giovedì 3 luglio 2008

Parabola sufi


"Un giorno il sultano volle decorare in modo specialmente bello la sala del suo palazzo. Perciò fece venire due squadre di pittori da luoghi molto distanti tra loro come Bisanzio e la Cina. Ciascuna avrebbe affrescato una delle lunghe pareti parallele della sala. Ma l'una non doveva sapere che cosa dipingesse l'altra. Assegnò dunque una parete a ciascuna squadra, senza permettere loro di comunicare: in mezzo alla sala una tenda appositamente collocata impediva ogni comunicazione tra i pittori dei due lati.
Quando l'opera fu terminata, il sultano si diresse prima a ispezionare l'affresco dipinto dai cinesi. Era invero di una bellezza meravigliosa. «Niente può esser più bello di questo!», disse il sultano, che con tale convincimento nell'animo fece scorrere la tenda perché apparisse la parete dipinta dai greci di Bisanzio. Ma su quella parete i greci non avevano dipinto nulla, l'avevano solo lustrata, pulita e ripulita fino a trasformarla in uno specchio di un biancore misterioso che rifletteva, come in un elemento più puro, le forme della parete cinese; le forme e i colori acquistavano una bellezza inimmaginabile che non sembrava di questo mondo: una nuova dimensione, diremmo, per gli occhi e lo sguardo umani".

Considerando il rischio assunto dalla scelta un po' estrema dei pittori bizantini, la filosofa Maria Zambrano si chiede: che mai sarebbe successo qualora gli artisti cinesi (magari memori dell'amor vacui caro alla loro tradizione taoista) avessero optato per una soluzione pittorica altrettanto radicale dei bizantini, dipingendo a loro volta una parete perfettamente non figurativa e acromatica, in qualche modo non meno «vuota». Nessun imbarazzo - risponde la filosofa - anzi, ne sarebbe scaturito infine un tripudio della luce, perché «in quel caso la sala sarebbe risultata un luogo privilegiato perché la luce viaggiasse da una parete all'altra, perché la luce mostrasse quel che ha di creatura alata: quella colomba che sorge dalla luce quando le si offre l'occasione». Insomma, un ping-pong vertiginoso e incessante, un lumen de lumine. E se invece - piuttosto che splendido - l'affresco cinese fosse invece risultato mediocre? Beh, anche in tal caso l'esito sarebbe risultato nient'affatto irreparabile, poiché l'effetto specchio del «biancore incandescente ne avrebbe riscattata l'opacità come capita alle immagini riflesse nell'acqua».
Morale della favola di questa felice congiunzione tra esuberanza ed estasi, tra know-how cinese e apofasi bizantina: «Niente è brutto, se Io si guarda in un altro elemento più puro, più intelligente. E, portando all'estremo la situazione, si potrebbe presentire» - addirittura - «che lo sguardo sia capace di riscattare ogni bruttura, ogni mediocrità, lo sguardo di chi, guardando, sappia creare un elemento purificato, lavato, come la parete bizantina».
E, più radicalmente ancora, «pensare che prima di fare qualsiasi cosa, prima non solo di imprimere un'immagine, ma di riceverla, prima di pensare qualsiasi cosa, occorra pulirsi e ripulirsi lo sguardo, l'anima, la mente, affinché si assimili, per quanto umanamente possibile, al biancore che è pura vibrazione, vibrazione velocissima che riunisce tutte le vibrazioni che generano il colore, mostrandosi in apparenza come quiete e passività. E ogni lettore può seguitare per proprio conto le serie delle interpretazioni».
cfr M. Zambrano, Le parole del ritorno, 76-78.

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