venerdì 20 febbraio 2009

La Chiesa e la guerra

Sto soprattutto parlando della Chiesa cattolica: un’internazionale di credenti in tanti Paesi diversi. Essa ha un centro, la Santa Sede, fuori da uno Stato, anzi collocata in un suo Stato, voluto per sottrarsi alla sovranità altrui. La Chiesa contemporanea ha guardato con preoccupazione la guerra, cercando di evitarla con ogni mezzo. Le parole di Pio XII del 1939 (scritte da Montini, il futuro Paolo VI) esprimono questo sentire: «Nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Ritornino gli uomini a trattare». Recentemente si ritrovano gli stessi accenti in Benedetto XVI: «La guerra e l’odio non sono la soluzione dei problemi...». (...)
C’è da chiedersi se, nel XXI secolo, la posizione della Santa Sede non sia illusoria, frutto di purismo astratto. Il Vaticano non pretende di essere un tribunale internazionale che condanni di volta in volta le violazioni, le politiche aggressive o altro. Anche se talvolta i papi ne parlano, non è la missione prioritaria. Ma ammonire sui rischi della guerra è un compito a cui la Santa Sede non rinuncia. Sembra che la sua esperienza storica la confermi nella convinzione che guerre e rivoluzioni lasciano il mondo peggiore di come lo hanno trovato. Inoltrarsi nel terreno della guerra rappresenta un’«avventura senza ritorno», per usare le parole di Giovanni Paolo II. È una coscienza che la Chiesa di Roma ha maturato da più di due secoli. Meglio è per lei consigliare il dialogo, l’applicazione del diritto internazionale, il negoziato. La Chiesa non si sente pacifista, ma pacificatrice (papa Wojtyla non si è confuso con il pacifismo). Sa che torti e ragioni non si dividono mai equamente tra le parti, ma considera la guerra come una soluzione che non risolve e alla fine travolge.
Andrea Riccardi, La Stampa, 16.01.09

Nessun commento: