mercoledì 3 dicembre 2008

"Misuro quindi sono"?

E' triste pensare che un essere umano possa
(o debba) pensare di capirsi
solamente "misurandosi".
Mi auguro che nel profondo
sappiano che non è così.
don Chisciotte

«Per comprendere meglio se stessi»
Life 2.0, tutta la vita annotata sul Web
In Rete sempre più "self-tracker": trasformano ogni evento della vita in dati da inserire su Internet
In fondo, capire la vita è semplice. Basta ridurla a una serie di dati, prenderne nota con immensa precisione, e affidare il tutto a un computer. O meglio, a Internet. Di questo sono convinte un numero sempre maggiore di persone, nel mondo – i membri dell’ultima tribù nata intorno alla Rete, quella dei "self-tracker". Gente come Brynn Evans e Chris Messina, lei imprenditrice, lui studente di scienze cognitive a San Francisco. Appena saputo che in Rete era nato un nuovo sito su cui poter registrare tutti i propri rapporti sessuali (data, durata, ora, posizioni, partner e – ovviamente – voto finale della performance), i due, fidanzati da sette mesi, vi si sono iscritti. Ma YYY (questo l’indirizzo dove catalogare ogni amplesso) è solo l’ultimo dei siti a cui i due sono devoti: su ZZZ registrano ogni aspetto (non sessuale) della loro relazione, su XXX ogni posto dove sono andati, su TTTT le loro abitudini di guida, su JJJ quelle di ascolto musicale, su rescuetime.com quelle di navigazione in Rete.
Brynn ne usa anche uno - KKK – per tenere il diario del proprio ciclo mestruale. In pratica, ogni "evento" della loro vita diventa una serie di dati, che il computer trasforma in una tendenza. Tutta da analizzare. Non si tratta, spiegano, di tenere un diario su Internet. Si tratta di capire se stessi. La precisazione non è da poco. Se siti come QQQ, ad esempio, servono per raccontare ad altri la propria vita, indirizzi come ??? (dove si indicano le calorie assunte e quelle spese), sono "invisibili" dall’esterno (anche se su &&& si può decidere di ammettere il proprio partner, magari per farlo ingelosire con i "voti" dei propri rapporti con l’ex). Insomma: i self-tracker non vogliono raccontare se stessi ad altre persone. Vogliono registrare tutto ciò che accade loro. Ma perché? «Voglio capire quanto le persone con cui parlo mi ispirano. O quanto i siti su cui passo del tempo mi sono utili», spiega al Washington Post Lisa Brewster, una ragazza di San Diego che con il suo ragazzo, David Horn, sta cercando di creare un sito onnicomprensivo, su cui raccogliere i dati di tutto quello che si fa. «Non sarebbe fantastico se potessimo raccogliere ogni giorno i dati sulla pressione del sangue?» continua Gary Wolf, fondatore di %%%, un gruppo di San Francisco che si incontra ogni mese per condividere i siti da "self-tracker".
C’è anche chi ha iniziato a comportarsi così per un motivo preciso: Michelle McGillivray, ad esempio, si è iscritta a *** per rimanere incinta. Ma continua a usarlo anche dopo aver avuto un bambino, per capire, ad esempio, «se i vestiti che indosso possono aiutarmi a stare meglio durante il ciclo». Il punto, spiega David Horn (il ragazzo che cerca di costruire il "supersito"), è che «i grandi eventi spesso sono causati da una serie di piccoli fatti, apparentemente insignificanti». Ad esempio: accorgersi che vedere la propria ragazza il venerdì, dopo gli allenamenti, rende ogni appuntamento un fiasco, potrebbe aiutare a evitare una rottura. Ma c’è anche chi sottolinea un altro aspetto: «I dati non mentono» spiega Jayne Gackenbach, "psicologa di Internet" al Grant MacEwan College di Alberta, in Canada. Prendere nota di ogni sigaretta che si fuma, o di tutto quello che si mangia, aiuta a evitare di «perdonarsi troppe infrazioni». Insomma: il self-tracking può aiutare a tenere d’occhio una dieta, a capire quando il livello di stress impone una vacanza, forse anche a migliorare le proprie relazioni. Anche se rimangono dei problemi. La cronista del Washington Post Monica Hesse, ad esempio, ha chiesto a Lisa Brewster e al suo ragazzo se avessero pensato di considerare un sito buono anche se non è «utile», ma rende di buonumore. I due genietti informatici si sono guardati e, dopo un secondo, hanno spiegato: «Beh, questo è un algoritmo più complicato».

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