mercoledì 3 settembre 2008

Opinioni pubbliche


Gli strappi non servono
di Franco Garelli
Il thrilling è andato in scena in Vaticano ieri sera, quando L’Osservatore Romano è uscito in prima pagina con un articolo che sostiene che la morte cerebrale non basta per sancire la fine di una vita, al quale ha fatto seguito qualche ora dopo una dichiarazione della Santa Sede tesa a placare le polemiche che già si stavano innescando, e a ricordare che un articolo non modifica la dottrina. Come a dire che, per quanto L’Osservatore Romano sia un giornale autorevole, la posizione della Chiesa su questa complessa questione bioetica rimane quella che si è consolidata nel tempo. Se non proprio di una sconfessione, certo si tratta di una presa di posizione che invita alla cautela nell’affrontare temi che lacerano la coscienza contemporanea. Del resto, l’articolo porta la firma di una studiosa sicuramente valida nel suo ambito di competenza e che fa parte del Comitato nazionale di bioetica, ma che non ha alcun titolo per pronunciarsi a nome della Santa Sede su una questione di così grande rilevanza pubblica. Qui emerge la prima novità del caso, voluta dall’Osservatore Romano o indotta dalla presa di posizione del Vaticano: il giornale del Papa sta accentuando la funzione di essere un luogo che ospita opinioni pubbliche, certo tutte sufficientemente vicine alle preoccupazioni e ai valori della Chiesa, senza limitarsi dunque a presentare soltanto le posizioni ufficiali del centro della cattolicità. Questa maggior apertura non può che essere positiva, se è in grado di dar voce alle molte sensibilità del mondo cattolico (e di altre realtà) sulle questioni emergenti, sia sui temi della vita sia su quelli sociali e politici.
L’articolo in questione solleva però - sul tema della «morte cerebrale» - almeno due problemi di grande rilievo, che già nel recente passato sono stati oggetto di profondo dibattito nella Chiesa e in altre aree culturali. E ciò non soltanto nei paesi europei a maggioranza cattolica, ma anche in varie comunità degli Stati Uniti. Anzitutto l’invito a superare un’idea riduttiva della morte cerebrale, quella che tende a identificare la fine di una vita con la morte del cervello. Talvolta si confonde la morte cerebrale con la semplice morte del «cerebro», che non è necessariamente accompagnata anche dalla morte del «tronco» (spina dorsale e parte nervosa), per cui tutta una serie di attività possono permanere. Chi è attento a questa distinzione ricorda casi di persone dichiarate in coma irreversibile che hanno continuato a «vivere» per alcune funzioni vitali. Il richiamo, dunque, è alla prudenza, a non considerare la morte cerebrale come la morte totale dell’essere umano; a rigettare l’idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più.
Connessa a questa posizione è la messa in guardia contro una pratica dei trapianti in alcuni casi troppo disinvolta e leggera. Non credo che ciò capiti nelle strutture pubbliche, anche se possono darsi situazioni in cui pur di fare i trapianti non si rispettino i tempi previsti al riguardo dalle normali legislazioni. Che da noi prevedono procedure rigide, come la verifica dello stato di coma assoluto e irreversibile compiuta sul soggetto due volte a distanza di alcune ore, per cui si constata che con la morte cerebrale siano venute meno tutte le funzioni fisiche. Una minor attenzione a queste verifiche può certamente portare a una pratica dei trapianti irresponsabile e incivile.
Nel lanciare questi allarmi etici, l’articolo dell’Osservatore Romano è consapevole di creare scompiglio su una questione che da tempo rappresenta «uno dei pochi punti concordati tra laici e cattolici». L’eventuale rilancio del dibattito su un tema di così grande rilevanza etica non deve comunque ridurre le certezze sin qui faticosamente acquisite. Semmai può essere un’occasione per ulteriori approfondimenti e per trovare nuove convergenze. articolo

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