domenica 11 gennaio 2009

Al freddo e al gelo

Le storie di Amabile, Eme e gli altri 800 homless dispersi tra Duomo e stazioni dei treni
Coperte, vino rosso e un Vangelo: la lunga notte dei clochard di Milano
Viaggio tra i senzatetto del capoluogo lombardo. L'aria calda dei metrò unico rimedio contro il freddo
Amabile, Luca, Angelo il «papà di tutti noi». E ancora: Silvia, Eme Frak, Ronald, Marcus, Leandro. Sono solo alcuni degli ottocento clochard milanesi che dai City Angels e dagli operatori delle altre associazioni di volontariato vengono chiamati gli «irriducibili». Nonostante il freddo, la pioggia e la neve, trascorrono le notti in strada e non abbandonano mai la loro «casa» sul marciapiede, tra le grate, vicino ad una colonna, sulle scale della metropolitana. Per tutti il ritornello è lo stesso: non vogliono andare nei dormitori predisposti per il piano antifreddo dal Comune perché hanno paura di perdere gli scatoloni, i sacchi a pelo, le borse, i Vangeli e tutte le cianfrusaglie che si portano appresso. Siamo andati a trascorrere il tardo pomeriggio e la notte con loro per farci raccontare questa resistenza scalfita a colpi di gelo.
«Sono due anni che vivo a Milano – ci racconta Amabile -, ma sono nata a Collebeato in provincia di Brescia. Ho avuto un grosso shock per la separazione da mio marito e la sottrazione del mio unico figlio. Ora vivo qui, a due passi dal Duomo, sotto un portico». Dispensa sorrisi la tenace bresciana mentre si scalda le mani con il tepore del caffè. «Ho tutto quello che serve per passare l'inverno: una coperta, un piumino, un cappello di lana che mi ha regalato un passante e un Vangelo. Non voglio altre coperte e nemmeno altri indumenti perché potrebbero servire ad altre persone. Preferisco passare le mie notti d'inverno qui, piuttosto che in un dormitorio. Cerco il silenzio e il rumore degli altri mi innervosisce». Amabile non è sola. Lì vicino ci sono Pietro e Jordan che sono di casa. Nel tardo pomeriggio la temperatura cala notevolmente. Fino alla chiusura delle metropolitane – all'1 di notte - c'è un buon metodo per scaldarsi: gli homeless si sdraiano sulle grate centrali da dove fuoriesce il calore prodotto dalle centraline della metrò.
Sono quasi le 20.30, il freddo si infittisce. Lasciamo piazza Duomo che nel frattempo è circondata dai cumuli sale, portati dal Comune per combattere gli effetti dei due giorni di nevicate dell'Epifania, per dirigerci alla stazione centrale, altro punto nevralgico per i senzatetto della città. Nelle entrate laterali troviamo dei gruppetti di clochard che aspettano la notte. Qualcuno per tentare di scaldarsi, o forse quanto meno per non pensarci, beve il vino dalle confezioni di cartone. «Siamo preoccupati per la morsa del freddo - ci racconta Walter Nappa della Fondazione Fratelli di San Francesco - pensiamo alla salvaguardia delle loro vite». Vicino a noi scuote il capo l'assistente sociale Micaela Paleari che ci spiega le ragioni del rifiuto: «Molti di loro hanno un cane, un criceto e non vogliono separarsi dall'unico affetto che hanno; oppure tra ci sono le coppie che non possono stare insieme nei dormitori e preferiscono dormire all'aperto. Ma nei casi più delicati i clochard hanno un mondo che non riescono a condividere con nessuno».
Entriamo dall'ingresso principale della stazione accompagnati da Fernando Coco, un volontario brasiliano di 31 anni che appartiene alla associazione umanitaria Blue Berets. Ci dirigiamo verso i luoghi contesi dai senza-dimora per passare la notte: i vagoni delle carrozze regionali che stazionano sui binari fino alle prime luci del mattino; gli enormi totem che sponsorizzano la regione Piemonte collocati ai lati del piazzale principale. Non ci vuole molto, basta spostare un tendone e si scoprono gli indumenti lasciati come segno di proprietà dai clochard; oppure qualcuno che già dorme abbracciato tra le coperte. «Noi li conosciamo tutti – racconta Fernando – e sappiamo che gli "irriducibili" non cambieranno mai idea. Non chiedono l'assistenza».
Qualche metrò più il là c'è Eme Frak, un cinquantaduenne di origine africana con passaporto francese. Da diciannove anni vive in Italia, dopo una parentesi a Lione. Prima di finire su una strada faceva il muratore. «Sono un irregolare e cerco in tutti i modi di vivere con dignità. E se fa molto freddo non vado nei dormitori per evitare i controlli». Ormai è notte. I tabelloni elettronici indicano i primi treni della mattina in partenza. Qualcuno ha ancora voglia di parlare , forse per non sentire il freddo. Siamo a -3 e Silvia, una polacca di 30 anni nata a Varsavia, ci racconta che nei dormitori c'è stata un paio di volte ma non intende più tornarci. « Preferiamo stare qui. Siamo in troppi, facciamo fatica ad avere delle regole. Abbiamo le nostre piccole abitudini alle quali non sappiamo rinunciare. L'anno scorso al dormitorio mi hanno rubato le scarpe e i guanti. Preferisco rimanere in strada».

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