lunedì 20 aprile 2009

Promozione della vita

Salvare le vite, poi puntare i piedi
di Giovanni Bianconi
Il «caso Pinar» ha trovato una soluzione, grazie alla scelta umanitaria dell’Italia di far attraccare la nave in un porto siciliano. Prima ancora della disputa con Malta - diplomatica e non solo, par di capire - c’era da risolvere l’emergenza di 140 vite «clandestine» in pericolo. Emergenza di carattere politico, oltre che umanitario. Perché è politica scegliere di anteporre le ragioni della solidarietà a quelle delle competenze sulle acque di nessuno dove chi cerca un approdo rischia l’abbandono.
Alla fine ha prevalso la volontà di tendere una mano a quei migranti in cerca di futuro, e quando avranno toccato terra ci sarà il tempo per riprendere le discussioni tra governi e ambasciatori su chi aveva il dovere di intervenire. Una volontà che magari poteva affiorare prima, senza arrivare alle condizioni - allarmanti, tragiche o disperate, a seconda delle diverse fonti - in cui versavano i profughi raccolti dalla nave turca. E senza l’immagine un po’ imbarazzante di ministri che si rimbalzavano le responsabilità tra Roma e La Valletta, mentre quei corpi ammassati in coperta aspettavano in mezzo al mare.
Di questi tempi le politiche dell’immigrazione sono complicate, ma puntare i piedi davanti a uomini, donne e bambini che chiedono aiuto non è un bello spettacolo. Meglio cercare soluzioni e accordi prima che si verifichino situazioni come quelle della Pinar, e se al dunque si rivelano inadeguati prima si affronti l’emergenza e poi si torni a discutere di competenze e acque territoriali. Solo con le vite messe in salvo, però, anche se sono «clandestine».

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