venerdì 24 aprile 2009

Esperienza e memoria

Il segreto del "no" dei bimbi? Fanno scorta di informazioni
I piccoli di tre anni mettono da parte le indicazioni per riassociarle poi alle esperienze dirette. Nulla di ciò che diciamo viene perso ma immagazzinato e utilizzato in un secondo momento
di Sara Ficocelli
Provare per credere: tutte le volte che si dice a un bambino molto piccolo di fare o non fare una cosa, lui (o lei) fa il contrario. La scienza ha però una buona notizia da dare ai genitori dei piccoli testardi. In realtà le vostre parole non passano da un orecchio all'altro senza lasciare traccia, ma vengono "messe da parte" per il futuro. Questa la conclusione cui è giunto uno studio condotto dall'università del Colorado. (...)
Per condurre la ricerca lo psicologo Munakata e colleghi hanno utilizzato un videogioco per l'infanzia e una tecnica conosciuta con il nome di "pupillometria", che misura il diametro della pupilla per determinare lo sforzo cerebrale. (...) "Probabilmente - spiega lo psicologo Maurizio Brasini - si tratta di differenze quantitative che si trasformano in differenze qualitative. Differenze che riguardano la maturazione del sistema nervoso centrale e in particolare della corteccia prefrontale, preposta alla pianificazione delle azioni. Ma anche differenze che riguardano la quantità di esperienze registrate in memoria, e le modalità di accesso ad esse".
La misurazione con il pupillometro ha poi dimostrato che i bambini di 3 anni non riuscivano né a concentrarsi sul futuro né a vivere completamente il presente. Richiamavano però alle mente il passato tutte le volte che il cervello ne aveva bisogno. Il dottor Chatham spiega questo meccanismo con un esempio molto chiaro: "Prendiamo il caso che fuori faccia freddo e tu dica a un bambino molto piccolo di andare a prendere la giacca nella sua camera e preparasi per uscire. A quel punto ti aspetti che egli rifletta sulla situazione e in un certo senso pianifichi il futuro, facendo la cosa più conveniente. Ma non è questo ciò che accade nel suo cervello. Piuttosto, è più facile che corra fuori, si renda conto personalmente di quanto fa freddo e solo a quel punto rientri in casa e ripensi alle parole che voi gli avete detto poco prima, andando a prendere la giacca esattamente dove gli avevate detto voi".
In pratica, nulla di ciò che dicono i genitori si perde, ma tutto viene immagazzinato e riutilizzato dai bambini in un secondo momento, associando le indicazioni ricevute all'esperienza diretta. La scoperta, che uscirà sul prossimo numero della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, secondo gli studiosi potrebbe aiutare psicologi e pediatri a sviluppare terapie di sostengo a bambini in difficoltà e percorsi educativi modellati in base alle diverse fasi di crescita.
"E' completamente sbagliato pretendere che un bambino ci ascolti semplicemente ripetendo una, due, tre volte lo stesso comando - conclude Munakata - Sarebbe semmai più efficace provare a scatenare in loro una reazione. La cosa migliore è fare in modo che le azioni che vengono chieste non richiedano uno sforzo mentale particolare, ma un confronto pratico con la realtà". Secondo lo psicologo bisogna insomma dire una frase del tipo "So che non vuoi prendere e indossare il tuo cappotto adesso, ma quando tra cinque minuti avrai freddo, ricordati che potrai trovarlo nella tua cameretta". Cinque minuti senza cappotto, specialmente in certe serate d'inverno, possono scatenare un raffreddore. Ma il cammino verso la crescita vale almeno qualche starnuto.

1 commento:

Unknown ha detto...

Fermo restando che concordo su qnt affermato e che, ancora una volta, non c'era bisogno di uno studio per capirlo, devo però dire che mi fa mlt ridere l'ultima frase riferita all'invito a mettere il cappotto pensando a una mamma che alle ore 07.55 con i minuti contati sta tentando di uscire con tre figli dai tre ai 10 anni!!!