realtà e non invece una forzatura interpretativa per medicalizzare condizioni che invece, se non proprio del tutto fisiologiche, nemmeno sono sempre acclaratamente patologiche. Ovviamente bisogna sempre distinguere caso per caso, perché quando un farmaco ci vuole è sacrosanto prescriverlo (per il medico) e necessario prenderlo (per il paziente), ma quando non ci vuole è inutile. E questo sta alla sensibilità e alla capacità dei medici valutarlo. Se qualcuno davvero non riesce a dormire la notte perché le sue gambe sono «senza riposo», cioè non riescono a stare ferme, può trarre sicuro giovamento da un farmaco ad hoc, ma se è solo un po’ nervoso quel farmaco potrebbe, non servirgli , e produrre magari qualche effetto collaterale inutile, se non altro al suo portafoglio o a quello del sistema sanitario che lo rimborsa. E il problema non esiste solo per le medicine, ma anche per alcuni esami.
Se può consolare, questo fenomeno, noto fra gli addetti ai lavori come «disease mongering», non è certo nuovo, e non c'è bisogno della Bbc per ricordarlo. Basti pensare che già nel 1923 a Parigi andava in scena a teatro «Il Trionfo della Medicina», commedia di Jules Romains in cui il dottor Knoch, giovane dottore appena nominato medico condotto in un paesino di campagna recitava: «La popolazione è sana soltanto perché non sa di essere malata».
Stabilire dove stiano i confini tra salute e malattia non è facile. A volte quei confini sono chiari e netti, le malattie sono reali e dolorose, e la cura con farmaci, terapie, procedimenti medici, sono quanto di più auspicabile ci possa essere. In altre circostanze, però, i limiti che delineano la patologia tendono sempre di più ad ampliarsi. Oppure problemi di salute sono talmente lievi o passeggeri che non giustificano una loro medicalizzazione.
Il meccanismo che sta alla base del «disease mongering» di solito è ricorrente: si parte da una patologia esistente e curabile farmacologicamente e poi, con operazioni ad hoc la si promuove e descrive in termini abbastanza generici da coinvolgere quanti più soggetti possibili. In altre occasioni addirittura il punto di partenza non è una malattia quanto piuttosto un problema, o semplicemente un fenomeno, che viene ridefinito opportunamente in chiave patologica. Non è che le patologie siano il risultato della creatività dell’industria: le malattie esistono, come pure sono normate e regolamentate le indicazioni per usare i farmaci, ma c’è un potente sforzo collaterale per spingere verso la medicina situazioni in cui un suo intervento è superfluo. Un sistema simile, così per come è strutturato, inevitabilmente genera e produce tendenze crescenti di medicalizzazione non sempre giustificate. Queste, se portate all’eccesso, non fanno bene né allo Stato né al cittadino: il contenimento della spesa sanitaria e la riduzione degli sprechi sono un problema importantissimo oggi per i responsabili della cosa pubblica di tutti i Paesi occidentali .
Pensare di essere malati perchè si perdono i capelli, oppure perchè si ha un po' di mal di testa prima del ciclo mestruale, oppure perchè... si invecchia, può essere fuorviante. La paura di rischi irrilevanti o inesistenti per la salute è profondamente malsana. Il richiamo di Kendall è in realtà motivato soprattutto dalla sua preoccupazione che anche in Europa possa essere ammessa la pubblicità diretta di farmaci soggetti a prescrizione al pubblico, come già avviene negli Usa. Pensiamo di poter però sintetizzare che il suo invito è che si sappia mantenere un ragionevole equilibrio tra i rischi sopportabili e quelli che non lo sono. Senza cadere nell'eccesso opposto: per un vero malato di depressione una terapia adeguata può fare la differenza fra la vita a la morte (non solo in senso fisco), così come per un malato di tumore o di una malattia del cuore. E allo stesso modo la prevenzione, quando attuata secondo criteri opportuni non solo può risparmiare una malattia o la vita stessa, ma fa anche risparmiare soldi alle casse dello Stato.

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