Se anch'io avessi fatto 6di Massimo Gramellini
Se vincessi cento milioni di euro al Superenalotto come quel fortunello di Catania, giuro che non saprei cosa farne. Ho desideri che costano meno. Così mi sono rivolto a un amico per chiedere consigli, nell’eventualità. Lui mi ha risposto quanto segue: «Cinquanta milioni li dai subito in beneficenza: una catena di ospedali in Kenya a tuo nome e ti sei ripulito la coscienza per l’eternità. Te ne restano comunque altri cinquanta per sporcartela con vizi e stravizi. Siamo un Paese cattolico, no? Sempre in bilico fra senso di colpa e voglia di peccare. Nei sondaggi della coscienza facciamo i veltroniani, ansiosi di cultura e valori immateriali, ma nella realtà della pratica c’è un piccolo premier ingordo in ciascuno di noi. Villoni, macchinoni, donnoni. E non pensare di nascondere la tua ricchezza: impazziresti. Perché in Italia non conta avere, ma far sapere agli altri di avere. Non sentirti orribile, se li vincesse un altro farebbe di peggio. Chi sputerebbe sul tavolo del capufficio un attimo prima di licenziarsi. Chi si comprerebbe l’azienda per il solo gusto di licenziare il capufficio. E chi guarderebbe negli occhi il coniuge sopportato da secoli per mancanza di vie d’uscita: "Sai che c’è, cocco (cocca)? È fi-ni-ta". Il denaro è un moltiplicatore del tuo ego. Ne esalta pregi e difetti. E poiché i difetti sono sempre più numerosi, con cento milioni di euro diventeresti quasi sicuramente un tizio arrogante e insopportabile. La libertà dal bisogno si tradurrebbe soprattutto nella libertà dal bisogno di piacere agli altri, che ti ha indotto fin qui a frenare gli istinti peggiori».
«Insomma», ha concluso il mio amico, «vincere cento milioni di euro è abbastanza una meraviglia, cioè uno schifo. Fortuna che non li hai vinti tu e che in ogni caso ci sono poi le banche a mostrarti il modo migliore per perderli tutti, il più in fretta possibile».
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